Il cuore del Kashmir

di Gianluca Virgilio

Quello che colpisce chi sfogli il volume di Kash Gabriele Torsello, The Heart of Kashmir, stampato in proprio presso la Cooperativa Grafica Italiana, Bari, 2002 (contiene un reportage di 111 fotografie in bianco e nero), è la presenza continua, ripetuta e, dunque, ossessiva, delle armi dentro lo scenario ripreso dall’obiettivo. Sin dall’immagine del soldato indiano dai grandi baffi, tanto grandi che non si comprende bene dove essi finiscano e dove cominci la barba, col sorriso appena abbozzato in cui si può leggere, dietro il compiacimento dell’adulto davanti alla macchina fotografica, l’innocenza e l’incoscienza di un bambino cresciuto con le armi in pugno, il racconto di Torsello si snoda  lucido e a tratti severo, accompagnato da un commento scritto sobrio ed essenziale in lingua inglese. Torsello ci mostra una valle del Kashmir violentata e distrutta da quattro guerre, l’esatta antitesi della valle dell’Eden, che a volte viene pubblicizzata per attirare qualche turista in cerca di amenità. Tale doveva essere un tempo la valle del Kashmir.

Un mito antico racconta la creazione del Kashmir. Una volta la valle era un grande lago, sulle cui rive gli dei amavano incontrarsi per giocare e divertirsi. Ma un demone devastò queste rive, riducendo in miseria la popolazione, che, disperata, si rivolse al santo Kashyap perché la salvasse; e il santo la salvò, uccidendo il demone. Da allora la valle fu chiamata Kashyapa, o Kashmir, in onore del santo salvatore.

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