Letteratura per raccontare i nostri sogni di progresso

Probabilmente, questa domanda costituisce la linea di confine, il nodo da sciogliere, perché inevitabilmente ne accende un’altra anche più complicata che si può formulare così: ma davvero la letteratura, il prodotto di una finzione, la proiezione di una fantasia, la combinazione di realtà e di immaginazione, può contribuire alla formazione di un nuovo concetto di progresso, alla sua realizzazione? Semplicisticamente, le risposte possono essere due. La prima: non può. La letteratura non ha mai predisposto e determinato un agio. Al contrario, ha sempre creato disagio. La letteratura esiste per mettere a disagio, per far mancare la terra sotto i piedi, per insinuare dubbi, scombussolare certezze, per mettere in crisi, confondere, depistare.

La seconda risposta è che sì, la letteratura può diventare strumento per la ricerca di un progresso che sia coerente con i tempi, che risponda alle esigenze e a volte anche alle pretese dei mutamenti culturali, economici, sociali. La letteratura esiste per generare crisi che a loro volta, se governate sapientemente,  generano progresso.  

Allora forse si potrebbe dire che la letteratura può rappresentare i sogni collettivi di progresso anche quando racconta le crisi della civiltà.

A pensarci rapidamente, senza soffermarsi a riflettere, si potrebbe anche sostenere che, per esempio, tutta la letteratura europea  dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, non  ha fatto altro che raccontare la crisi profonda di una civiltà figurando le possibili condizioni di un progresso.

Quelli che viviamo sono tempi di crisi costante, strutturale: crisi della ragione, dei sentimenti, della conoscenza, dell’esperienza, dei sistemi, dei criteri, dei modelli, di quelli che si chiamano i valori, di quelli che si considerano riferimenti.

Allora, senza neppure il minimo accenno all’antica questione della funzione sociale della letteratura,  viene spontaneo sostenere che, forse mai come in questo tempo, la letteratura si carica di una funzione essenziale per l’elaborazione di una condizione esistenziale nuova.

Forse questo tempo ha bisogno della letteratura più di quanta ne abbiano avuta i tempi passati. Non perché abbia un maggiore bisogno di sogni, ma perché ha bisogno di strumenti capaci di attribuire ai sogni dei tempi passati significati nuovi da combinare ed armonizzare con sogni che prima non sono mai stati sognati.

Il compito e il destino della letteratura consistono nel creare metafore. Forse si potrebbe dire che ogni metafora è, sostanzialmente, la rappresentazione del sogno di una trasformazione. Un pensare di andare oltre l’esistente. Un immaginare    significati   nuovi. Sono molti, moltissimi, innumerevoli forse, i sintomi sociali e culturali che esprimono il desiderio ansioso che ha questo nostro tempo di trasformarsi più di quanto costantemente si trasforma, di  proiettarsi in un sistema di significati nuovi o comunque rinnovati, ricomposti, rifondati, rigenerati, riconfigurati. Sono moltissimi i segni che riferiscono il bisogno di fare sogni nuovi. Ecco, allora, che forse il conto torna: se la ragione della letteratura è quella stessa per la quale si sogna, di conseguenza si ha bisogno di una nuova letteratura che racconti  sogni nuovi ai quali riferirsi, nei quali riconoscersi, ai quali affidarsi. Certo, ognuno sogna per se stesso; è normale che sia così. La letteratura sogna per conto di tutti.  Fino a questo punto è stato così. Si spera che continui ad essere com’è stato.   

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 26 settembre 2021]

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