di Antonio Errico
Durante una conversazione tra Edoardo Albinati e Walter Siti, alla domanda su “perché la letteratura?”, Siti risponde così: “per la stessa ragione per la quale si sogna”, riferendosi al sognare come necessità fisiologica. Poi dice: quando uno viene tenuto sveglio molto a lungo, deperisce non tanto perché non dorme ma perché non sogna.
Forse ci si potrebbe domandare se questo tempo ha fisiologicamente bisogno di sogni: di sogni soggettivi e di sogni collettivi; se il sogno di tutti e di ciascuno può determinare il progresso della nostra condizione di umani.
Forse si potrebbe considerare che vengono tempi e si giunge a certi punti in cui il sogno soggettivo non è più sufficiente, che si ha bisogno di sogni da fare in comune. Allora inevitabilmente ci si chiede di quali sogni da fare in comune si ha bisogno. Una risposta immediata, soltanto appena pensata, non elaborata, non concettualizzata, potrebbe essere che si ha bisogno di un sogno di progresso: forse di un progresso diverso da quello al quale abbiamo sempre pensato, che abbiamo conquistato – con fatica, con molta fatica- , al quale ci siamo abituati e non avremmo dovuto abituarci perché il progresso non si deve mai dare per scontato. Poi, seguendo il dipanarsi delle domande ci si dovrebbe chiedere in che senso, in che misura, per quale motivo la letteratura può contribuire, significativamente, a generare e a conformare quel sogno collettivo, quello che recepisce e rielabora i sogni di ciascuno.