di Pietro Giannini
Ho avuto il piacere di avere il Prof. Barone come insegnante di latino e greco nella prima liceale. I miei ricordi di lui come docente sono limitati a quella classe perché l’anno successivo egli andò via. In questo momento mi piace richiamare alla memoria due circostanze della mia vita di studente legate alla sua persona.
La prima è connessa con una mia difficoltà nella lingua greca (e perciò forse mi è rimasta impressa indelebilmente). Egli ci aveva dato da tradurre in classe una versione (forse un brano della Vera storia di Luciano, in cui si descrive la fuoriuscita dei protagonisti dal ventre della balena). Comunque ricordo bene che vi era una forma verbale che mi diede molto da fare: ἐνηχόμεθα. Io ero sicuro che derivasse dal verbo ἐνέχω (composto di ἔχω), ma ero altrettanto sicuro che la forma corretta sarebbe dovuta essere ἐνειχόμεθα, non ἐνηχόμεθα. Oltretutto il significato di ἐνέχω al medio-passivo (“sono trattenuto”) non si adattava al contesto. In questi casi è difficile rinunciare alla prima idea e spesso si ricorre a motivi speciosi (ad es. un errore di stampa) per giustificare le nostre difficoltà. Ma la ripetuta e frenetica (come avviene di solito) consultazione del vocabolario non dava soluzioni, sicché alla fine, con mio grande disappunto, fui costretto a sottoporre la questione al prof. Barone, che mi disse tranquillamente che la forma verbale non derivava dal verbo ἐνέχω ma dal verbo νήχομαι (“nuoto”). Naturalmente il Prof. Barone non aveva nulla a che fare con la mia piccola defaillance (anzi!), ma nella mia memoria essa è rimasta saldamente connessa a lui.
L’altra circostanza è legata a qualche sua occasionale presenza durante il corso ginnasiale. In caso di assenza dei titolari, era possibile che venissero a fare qualche ora di supplenza anche i professori del Liceo. Per noi delle classi ginnasiali (o almeno per me) era un evento eccezionale che ci metteva a contatto con i docenti del corso liceale, a cui guardavamo con rispetto e deferenza, e che sapevamo che avremmo incontrato tra qualche anno. Sicché furono eccezionali le visite che in qualche occasione venne a fare il prof. Barone. Io non ricordo gli argomenti che trattò, ma che erano di solito legati al programma che temporaneamente si stava svolgendo. Certamente si trattava di latino, perché mi è rimasta viva nella memoria la sua conoscenza della prosodia latina, che padroneggiava con somma maestria. Ora, bisogna sapere che la prosodia latina ha, rispetto a quella greca, lo svantaggio di non avere segnali grafici che distinguano le sillabe lunghe da quelle brevi (e che per il greco si concretizzano almeno nella distinzione tra epsilon ed eta e tra omicron ed omega). Sicché la conoscenza della prosodia latina è legata, più che a regole mnemoniche molto generali (che pure vi sono), alla concreta esperienza linguistica ed alla conoscenza della storia del latino. E questa conoscenza il prof. Barone aveva. Una conoscenza, lo confesso ora, che gli ho sempre invidiato specialmente nei momenti in cui ho dovuto faticare per districarmi da problemi di prosodia latina.
Negli ultimi anni ho avuto il piacere di avere il prof. Barone come dirimpettaio in Via Puglia e quindi di seguire la sua progressiva vecchiaia, attiva e vigile sino agli ultimi tempi.
E’ morto a 104 anni. E’ stato makrobios (“dalla lunga vita”) come alcuni autori greci (Sofocle, Gorgia, Isocrate).
Mi piace adattare a lui, con i necessari distinguo, i versi che il commediografo Frinico dedicò a Sofocle:
“Felice Sofocle, che morì dopo aver a lungo vissuto,
uomo fortunato ed esperto.
Avendo composto molte e belle tragedie
fece una bella morte, senza avere sopportato alcun male”.
[“Il Galatino” del 24 settembre 2021]
Ho letto con ammirazione questa testimonianza, di anni neanche tanto lontani, quando professori ed alunni erano lo specchio di una società costruita sul rispetto e sulla competenza, sulla stima e sulla nobiltà d’animo.
G. Lepera