di Antonio Errico
I classici possono anche non servire a niente. Per esempio, i classici non servono a niente quanto non si riesce a fornire risposte alle loro domande. Perché i classici non danno mai risposte; scagliano sempre domande, insegnando che innumerevoli e costanti e assedianti sono le domande e che non si può evitare di cercare le risposte. Poi succede, e anche abbastanza di frequente, che risposte non se ne trovino. Però bisogna cercarle. Forse un classico è quel libro che pone sempre la stessa domanda sfidando gli uomini che abitano ogni tempo. Pone sempre la stessa domanda alla quale ciascuno dà la propria risposta, senza che mai si possa capire quali siano le risposte giuste e quali le risposte sbagliate, oppure se siano tutte giuste, se siano tutte sbagliate. I classici possono anche non servire a niente. Accade che non servano a niente quando non si riesce a sentire il rombo silenzioso delle loro domande, quando i personaggi, il linguaggio, gli accadimenti che raccontano restano lontani, quando i significati ci risultano estranei. I classici non servono a niente quando ci lasciano indifferenti. Ma è proprio a quel punto, dentro quella condizione di indifferenza, che probabilmente dovremmo farci la domanda più difficile ma forse anche più necessaria; è in quell’assenza di consonanza che ci dovremmo chiedere per quali motivi non riusciamo a percepire le domande, a sentire i significati ed a reagire emotivamente, razionalmente. Dovrebbe essere quella indifferenza a farci domandare come mai se per secoli gli uomini si sono confrontati con i significati di quei libri, in questo nostro tempo il confronto non avviene più, o si è fatto più raro, comunque culturalmente meno significativo.