Gli scavi archeologici iniziati nel 2000 hanno permesso di indentificare a Castro (l’antica Castrum Minervae) il santuario di Athena di cui parla Virgilio e di metterne in evidenza le straordinarie ricchezze artistiche, ora visibili all’interno del Castello Aragonese.
Il santuario di Castro appare in stretta relazione con la colonia greca di Taranto, che qui doveva avere un suo emporio marittimo, posto all’ingresso dell’Adriatico, in una posizione strategica per gli scambi commerciali lungo le rotte che collegavano il centro Europa al Mediterraneo orientale. Gli scavi hanno portato alla luce una statua colossale, alta più di tre metri, la più antica tra quelle in pietra leccese, che rappresenta Atena con l’elmo frigio; poiché, nel mondo antico, frigio corrisponde a troiano, la statua rappresentava l’Atena di Ilio. Da Taranto erano giunti a Castro scultori e architetti di grande livello, per costruire gli edifici del santuario, e sulle coste salentine si era sviluppato un culto presente anche nella colonia tarentina di Eraclea (Policoro). Qui si venerava un’altra statua dell’Atena troiana, miracolosa, che si era animata durante un assalto dei nemici contro gli abitanti rifugiati presso il suo simulacro, ed aveva mosso gli occhi, chiudendoli per non assistere al massacro, come fece a Troia, quando Cassandra aveva subito la violenza ed il sacrilegio di Aiace.
Nella Puglia settentrionale i miti troiani furono invece introdotti da Roma, nel ricordo delle sue origini e della fondazione da parte dei discendenti di Enea.
A Lucera, colonia latina del 315-314 a.C., era sorto il santuario di Atena Troiana, che presenta chiari collegamenti con i luoghi di culto dell’Italia centrale, anche nelle offerte votive e nelle straordinarie terrecotte figurate. Alla sua fama fa riferimento anche il celebre geografo greco Strabone, il quale ne sottolinea le connessioni con l’altro grande santuario di Atena a Lavinio, la città santa del Lazio, legata alle memorie di Enea, dove si venerava la tomba dell’eroe troiano.
Anche il grande tempio italico di Canosa era dedicato a Minerva, identificato sotto le strutture paleocristiane della chiesa di S. Leucio, come attestano una epigrafe di dedica a questa divinità ed una statuina in terracotta, e Venosa conservava nel nome il ricordo di Venere, madre di Enea.
Una tale ricchezza di storia, letteratura ed archeologia attende ora di essere valorizzata e fatta conoscere ad un pubblico più vasto, in una Mostra da realizzare nel capoluogo della nostra regione, che faccia dialogare istituzioni territoriali, Ministero della Cultura e le università pugliesi, che tanto hanno contribuito a portare alla luce questa realtà.
[“Corriere del Mezzogiorno” del 4 settembre 2021]