Gli ambientalisti del no hanno amplificato le catastrofi, mentre gli ambientalisti del sì hanno amplificato le magnifiche soluzioni che proponevano. Se siamo arrivati al Green Deal, che ci concede i fondi che il Ministro dovrà amministrare, è proprio per la consapevolezza che quelle catastrofi, così pervicacemente negate, sono una realtà. Le riconosce anche Cingolani. Però, dire che la colpa delle catastrofi è di chi le ha denunciate cercando di fermare modalità di produzione e consumo che, ora, dovremmo abbandonare per “transitare” verso sistemi ecologicamente più validi, è semplicemente paradossale. Mi direte: se gli ecologisti del no non si fossero opposti a tutto, i problemi sarebbero già stati risolti. Pare essere questo il ragionamento del Ministro ecologista del sì. Ma non mi pare che gli ambientalisti del no siano stati così ascoltati. Ci sono stati due referendum sul nucleare: possiamo dire che la stragrande maggioranza degli italiani sia costituita da ambientalisti radical chic? Ho l’impressione che Chernobyl per il primo e Fukushima per il secondo abbiano molto influito sulle scelte dei votanti. I problemi di queste due catastrofi non sono ancora risolti. Non dimentichiamo che, prima di Fukushima, i nuclearisti nostrani si prodigavano in spiegazioni rassicuranti sulla assoluta sicurezza degli impianti post-Chernobyl. Nessun rischio! Poi arriva Fukushima e, oggi, anche per Fukushima ci dicono che ora le cose sono veramente sicure, allora non lo erano. Ma allora, quando eravamo contro quegli impianti avevamo ragione… eppure ci rassicuravano anche per quelli. La credibilità dei nuclearisti ha subito qualche colpetto ed è normale che non ci si fidi più di loro. C’è una cosa che mi fa dubitare sulla correttezza dell’impostazione degli ecologisti del sì a tutto: non riesco a trovare esperti di ambiente (non parlo di iscritti ad associazioni ambientaliste, ma di ricercatori con curriculum qualificato) nelle compagini governative. Ce ne dovrebbero essere moltissimi, nel ministero della transizione ecologica. I tecnologi fanno proposte che, a loro dire, possono risolvere il problema. Ma chi verifica l’efficacia delle soluzioni rispetto a possibili impatti sull’ambiente? I tecnologi stessi? Non hanno le competenze per farlo! Gli esperti di ambiente dovrebbero essere i giudici dell’efficacia delle soluzioni, sottoponendole a rigorose verifiche che ne valutino l’impatto. L’impatto dovrebbe essere positivo, e invece con il decreto semplificazioni si diminuisce la valenza delle verifiche che gli impatti non siano negativi. C’è qualcosa che non quadra. Le tecnologie sono necessarie per la transizione ecologica, ed è giustissimo che gente come Roberto Cingolani sia chiamata a contribuire. Ma non sono sufficienti. È necessario che, accanto ai tecnologi, lavorino anche gli ecologi. Invece pare che il ministro per la transizione ecologica ritenga che la difesa dell’ambiente sia un ostacolo alla difesa dell’ambiente. Non dice: gli ambientalisti radical chic sono un ostacolo, abbiamo bisogno di specialisti qualificati che non valutino con l’emotività ma con la competenza la sostenibilità di quel che proponiamo. Invece elimina le valutazioni, e gli esperti di ambiente non ci sono. Ho scritto molti post su questa situazione paradossale, ribadendo ogni volta la necessità di una collaborazione tra tecnologie ed ecologia, visto che si è deciso che la transizione debba essere ecologica. Le soluzioni di Cingolani potrebbero essere valide, ma non può essere lui, con la sua preparazione, a valutarne l’impatto sull’integrità dei sistemi naturali che si vogliono preservare con il Green Deal e il PNRR. Gli ecologisti del sì e del no servono per creare consapevolezza, ma il problema della sostenibilità va affrontato in modo scientificamente corretto, senza demonizzare né le tecnologie né la difesa dell’ambiente. L’esatto contrario di quel che sta avvenendo ora: Cingolani, ecologista del sì, dice che gli ecologisti del no sono dannosi per l’ambiente e questi gli dicono che è matto. Posizioni ideologiche contrapposte: non è di questo che avremmo bisogno.
[Il blog di Ferdinando Boero ne “Il Fatto Quotidiano” online del 4 settembre 2021]