Come il Fuoco sposò l’Acqua

«Tu, uomo, hai mani operaie d’oro, puoi ogni cosa! Aiutami! Voglio smettere per sempre con queste scorribande, voglio crearmi una famiglia, una casa. Voglio sposarmi con la bellezza Acqua, ma in modo che né lei mi possa spegnere, né io la possa asciugare.»

«Non ti struggere, Fuoco. Ci penso io ad accordarmi per il vostro matrimonio e vi sposo!»

Così disse l’operaio intelligente e si mise a costruire una bella casetta a torre. Costruì la casetta a torre e invitò gli ospiti al ricevimento di nozze.

Dalla parte dello sposo arrivò la sua focosa parentela: il cugino, Vulcano, e la zia, Saetta. Il rosso Fuoco non aveva nessun altro parente su questa terra.

Dalla parte della sposa vennero al ricevimento di nozze: la sorella maggiore di Acqua – la pallida Nebbia Fitta vestita di bianco, il secondo dei tantissimi fratelli – Acquazzone Obliquo e la sorellina minore – una stupenda fanciulla, Rugiada Brillaocchi.

Si riunirono e si misero a discutere.

«Ma Ivan, che cosa ti sei messo in testa?» – disse il cugino Vulcano, mandando fumo e fiamme dalla bocca del cratere. «Non era mai successo che la nostra razza di Fuoco si prendesse una sposa dal casato dell’Acqua fredda.»

Ma l’operaio rispose intelligentemente a questa obiezione: «Perché stai dicendo che non è mai successo! Hai dimenticato il fratello Acquazzone Obliquo e la zia Saetta che vivono da sempre nella stessa nube e non si lamentano!»

«Questo è vero,» – proferì la pallida Nebbia Fitta, «tuttavia, la mia esperienza mi dice che dove c’è il rosso Fuoco, dove fa caldo, proprio lì, io comincio subito a diradare.»

«Anch’io divento secca per il caldo» – si lagnò Rugiada. «Ho tanta paura che lo sposo, Fuoco, possa asciugare mia sorella Acqua!»

A questo punto Ivan disse con fermezza: «Ho costruito per loro una bella casetta a torre e lì gli sposi novelli vivranno per sempre felici e contenti. Non a caso vengo definito da tutti un operaio intelligente.»

Tutti gli credettero. Ebbero inizio i festeggiamenti di nozze.

La zia dello sposo, Saetta, si mise a danzare con il fratello della sposa, Acquazzone Obliquo. Il cugino dello sposo, Vulcano, fumava e s’incensava di ardenti fiamme scintillanti, guardando gli occhi limpidi e brillanti di Rugiada, abbagliandola con le focose gibigiane. La sorella maggiore della sposa, la pallida Nebbia Fitta, alzò un po’ troppo il gomito, brindando alla felicità degli sposi e, senza che se ne accorgesse nessuno, si ritirò a riposar in pace in un burrone.

La festa di nozze finì e gli ospiti si ritirarono ognuno a casa propria. L’operaio intelligente condusse per mano gli sposi novelli nella loro nuova casetta a torre. Mostrò gli appartamenti, si congratulò con i giovani un’altra volta e augurò loro una lunga vita e un bel figlio dal fisico erculeo.

Passò poco tempo o molto, non si sa, si sa solo che nacque dalla madre Acqua e dal padre Fuoco, un figlio erculeo – il ritratto preciso di quell’augurio.

Il figlio crebbe bravo e forte, diede tanta soddisfazione a parenti e genitori. Ardente, caloroso, proprio come il babbo Fuoco. L’aspetto esteriore era uguale a quello della zia materna – denso e bianco, come Nebbia Fitta. Dalla madre natia, Acqua, il figliolo aveva preso il portamento importante e la flessibilità, grazie ad una dolce umidità. La sua forza derivava dai geni del suo prozio, l’antico Vulcano e dalla prozia Saetta.

Tutta la parentela riconobbe in lui un proprio consanguineo. Persino Rugiada Brillaocchi e Acquazzone Obliquo, vedevano in lui loro stessi, quando lui si raffreddava e cadeva a terra, in gocce.

Al figlio-erculeo diedero un bel nome: Vapore.

Se Vapore-Ercole veniva messo su un carro, con la sua sola forza il carro andava avanti e, trascinava, inoltre, le altre cento carrozze di un convoglio.

Se il miracoloso Vapore-Ercole, metteva piede su una nave, si potevano togliere tutte le vele. La nave navigava senza vento, squarciando con la prua le onde, avvertiva tutti della sua presenza a suon di vapore, scaldando i cuori dei costruttori navali col suo calore.

Se si presentava in fabbrica, le parti meccaniche si mettevano in moto. Dove prima lavoravano cento operai, ora ne bastava uno solo. Macinava la farina, trebbiava il frumento, tesseva il cotone, trasportava la gente e le merci. Aiutava il popolo e rendeva felici i genitori.

Sono arrivati fino ai giorni nostri, Fuoco e Acqua, vivendo nella stessa casa-caldaia di ghisa, lei non lo spegne e lui non l’asciuga.

Vivono felici, alla grande, per sempre.

Di anno in anno cresce la forza del figlio-erculeo e non si offusca per niente la gloria di un intelligente operaio russo. Tutto il mondo oramai sa che fu lui a coniugare la fredda bellezza Acqua al rosso Fuoco ardente e a mettere il loro figlio-erculeo al servizio nostro, dei nostri nipoti e dei nostri pronipoti.

[Traduzione dal russo di Tatiana Bogdanova Rossetti]

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