La causa in questo caso non è la tecnologia ma una macchina organizzativa non sempre all’altezza”. Magnifico… lo sanno. Per risolvere il problema ci sono tre opzioni. Una è chiamare il numero verde 800912491. Passo un’ora per prendere la linea. Risponde una signora, da casa. Mentre le spiego si sente una voce di bambina che la chiama. Butta giù. Altra ora di tentativi e alla fine mi rispondono di nuovo, per dirmi che non possono fare niente: mi consigliano di telefonare al 1500. Lo faccio. Mi risponde una signora paziente e gentile (probabilmente senza figli piccoli) che stenta a capire il mio problema e alla fine mi dice che mi manda l’autocode. Ma io ce l’ho l’autocode, cerco di spiegarle. L’ho usato. E mi dà un pass illeggibile. Lei provi a riscaricarlo, mi dice. Mi manda l’autocode, provo, e il risultato è lo stesso. Scrivo anche a cittadini@dcg.gov.it e accludo anche il Lasciapassare non funzionante. Spiegando che non funziona. Ricevo un messaggio che mi dice che hanno ricevuto il mio messaggio. C’è persino un numero di pratica. Ma, dopo essere passato tra sette sportelli (li ho messi in grassetto) non succede niente. Dal primo settembre ci vuole il Lasciapassare per salire su un treno, e io tra non molto andrò al Festival della Letteratura di Mantova (presenterò il libro Metazoa, di Peter Godfrey Smith, e farò una conferenza sulla pipì) e ho già i biglietti del treno. Per salire sul treno ci vuole il Lasciapassare, e io ce l’ho. Ma lo controlleranno, come ha fatto il cameriere del ristorante. Sarò l’unico ad avere questo problema? Non credo. Ora, io sono per la vaccinazione, e per il Lasciapassare. Va chiesto. Dovrebbe essere obbligatorio, come l’assicurazione delle vetture. L’assicurazione non serve solo a chi si assicura, ma anche a chi potrebbe subire incidenti (in questo caso contagi) senza alcuna colpa. L’assicurazione difende anche gli altri. Non si può circolare senza assicurazione! E quindi: viva le vaccinazioni e viva il Lasciapassare! Ma se mi si impone di fare una cosa, almeno che mi si metta in grado di poter certificare formalmente che i miei doveri sono stati assolti! I burocrati e i militari ragionano in modi abbastanza simili. Se prendo l’aereo i burocrati dell’università mi chiedono le carte di imbarco. Sapete perché? Prima c’era gente che si faceva rimborsare la stessa missione da amministrazioni differenti (tipo il Dipartimento Universitario e il CNR, se magari si hanno due contratti con enti differenti). E prima le carte d’imbarco erano stampate dalla compagnia, in esemplari unici. Ma da tempo non è più così, ora sono digitali!!! Ne posso stampare quante ne voglio. Non ha senso chiederle. La norma però rimane. E il burocrate non si adegua se non riceve istruzioni formali. E non vuole il file… la vuole stampata. In originale! Ma è un originale!!!! cerco di spiegare. Ne posso stampare quante ne voglio, e la può stampare anche lei. Mi guarda con occhi bovini e mi chiede di produrre la carta di imbarco. In originale. Temo che al momento di prendere quel treno ci sarà un tipo simile al soldato che c’è SEMPRE e all’impiegato che vuole la carta d’imbarco ORIGINALE. Ah, se il 10 settembre passate da Mantova e non sapete che fare, venite a sentire la conferenza sul mistero della pipì. Io ci sono SEMPRE, anche alle 18.30, ora prevista per svelare il mistero. Ma non è detto che sarò lì. Potrei essere in guardina per aver strangolato un ferroviere.
[Il blog di Ferdinando Boero ne “Il Fatto Quotidiano” online del 31 agosto 2021]