di Antonio Errico
Fino ad un certo punto abbiamo avuto la possibilità di ipotizzare quali saperi sarebbero stati necessari negli anni a venire. Fino alle ultime stagioni del Novecento abbiamo potuto tracciare percorsi di conoscenza, stabilire finalità, delineare prospettive, confidando in alcune certezze o comunque in fondate consapevolezze. Poi, gradualmente ma rapidamente, le possibilità di ipotesi, le aree di previsione, le fondate consapevolezze, si sono ridotte, se non del tutto azzerate. La rapidità con cui mutano i contesti e si attivano e disattivano i fenomeni e i processi sociali e culturali, rendono pressoché improbabile la previsione e mettono a rischio la progettazione. Ma di un progetto abbiamo comunque bisogno; non può esserci formazione e cultura senza un progetto. L’essenziale è che non si tratti di un progetto rigido; l’importante è che si lascino varchi aperti all’imprevisto. Forse non possiamo assumere riferimento diverso da quello della figura di Ulisse: che un progetto di viaggio ce l’aveva, ma aperto, spalancato all’accoglienza del nuovo, dell’imprevisto, dell’avventura.
Forse ora possiamo pensare alla conoscenza soltanto in termini di avventura. Inquieta, anche, perché priva di certezze. Protesa verso l’ignoto anche se tramata di nostalgia. Attratta, allo stesso tempo, dalla condizione del passato e dalla figurazione del futuro. L’avventura della conoscenza si realizza prevalentemente, anche se non esclusivamente, in territori sconosciuti, e quasi del tutto sconosciuti sono i territori della conoscenza che si apriranno nel prossimo futuro. Possiamo formulare qualche ipotesi sugli sviluppi vertiginosi che avrà la tecnologia ma forse molto poco e forse niente possiamo dire sulle conseguenze che produrranno quegli sviluppi. Possiamo supporre che l’umanità avrà necessità di incontrarsi parlando nuove lingue, ma al momento non sappiamo con certezza quali saranno queste lingue. Qualcuno sostiene che saranno quelle orientali. Può darsi. I territori sono foreste sconosciute. L’avventura necessaria, inevitabile. La prospettiva dell’avventura qualche volta ci impensierisce, ci fa quasi paura. Ma poi, ci si rasserena considerando che, in fondo, è sempre stato così, si è sempre avuto un confronto, talvolta anche serrato, con l’incognita e l’imprevisto.