“Io ho sempre lavorato a mercede. Fuori di qualche pagina potenzialmente autobiografica dei primi romanzi giovanili ingenui, poi delle biografie dell’età matura, io non mi riconosco, non mi sento vivere in alcuno dei libri miei licenziati al pubblico”. Così Saponaro scrive, severamente giudicando il suo lavoro, in una pagina del Diario, giustificandosi appena con “la necessità di dare il pane ai miei figli”.
Ora noi sappiamo che il carattere commerciale di una produzione letteraria non può e non deve impedirne la disamina critica e l’individuazione dell’esatta posizione ideologica dello scrittore. A tal proposito, Fabio Moliterni, facendo opera di sintesi, rinviene “un sostanziale sincretismo di modelli e proiezioni che nutrono la coscienza intellettuale dell’autore, tra un moralismo attardato di stampo ottocentesco, di derivazione carducciana e foscoliana, i sentimenti umanitari riconducibili a Pascoli e la “mistificazione mitologica” dei sentimenti paesani e terrosi di un certo D’Annunzio. Ma in Saponaro agiva anche una spinta di tipo interclassista che, come sappiamo, nel confronto con la dialettica reale del suo tempo storico, si riallacciava nostalgicamente alla tradizione democratica del Risorgimento e in particolare al mazzinianesimo filantropico e paternalista, come disegno ideale attraverso il quale postulare per il presente il riassorbimento delle spinte particolaristiche ed eversive a favore dell’interesse collettivo, della convivenza pacifica tra le classi e in nome dello sviluppo generale della società (della nazione)” (p. 138).
Credo che meglio di così non si possa descrivere l’ossatura ideologica di Saponaro, che poi è alla base del suo attuale “ritorno”. Intendo dire che, a prescindere dai riferimenti letterari a Foscolo, Carducci, Pascoli e D’Annunzio, l’attuale riproposizione di Saponaro, che scrive per tutti, in un’ottica appunto “interclassista”, anche a costo di inevitabili compromessi commerciali, risponde bene all’esigenza oggi fortemente avvertita di recuperare scrittori ingiustamente esclusi da un canone formulato altrove e forse troppo in fretta. Da questo punto di vista, significativa è la presenza, in apertura degli Atti, di uno scritto di Enrico Tiozzo, che non è solo lo studioso di Saponaro più esperto (ricordiamo la sua recente monografia Lo spettatore della vita. Poetica e poesia della contemplazione nella narrativa di Michele Saponaro, Roma, Aracne, 2010), ma anche lo “sdoganatore” di autori come Zuccoli, da Verona, Pitigrilli, d’Ambra, Mariani, il cosiddetto romanzo blu – finora escluso dal canone novecentesco – nel quale rientra buona parte della narrativa di Saponaro.
Così pure il mazzinianesimo filantropico e paternalista finalizzato allo “sviluppo generale della nazione” di Saponaro è alla base di una riscoperta che proietta su una ribalta nazionale uno scrittore pugliese, ed in particolare salentino, studiato non in una prospettiva localistica, ma in quella della letteratura del nostro stato unitario. E qui significativo appare – non solo per il suo contributo sulla biografica leopardiana di Saponaro del 1941 – l’intervento sempre efficace e convincente di Mario Marti, il cui motto, Dalla regione per la nazione, sin dal lontano 1987, informa di sé la scuola letteraria di Lecce ed ora, in particolare, il recupero dello scrittore di San Cesario.
Gli Atti del convegno su Saponaro – chiusi da un utile Indice dei nomi – appaiono, dunque, dietro la spinta di questa duplice necessità: “democratizzare” il canone del Novecento, troppo a lungo tiranneggiato da Moravia, Svevo, Pirandello, per citare solo alcuni scrittori, e proiettare la nostra piccola patria verso l’orizzonte della società letteraria italiana, nella quale Michele Saponaro, prima del lungo oblio durato cinquant’anni, era molto ben inserito.
Concludo con l’auspicio che le opere di Saponaro, come si è già cominciato a fare (vedi la Breve nota a latere di questo scritto), vengano ristampate una ad una da qualche benemerito editore, e che un giorno si possa giungere alla pubblicazione dell’opera omnia dello scrittore di San Cesario, perché la sua prosa sia infine fruibile non solo da una ristretta cerchia di specialisti, come finora è accaduto per uno strano paradosso della storia, ma da tutti i lettori.
Breve nota a latere
Parallelamente alla pubblicazione degli Atti del Convegno, di cui nell’articolo sopra, l’anno 2011 è stato ricco di riproposte di opere di Saponaro. Si segnala la riedizione, per i tipi di Edit Santoro di Galatina per conto delle Edizioni Percorsi Meridiani di San Cesario di Lecce, di tre romanzi di Saponaro, pubblicati con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia: Io e mia moglie (1929), Il cerchio magico (1938) e Peccato (1946) con postfazioni rispettivamente di Lina Mairo, Mariapia Del Cuore e Elisabetta Andreassi, romanzi che, insieme a La casa senza sole, edito nel 2010 da Lupo di Copertino per la cura di Enrico Tiozzo (nella collana Novecento da leggere diretta Antonio Lucio Giannone), il lettore non dovrà con fatica più cercare in biblioteca, ma potrà acquistare in libreria. In particolare, i tre romanzi riproposti dalle Edizioni Percorsi Meridiani, curati nella veste grafica da Angela Serafino, sono accompagnati da una Nota metodologica per l’analisi dei romanzi di Saponaro, firmata da Luca Carbone, studioso di sociologia dell’Università del Salento. In questa Nota, riprodotta in calce a ciascuno dei tre romanzi, Carbone dà un’interpretazione sociologica della narrativa di Saponaro, ritenendo che “il romanziere nel raccontare le articolazioni di una vita che si fa “destino” individuale, scandaglia e offre una lettura della realtà sociale; della realtà storica ed in mutamento”.
(2012)