Presentazione a Dimitris Roubis, Archeologia dei paesaggi a Montescaglioso

Ma la lettura di questo volume mi ha fatto ritornare, con la memoria, agli anni settanta del secolo scorso, quando Dinu Adamesteanu, primo Soprintendente e fondatore della ricerca archeologica in Basilicata, affidò a chi scrive, suo giovane collaboratore in attesa della nomina ad Ispettore, la schedatura dei materiali, risultato di scavi di emergenza nel sito di Pagliarone, posto, in posizione simmetrica rispetto a Difesa San Biagio, sugli spalti collinari che dividevano la pianura metapontina dal centro indigeno dominante costituito dall’abitato di Montescaglioso. Nel corso di quel lavoro fui stupito dalla ricchezza e dalla varietà dei materiali da schedare, in particolare dalla ceramiche “matt painted” della prima età del Ferro, e mi ero convinto della necessità di un organico lavoro di ricognizione per un territorio così ricco di testimonianze.

Che uno studio sistematico di questo tipo fosse ormai ineludibile, era chiaro già nell’articolo in Siris I, in cui Dimitris Roubis aveva scritto una parte dedicata alle ricognizioni. In seguito questa esigenza si è trasformata in un progetto strutturato, che egli ha potuto realizzare anche coinvolgendo gli allievi della Scuola di Archeologia, i quali, sotto la sua guida, hanno passato al setaccio il territorio, misurandosi allo stesso tempo con un approccio multidisciplinare che permette di ricostruire l’interazione uomo-ambiente e le dinamiche di trasformazione dei paesaggi in un contesto territoriale di particolare complessità, zona di frontiera tra realtà culturali diverse, partecipi del mondo enotrio ed apulo (vedi i nomi di ceramisti come Dazimos e Plator, tipici dell’onomastica messapica, presenti sui  bolli di tegole prodotti in quest’area), e collegato alla pianura metapontina, dove i Greci, insediati da secoli, erano ormai non meno indigeni dei popoli dell’interno.

Tutte le fasi del presente lavoro sono sostenute da una chiara prospettiva di metodo, che fa riferimento alla longue durée di Fernand Braudel, ed alle esperienze di survey del Boeotia Project di Bintliff e del Biferno Project di G. Barker, che si arricchiscono tuttavia di riflessioni e di spunti innovativi suggeriti dalla natura stessa del territorio, dalle esigenze del lavoro sul campo e dal costante confronto dialettico tra docente ed allievi. Nelle ricognizioni sono stati identificati 77 nuovi siti, che si aggiungono ai 3 già noti, il cui studio offre una visione del tutto originale delle dinamiche d’uso di un ambito regionale, investito, tra IV e III sec. a.C., da una potente energia, che utilizza in modo organico e capillare le sue risorse, secondo modalità che pure appaiono profondamente diverse dalla divisione agraria ortogonale dei kleroi metapontini. Attraverso la splendida documentazione cartografica, il territorio dell’insediamento indigeno di Montescaglioso appare costellato da fattorie, luoghi di culto legati alle sorgenti, impianti produttivi; particolarmente interessante mi è apparsa l’identificazione delle cave di calcare, con i tagli che ancora recano le impronte dei blocchi utilizzati per la costruzione delle mura di difesa a Montescaglioso. Il lavoro di Roubis offre finalmente alla riflessione degli studiosi una documentazione che permette di confrontare i paesaggi rurali di una polis ellenica con quelli di un centro dominante indigeno. Dobbiamo essergli grati anche per aver prodotto uno strumento efficace nella tutela di un paesaggio, che non appare immune da processi di degrado, in qualche caso piuttosto rilevanti.

Concludendo, in un periodo funestato, oltre che dalla pandemia, dall’inutile irrompere, nella nostra lingua, di barbarismi come lockdown, smart-working, droplets, task force, cluster,e via mal dicendo, vorrei sottolineare come Roubis tenga ad utilizzare, correttamente, accanto alle parole italiane, anche molti termini derivanti dal greco, in coerenza con gli argomenti trattati, a segnalare quanto l’amore per la propria lingua possa vivere in armonia con il rispetto di una identità, anche se plurale ed aperta al dialogo.

Francesco D’Andria                                                       Lecce, 21 novembre 2020

Università del Salento

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