Secondo i dati più recenti, in Italia, su 6 milioni di soldati mobilitati, vi fu circa 1 milione di feriti: di questi, circa 500.000 i soldati che riportarono mutilazioni di guerra e oltre 40.000 quelli che ne ebbero gravi patologie psichiche. 14.000 furono i grandi invalidi riconosciuti ufficialmente con una pensione a vita[3].
Anche nel nostro territorio salentino la guerra causò danni ingenti. 12.331 è il numero indicato nell’Albo d’oro dei Militari di Terra d’Otranto caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918[4]. Gli storici salentini hanno prodotto negli ultimi anni un grosso numero di studi sui caduti, consultando gli archivi locali, quelli del Distretto Militare di Lecce, Brindisi e Taranto, quelli comunali, quelli parrocchiali e diocesani, le conservatorie per gli atti giudiziari e notarili, gli archivi delle associazioni combattenti e reduci di guerra e mutilati e invalidi di guerra, gli archivi dei distretti sanitari, ecc., interrogando anche le memorie e gli archivi privati, unendo doverosamente alla ricerca archivistica e bibliografica quella sul campo[5]. E tuttavia, le fonti consultate ci avrebbero detto moltissimo sugli avvenimenti di cui stiamo trattando se svariata documentazione riguardante gli anni della guerra in provincia di Lecce, non fosse andata distrutta poiché, in seguito al r.d.l. 10 agosto 1928, prorogato con altro del 12 dicembre 1930, moltissimi documenti di importanza storica dell’Archivio di Stato di Lecce e dei vari archivi comunali vennero mandati al macero per venire incontro alle esigenze della Croce Rossa, allorquando si costituì un vero e proprio Comitato per la raccolta ed utilizzazione dei rifiuti d’archivio[6].
La Prima Guerra Mondiale fu una incredibile carneficina, tutta la storiografia è stata unanime. Oltre ai colpi da arma da fuoco, erano tante le cause di morte, dalla malnutrizione al freddo, dalle malattie epidemiche, come il tifo e il colera, alla meningite. E chi non moriva in trincea, ne riportava grosse ferite, quasi tutte non più rimarginabili. A causa dell’assideramento, si poteva subire l’amputazione degli arti; se non si moriva sotto i colpi dell’artiglieria, si restava feriti dalle schegge delle pallottole o delle bombe, soprattutto le micidiali granate shrapnel, oppure ancora dai gas asfissianti, come il fosgene, utilizzato dall’esercito austriaco il 29 giugno 1916 sul fronte dell’Isonzo, e che provocò migliaia di morti nelle file del nostro esercito sul Monte San Michele[7].
Come già detto, alle mutilazioni fisiche occorre aggiungere i danni psicologici, causati dal conflitto: nevrosi, attacchi di panico, pazzia[8]. Molti dei soldati tornati dal fronte con danni irreparabili furono ricoverati nei manicomi criminali; quelli che ne uscirono e tornarono alla vita civile non poterono sottrarsi allo stigma e all’etichetta di “scemo di guerra” che gli venne cucita addosso. Le gravi conseguenze psichiche riportate dai soldati erano dovute ai cosiddetti “shell shock”. «Questi quadri clinici suscitarono subito l’interesse degli psichiatri, specialisti allora emergenti (in Italia erano stati riconosciuti ufficialmente nel 1872 ed erano diventati molto influenti a partire dal 1904, grazie alla legge che istituiva i manicomi). Su Lancet, tra le riviste mediche più autorevoli, nel 1915 lo psicologo Charles Myers usò per la prima volta l’espressione shell shock, “shock da bombardamento” o, come lo chiameremmo oggi, disturbo da stress post-traumatico. Myers ipotizzava che le lesioni cerebrali fossero provocate dal frastuono dei bombardamenti oppure dall’avvelenamento da monossido di carbonio. Ma presto fu chiaro che alla base di questi disturbi c’era qualcos’altro, dal momento che i sintomi si manifestavano anche in persone che non si trovavano in prossimità di bombardamenti. Il neurologo francese Joseph Babinski nel 1917 attribuì i sintomi a fenomeni di isteria, disturbo che si riteneva diffuso solo tra le donne (isteros significa utero, in greco). Suggerì quindi di curarlo come allora si trattava l’isteria femminile: con l’ipnosi. E in effetti i trattamenti talvolta funzionavano, nel senso che i sintomi scomparivano o si riducevano. Si diffuse perciò l’idea che questi quadri clinici fossero frutto di simulazioni, messe in atto per non combattere ed essere congedati. Il che diede il via libera all’accusa di “femminilizzazione” o di “omosessualità latente”, e a una serie di trattamenti di tipo decisamente punitivo, come le aggressioni verbali e le “faradizzazioni”, forti scosse di corrente elettrica alla laringe (in caso di mutismo) o alle gambe (in caso di immobilità). “Questa disciplina feroce fu messa in atto soprattutto in Italia, dove persistevano atteggiamenti ispirati alle idee di Cesare Lombroso, che classificavano il malato come un essere inferiore, un soggetto debole e primitivo”, sottolinea Bruna Bianchi, studiosa della Grande Guerra e autrice di La follia e la fuga ”»[9].
Nel Salento, insieme ai tantissimi caduti, che lasciavano mogli e figli piccoli in balia del destino[10], vi fu un grosso numero di mutilati fisici e psichici. A Lecce durante il periodo bellico funzionavano ben quattro ospedali[11]. Molti malati di mente vennero ricoverati presso il Manicomio provinciale di Lecce, che si riempì di soldati riformati per tale infermità. Sarebbe interessante ricostruire gli elenchi dei mutilati di guerra del primo conflitto bellico della provincia di Lecce, ma le nostre ricerche in tal senso si sono rivelate improduttive. Alla già citata assenza di documentazione archivistica, infatti, occorre aggiungere la mancata adesione alla nostra richiesta di informazioni da parte della locale sezione dell’associazione combattenti e reduci di guerra. Né gli storici più esperti consultati sull’argomento ci sono stati di aiuto, ma anzi hanno lamentato la stessa mancanza di utili riscontri. In totale, la guerra produsse 2 milioni e mezzo di malati. Fra le malattie, quelle scolpite indelebilmente sul corpo dei soldati diventavano certo l’avanguardia, come si disse, delle mutilazioni belliche. Il corpo del soldato doveva essere una macchina perfetta ma sul corpo dei feriti la guerra aveva prodotto dei guasti, dei marchi che sarebbero stati incancellabili. Su questi marchi, dopo la fine della guerra, farà aggio il Fascismo per imbastire una propaganda politica tesa a sacralizzare il corpo del combattente, sia esso morto sul campo, attraverso il fiorire dei vari monumenti ai caduti[12], oppure ritornato mutilato dal fronte[13].
Già durante e subito dopo la fine del conflitto, nacquero moltissime associazioni che si occupavano di tutelare gli interessi di coloro che erano in vario modo vittime della guerra.
L’Opera nazionale per la protezione ed assistenza degli invalidi della guerra fu istituita con lo scopo di dare assistenza agli invalidi e alle loro famiglie con legge 25 marzo 1917, n. 481 e riformata con r.d. 18 agosto 1942, n. 1175, convertito in legge 5 maggio 1949, n. 178, quando diventa Opera nazionale per gli invalidi di guerra – ONIG. Questo ente di diritto pubblico, che si occupava di fornire assistenza sanitaria, sociale e giuridica nel reinserimento nel mondo del lavoro degli invalidi, venne soppresso poi nel 1977[14].
Con la legge 18 luglio 1917, n. 1143, nasceva l’Opera nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra –ANFCDG, e il successivo regolamento veniva approvato con r.d. 30 giugno 1918, n. 1044[15]. Il 29 aprile 1917 nasceva l’Associazione nazionale fra mutilati ed invalidi di guerra- ANMIG, riconosciuta giuridicamente con decreto del prefetto di Milano in data 25 giugno 1917 ed eretta in ente morale con r.d. 16 dicembre 1929, n. 2162. Soppressa come ente di diritto pubblico nel 1977, ha continuato a sussistere come ente morale assumente “la personalità giuridica di diritto privato”[16].
Nel 1917 nacqueanche l’Opera nazionale combattenti(ONC), ente morale e assistenziale, attivo fino al 1977[17].
Nel dicembre 1918 nacque la Lega Proletaria Mutilati e Invalidi e Reduci di Guerra che aveva come scopo: «difendere gli interessi dei propri associati», sussidiandoli «a mezzo di oblazioni», di proteggere con ogni mezzo i reduci «dallo sfruttamento capitalistico», in contrapposizione all’Associazione Nazionale Combattenti che, nata sotto l’egida del Ministero della guerra, si dimostrava secondo la Lega, non essere altro che «un focolaio patriottico conservatore»[18].
Il 4 novembre 1918, fu la volta dell’Associazione nazionale combattenti a cui la legge del 19 aprile 1923, n. 850, affidò la rappresentanza degli interessi morali e materiali dei reduci e la loro tutela presso il Governo e presso l’Opera nazionale combattenti[19].
Tuttavia il compito dell’Opera Nazionale Combattenti di bonifica idraulica e agraria venne seriamente ostacolato dai contrasti che si crearono “tra l’Associazione nazionale combattenti e la Lega proletaria tra mutilati, invalidi, feriti e reduci di guerra […] Durante il fascismo, il regime si servì dell’ONC sia in occasione della cosiddetta battaglia del grano (1926) sia nella bonifica dell’Agro pontino avviata nel 1928. Nel secondo dopoguerra, l’ONC beneficiò della gestione di vasti comprensori agricoli grazie alla riforma agraria del 1950”[20].
All’inizio, all’interno di queste associazioni, si scontrano due correnti, quella di sinistra, che nel 1921 si avvicinò al Pci, e quella di destra e nazionalista. Finì per prevalere quest’ultima, che venne poi abbracciata fatalmente dal partito fascista.
Ogni associazione si diffonde capillarmente sul territorio con le varie diramazioni regionali e provinciali. Nel Salento, è nel 1917 che nasce a Lecce la locale sezione dell’Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi di Guerra, per iniziativa di alcuni soldati leccesi rimasti mutilati. Patrocinata dal commendatore Francesco Marangi, la sezione si aprì anche alle vedove e agli orfani di guerra per saldare in un unico vincolo tutti coloro che in vario modo avevano sofferto le terribili conseguenze del conflitto bellico[21]. Inoltre, sulla strada per San Pietro in Lama, presso la Villa Sans Souci, venne installata una scuola di rieducazione per i primi 40 mutilati di guerra, finanziata dal Banco di Napoli[22]. Subito dopo la fine della Guerra, nel 1919, il Comitato provinciale dell’Opera Nazionale Invalidi di Guerra, avviò un progetto per far sorgere negli spazi dell’Ospedale civile una grande officina laboratorio per la produzione di apparecchi ortopedici per i mutilati. Contemporaneamente venne creato un Ospedale per gli orfani di guerra, che erano stati ricoverati presso l’Ospizio Principe Umberto[23].
Nella sede della sezione provinciale di Lecce dell’Associazione, in ricordo del Milite Ignoto, venne apposta una grande targa in marmo nel 1967, nella quale “in una nicchia, delimitata da una ricca architrave lunettata, meglio definita da due grandi colonne con fusto corinzio e da una cornice scolpita con foglie di acanto, è staffata la lapide a caratteri bronzei; nella sua parte superiore sinistra, campeggia il simbolo scudato dell’Associazione dei Mutilati di guerra, costituito da una corona di spine con tre baionette rivolte verso il basso”[24]. Nella stessa sede, nel 1978, venne apposta una targa in bronzo che contiene il Bollettino della Vittoria firmato dal Generale Armando Diaz. La targa fu svelata in occasione del congresso interprovinciale dell’Associazione Mutilati che si tenne il 4 giugno 1978, a cui la stampa locale diede adeguata eco. Nell’occasione intervennero alte autorità civili e militari alla presenza dell’allora presidente provinciale e del presidente nazionale[25].
Come detto, il corpo mutilato del soldato divenne il manifesto vivente della Grande Guerra e dei suoi orrori. Al tempo stesso, il corpo violato, di cui l’eroico Enrico Toti era il simbolo, fu il puntello sul quale la propaganda fascista creò la strategia del primo dopoguerra. Anche perché il partito fascista impone fin da subito il ricordo dei caduti e il sacro rispetto dei mutilati nella prospettiva di una pedagogia politica dell’obbedienza e del sacrificio[26]. Anche il Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti ebbe grande parte nella campagna di glorificazione del corpo del mutilato, modificato dalla guerra ed esaltato in quanto tale. Ciò trovò vasta adesione in un’opinione pubblica piagata dalla tragica esperienza. Il corpo del mutilato rappresentava cioè plasticamente quella che D’Annunzio definì la Vittoria mutilata, a significare la delusione degli ambienti nazionali per l’esito non soddisfacente del conflitto e la rabbia degli ex combattenti per la disoccupazione e l’insufficienza dei vitalizi statali.
Molte parti del corpo erano ferite e queste necessitavano interventi di ricostruzione. Storpi, senza mani, senza gambe, ciechi, muti, sordi, mutilati al viso: la guerra offriva una macabra vetrina da film dell’orrore. In effetti, mai prima di allora vi era stato un ricorso così massiccio alla chirurgia estetica, soprattutto per il volto e per gli arti. Quanto alla ricostruzione del volto, il punto di riferimento per la chirurgia maxillo- facciale in Italia era il Centro stomatologico dell’Ospedale di Bologna, diretto dal professor Arturo Beretta, mentre per la ricostruzione degli arti si faceva riferimento all’Istituto Rizzoli di Bologna, portato in auge dal famoso ortopedico Alessandro Codivilla. La chirurgia plastica, sollevata al rango di scienza medica verso la fine del Cinquecento, con l’opera di Gaspare Tagliacozzi (De curtorum chirurgia per insitionem, del 1597) veniva definita chirurgia ricostruttiva (curtorum, appunto, per i mutilati) e non decoratoria, ossia per esigenze meramente estetiche, quale quella che si è affermata oggi[27].
All’iconografia propagandistica del corpo mutilato, cui il fascismo diede la rappresentazione più forte, contribuirono anche gli artisti. Pensiamo alle pitture di De Chirico e Carrà. Già a guerra in corso non era mancato un netto interesse da parte del mondo dell’arte: dalla raccolta fondi da destinare a organizzazioni di soccorso, prima fra tutte la Croce Rossa, attraverso esposizioni, concorsi, lotterie, ecc., sino all’azione propagandistica evidente nei testi introduttivi ai numerosi cataloghi stampati per far conoscere le opere composte al fronte dagli artisti-soldato[28].“Che l’orizzonte visivo degli artisti italiani fosse dominato dal tema bellico è testimoniato dalla vicenda artistica e personale di due tra i più importanti pittori del Novecento: Giorgio De Chirico e Carlo Carrà. Entrambi ricoverati alla Villa del Seminario di Ferrara inaugurarono il filone dei loro celebri manichini. Da Ettore e Andromaca e le muse inquietanti di De Chirico alla musa metafisica di Carrà, il ritorno alla trasformazione delle forme, come la chiamava Carrà, nascondeva in realtà la scoperta della rivoluzione operata dalla guerra sul corpo degli italiani e degli europei”[29].
Le associazioni di mutilati ed invalidi di guerra aderirono tutte massicciamente al fascismo[30]. Esemplare in questo senso la vicenda del soldato ruffanese Ubaldo Bianchi, avvocato[31]. Egli, nato a Ruffano, il 31 maggio 1898, da Giuseppe e Russo Addolorata, coniugato con Quarta Emma, con 5 figli, è capitano di fanteria nella guerra del ’15-18. Riceve una decorazione con croce di guerra, non sappiamo in quale battaglia viene ferito ma, dichiarato dal Distretto Militare di Lecce invalido di guerra, ottiene pensione a vita. Riceve anche l’onorificenza di Cavaliere della Corona d’ Italia[32]. Esemplare, dicevamo, la biografia di Bianchi, anche perché egli è un uomo colto; negli anni della guerra studia da avvocato, e dunque sfugge a quel ritratto del soldato medio tracciato dal frate psicologo Agostino Gemelli nel suo famoso e contestato saggio sul profilo del soldato ideale[33]. Per classe sociale (la sua, una famiglia della borghesia delle professioni ruffanese) e per formazione, non si attaglia al Nostro l’immagine di un soldato inebetito dalla traumaticità della guerra, incapace di pensiero proprio e totalmente dipendente dai comandi dei superiori, come dall’analisi dell’ufficiale medico Gemelli[34]. Ché anzi, come è stato rilevato per la corrispondenza di guerra, rispetto ai soldati semi analfabeti, le cui lettere si somigliano un po’ tutte per la forma e per i sentimenti da cui si generano, gli ufficiali si comportano in maniera molto diversa e anche i loro documenti sono differenti a seconda della formazione scolastica e ideologica degli scriventi, tanto che “per alcuni aspetti i soldati dei differenti paesi si assomigliavano di più tra di loro che agli ufficiali della loro stessa nazionalità, e così gli ufficiali agli altri ufficiali”[35].
Ubaldo Bianchi si iscrive al P. N. F. il 1
gennaio 1923; fascio di Ruffano. La sua scheda riporta: “benemerenze fasciste
(Sansepolcrista, ferito, Marcia su Roma, squadrista) Sciarpa Littorio;
incarichi politici già ricoperti: Segretario Politico Ruffano dal 1929 –
Ispettore Federale per la XIV zona dal 1934; iscritto al sindacato dal 13 luglio
1928; imponibile di R. M. L. 3.000; ufficio imposte che accerta Casarano;
esattoria che riscuote Ruffano”[36]. Dunque,
egli era un fascista della prima ora. “Sansepolcrista”, è scritto, cioè era
stato presente alla riunione tenuta a
Milano, presso palazzo degli Esercenti, in piazza San Sepolcro, il 23 marzo
1919 per la fondazione dei
Fasci italiani di combattimento. Aveva partecipato alla Marcia su Roma ed era
uno squadrista. Il suo corpo divenne per Bianchi un segno di riconoscimento,
qualcosa di costitutivo della sua identità e probabilmente egli lo esponeva fiero
a Roma alla presenza del Duce e dei quadri del partito fascista. La sua
mutilazione diveniva una medaglia interiore cui corrispondevano all’esterno
quelle che si appuntava al petto, le decorazioni militari. Le mutilazioni, i
marchi di guerra, come li abbiamo prima definiti, erano i segni più evidenti ed
osceni che il conflitto potesse lasciare sui corpi dei soldati, come delle
macabre epigrafi sulla carne viva. Questa ambivalenza delle mutilazioni, fregio
e ferita, orgoglio e dolore, costituiva una problematica antinomia che avrebbe
pesato a lungo sulla storia del nostro Paese.
[1] Si veda: S. A.-Rouzeau e A. Becker, La violenza, la crociata, il lutto: la Grande Guerra e la storia del Novecento, traduzione di Silvia Vacca, Introduzione di Antonio Gibelli, Torino, Einaudi, 2002.
[2] http: astratto.info/la-sapienza-v2.html?page=7
[3] Cfr.: V. Gigante, L. Kocci, S. Tanzarella, La grande menzogna. Tutto quello che non vi hanno raccontato sulla Prima Guerra Mondiale, Viareggio, Dissensi, 2015.
[4] Ministero della Guerra, Militari caduti nella guerra 1915-1918. Albo d’oro, vol. XVIII, Puglie: provincia di Lecce, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato Libreria, 1938. Cfr.: C. De Carlo, Albo d’oro dei caduti di Terra d’Otranto per la Patria, Lecce, Tip. Editrice Salentina, F.lli Spacciante, 1918-1919.
[5] Si vedano a riguardo: M. T. Calvelli, Soldati di leva. Storie di giovani salentini alla Grande Guerra attraverso le fonti d’archivio, in «L’Idomeneo. Il Salento e la Grande Guerra. Atti del Seminario di Studi», Società Storia Patria-Sezione Lecce, n. 18-2014, pp.19-28; P. Palma, La Grande Guerra nell’Archivio di Stato di Lecce e negli Archivi Storici Comunali, Ivi, pp. 29-50.
[6] P. Palma, La Grande Guerra nell’Archivio di Stato di Lecce cit., p. 50.
[7] M. T. Calvelli, Soldati di leva. Storie di giovani salentini alla Grande Guerra, cit., p. 24. Fra questi, il soldato magliese Fortunato De Donno, intossicato dal gas e ricoverato nell’ospedale di Palmanova, autore anche di un memoriale di guerra. E. Filieri, Sulla Grande Guerra. Due salentini fra Ungaretti e D’Annunzio, in «L’Idomeneo. Il Salento e la Grande Guerra. Atti del Seminario di Studi», Società Storia Patria-Sezione Lecce, n. 18-2014, pp. 190-197. Sul De Donno, si veda: T. Pascali, I miei ricordi di guerra di F. De Donno, in Salento da leggere. Proposte di lettura ed esperienze didattiche tra ‘600 e ‘900, Atti del seminario di studi Università del Salento, Lecce, 19-20 aprile 2007, a cura di Antonio Lucio Giannone e Emilio Filieri, Copertino, Lupo, 2008, pp. 101-106.
[8] Si veda: B. Bianchi, La follia e la fuga. Nevrosi di guerra, diserzione e disobbedienza nell’esercito italiano 1915-1918, Roma, Bulzoni, 2001.
[9] M. Erba, Non chiamateli scemi di guerra, in «Focus Storia», n. 103, maggio 2015, pp. 88-90. Sul tema si possono utilmente consultare: F. Milazzo, La ‘guerra dei nervi’. Shell shock, nevrosi traumatiche e primo conflitto mondiale, in «Peloro», rivista del dottorato in scienze umanistiche dell’Università di Messina, V.2, 1, 2017, pp. 59-86; A. Scartabellati, Esistenze mutilate. La storia senza riscatto dei folli di guerra, in Guerra e disabilità. Mutilati e invalidi italiani e primo conflitto mondiale, a cura di Nicola Labanca, Milano, Unicopli, 2016, pp. 75-93.
[10] L’Amministrazione provinciale costituì il Comitato provinciale orfani di guerra. P. Palma, La Grande Guerra nell’Archivio di Stato di Lecce cit., p. 40.
[11] L’ufficiale medico Giuseppe De Franchis, chirurgo nell’Ospedale militare Argento, scrisse Chirurgia di guerra, Lecce, Tip. Editrice Salentina, F.lli Spacciante, 1919.
[12] Vastissima la bibliografia su questo argomento. V. Labita, Il milite ignoto. Dalle trincee all’Altare della patria, in Aa.Vv.,Gli occhi di Alessandro. Potere sovrano e sacralità del corpo da Alessandro Magno a Ceausescu, a cura di S. Bertelli E C. Grottanelli, Firenze, Ponte alle grazie, 1990, pp. 120-153; F. Fergonzi, Dalla monumentomania alla scultura arte monumentale, in M. T. Roberto e F. Fergonzi, La scultura monumentale negli anni del Fascismo. Arturo Martini e il monumento al Duca d’Aosta, a cura di Paolo Fossati, Torino, Allemandi, 1992, pp. 133-211; M. Isnenghi, L’Italia in piazza. I luoghi della vita pubblica dal 1848 ai nostri giorni, Milano, Mondadori, 1994 (nuova ed.: Mulino, Bologna 2004); B.Tobia, L’Altare della patria, Bologna, Il Mulino,1996; M. Isnenghi, I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 1996; S. Bonelli, Gli spazi della memoria. La scelta dei luoghi, in V. Vidotto, B. Tobia e C. Brice, La memoria perduta. I monumenti ai caduti della Grande Guerra a Roma e nel Lazio, Roma, Nuova Argos Edizioni, 1998, pp. 29-37; B.Tobia, Dal milite ignoto al nazionalismo monumentale fascista (1919- 1940), in Aa.Vv., Storia d’Italia. Annali 18: Guerra e pace, a cura di Walter Barberis, Einaudi, Torino 2002, pp. 591-642; B.Tobia, ‘Salve o popolo d’eroi’. La monumentalità fascista nelle fotografie dell’Istituto Luce, Editori Riuniti, Roma, 2002; N. Labanca, Studiare i monumenti e i segni di memoria della Grande Guerra, oggi, in M. Mangiavacchi e L. Vigni, Lontano dal fronte. Monumenti e ricordi della Grande Guerra nel Senese, Siena, Nuova Immagine, 2007, pp. 19-36; S. Quagliaroli: Un’arte per la memoria: monumenti piacentini ai caduti della Grande Guerra, in «Studi interculturali, Rivista semestrale a cura di Mediterránea, Centro studi interculturali Università di Trieste», Quaderni di Studi Interculturali, Supplemento al Numero 3, 2017, cura di Mario Faraone, pp. 205-243; D. Lotti, Rivolgersi agli ossari. Trent’anni di storia patria raccontati dal cinema e dalla fotografia. Dal Carso al Vittoriano (1921-1954), in «Fotografia e culture visuali del XXI secolo», a cura di Enrico Menduni, Lorenzo Marmo e la collaborazione di Giacomo Ravesi, 2018, pp-355-368; P. Vincenti, L’arte commemorativa postbellica. Antonio Bortone da Ruffano e una sua opera inedita, in «L’Idomeneo. La Grande Guerra e i vent’anni de L’Idomeneo», Università del Salento, n.26, Lecce, 2019, pp. 247-282; Idem,“L’ombra sua torna ch’era dipartita”. Il culto dei caduti in Terra d’Otranto nelle opere di Antonio Bortone, in Storia e storie della Grande Guerra Istituzioni, società, immaginario dalla Nazione alla Terra d’Otranto, a cura di Mario Spedicato e Paolo Vincenti, Società Storia Patria Sezione Lecce, Novoli, Argomenti Edizioni, 2020, pp. 199-216. In questo stesso volume, Idem, Nomina nuda tenemus. La memoria ricomposta dei caduti in guerra attraverso i sacrari. Il caso di un piccolo centro del Sud Salento: Gagliano Del Capo, pp.
[13] Sul tema del corpo e delle mutilazioni, si veda anche: C. Martino, La Grande Guerra delle immagini. Fotografie choc e immunizzazione dell’orrore, in «Studi interculturali, Rivista semestrale a cura di Mediterránea, Centro studi interculturali Università di Trieste», Quaderni di Studi Interculturali, Supplemento al Numero 3, 2017, cura di Mario Faraone, pp. 181-204.
[14] Fonte: htp.: siusa.archivi.beniculturali.it › cgi-bin › pagina
[15]Ibidem
[16] Ibidem.
[17] “L’ente fu operativo, con oltre 1.100 progetti, su 45 aree territoriali nazionali, dall’Alto Adige alla Sardegna, alle quali si aggiunse nel 1937 anche l’iniziativa in Africa orientale. L’Opera differenziò la propria attività in interventi di bonifica idraulica e agraria, piani di appoderamento, sistemazioni montane, opere antianofeliche, piani regolatori e relativi edifici per nuovi centri comunali e borghi rurali, case coloniche, recupero di edifici preesistenti, come ad esempio le masserie pugliesi o i fabbricati altoatesini. Nel secondo dopoguerra l’ente fu attivo soprattutto nel ripristino dei danni di guerra e come concessionario nelle iniziative per l’incremento dell’occupazione.” www.acs.beniculturali.it › opera-nazionale-combattenti
[18] Fonte: www.enciclopediabresciana.it › enciclopedia › title=LEGA_Proletaria
[19] Il successivo regio decreto 24 giugno 1923, n. 1371, la eresse in ente morale avente personalità giuridica di diritto pubblico. Nel 1947 l’Associazione nazionale combattenti si fuse con l’Associazione nazionale reduci dalla prigionia, assumendo la nuova denominazione di Associazione nazionale combattenti e reduci-ANCR, che nel 1977 divenne ente di diritto privato. htp.:siusa.archivi.beniculturali.it › cgi-bin › pagina
[20] www.treccani.it › enciclopedia › opera-nazionale-combattenti_
[21] V. De Luca, Lecce negli anni della Grande Guerra, Galatina, Editrice Salentina, 2019, p. 171.
[22] Ibidem.
[23] V. De Luca, Lecce negli anni della Grande Guerra, cit., p. 235.
[24] V. De Luca, “Stringiamoci a coorte siam pronti alla morte l’Italia chiamò”. La Prima guerra mondiale nei monumenti e nelle epigrafi di Lecce, Galatina, Editrice Salentina, 2015, pp. 43-44.
[25] Ivi, pp. 27-28.
[26] P. Genovesi, Il culto dei Caduti della Grande Guerra nel progetto pedagogico fascista, in Aa. Vv., Lo tsunami delle guerre: guerra, educazione e scuola, a cura di Luciana Bellatalla, numero monografico, «Annali on-line della Storia dell’educazione e della politica scolastica», n.1, 2015, p. 92.
[27] T. Ariemma, Il corpo preso con filosofia. Body building chirurgia estetica clonazioni, Saonara (Pd), Il prato, 2013, p. 42.
[28] Fra gli altri: M. Pizzo, Pittori-soldato: materiali figurativi come documenti d’archivio, in Pittori-soldato della Grande Guerra, a cura di Marco Pizzo, n.11-16, Roma, Gangemi, 2005, pp. 195-209; P. Foglia, Perché pietà non muoia. Le mostre d’arte durante il conflitto tra beneficienza e propaganda, in La grande Guerra. Società, propaganda, consenso, a cura di D. Cimorelli, A. Villari, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2015, pp. 89-101.
[29] I grandi mutilati reduci dalla Grande Guerra. Pinocchi di trincea, in Il corpo ferito nella Grande Guerra, testi di Barbara Bracco, www.youtube.it
[30] A. Cazzullo, La guerra dei nostri nonni. 1915-1918: storie di uomini, donne, famiglie, Milano, Mondadori, 2014, pp. 187-188.
[31] Ordine degli avvocati Provincia di Lecce, Una vita di impegno civile e sociale Michele De Pietro e Clementina Fumarola, a cura di Michele Mainardi, Lecce, Edizioni Grifo, 2017, p. 152.
[32] Ibidem. Il prezioso volume, voluto dall’ordine degli avvocati di Lecce, riporta nella sua scheda: “Iscrizione all’albo degli avvocati n. 141; data 10 febbraio 1927; titolo di studio: laurea in giurisprudenza, rilasciata dalla R. Università di Roma in data 4.3.1921; occupazione abituale avvocato”. Ringrazio vivamente l’amico Francesco Frisullo per la segnalazione del soldato ruffanese.
[33] A. Gemelli, Il nostro Soldato. Saggi di psicologia militare, Milano, Fratelli Treves Editori, 1917 (ristampa 1918).
[34] M. Isnenghi, La Grande Guerra, Firenze, Giunti Casterman, 1997, p. 57.
[35] L. Renzi, Lettere di soldati della grande guerra in Francia, Italia e Romania, in Memorialistica e letteratura della Grande Guerra. Parallelismi e dissonanze. Atti del Convegno di studi italo-romeno Padova–Venezia, 8–9 ottobre 2015, a cura di Dan Octavian Cepraga, Rudolf Dinu E Aurora Firţa, Quaderni della Casa Romena di Venezia, XI- 2016, Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, 2016, p. 20. P. Vincenti, Bella matribus detestata: gli orrori della Prima Guerra Mondiale nel memoriale di un fante salentino, in «L’Idomeneo. La Grande Guerra e i vent’anni de L’Idomeneo», Università del Salento, n.26, Lecce, 2019,pp. 223-246.
[36] Ordine degli avvocati Provincia di Lecce, Una vita di impegno civile e sociale, cit.,p. 152.
[[Il corpo nella Prima Guerra Mondiale. Mutilati e invalidi di guerra salentini, in Appartenere alla storia. Studi in memoria di Valentino De Luca, a cura di Mario Spedicato e Paolo Vincenti, Società Storia Patria Puglia sezione Lecce, Castiglione, Giorgiani Editore, 2021.]