Il corpo nella Prima Guerra Mondiale. Mutilati e invalidi di guerra salentini

di Paolo Vincenti

E sogno una nuova tradotta
riempita di commilitoni,
che mangiano pane e ricotta
e intonano vecchie canzoni.
E nell’ospedale da campo
i feriti che tornano in sé
e io che non sono più stanco,
sto bene e vengo da te.
Ta-pum…… Ta-pum……

(Enrico Ruggeri, Lettera dal fronte)

     RIASSUNTO. Il saggio tratta il tema del corpo dei mutilati della Prima Guerra Mondiale nelle sue valenze fisiche e simboliche. Si sofferma sul fiorire delle associazioni mutilati e invalidi di guerra nate subito dopo il conflitto e sulla loro legislazione. Affronta il caso di specie di un soldato di origine ruffanese, mutilato di guerra e fascista, che partecipò alla Marcia su Roma.

     ABSTRACT. The essay deals with the theme of the body of the mutilated of the First World War in its physical and symbolic values. He focuses on the flourishing of the maimed and disabled associations born immediately after the conflict and on their legislation. It deals with the specific case of a soldier, war maimed and fascist, who participated in the March on Rome.

     La Prima Guerra Mondiale portò con sé un’esplosione di violenza inaudita[1]. Nella Grande Guerra si sperimentarono non solo nuovi metodi di combattere ma anche inedite e più letali armi. Per la prima volta ad Ypres, il 22 aprile 1915, vennero usate delle armi chimiche dalle truppe tedesche contro i contingenti francesi. Terribile fu la battaglia di Verdun, nel 1916, una delle più cruente della Prima Guerra Mondiale. Lo scoppio delle granate, oltre ad uccidere coloro che venivano direttamente colpiti dalla deflagrazione, produceva per un raggio assai vasto miriadi di piccoli proiettili, o schegge di proiettili, che raggiungendo gli occhi causavano lesioni irreparabili rendendo ciechi i soldati (i cosiddetti blinded soldiers). Specie per l’utilizzo dei gas e dei lanciafiamme, non solo la Francia riportò un numero impressionante di soldati mutilati, ma anche l’Italia, che alla fine del conflitto contava 1480 ciechi di guerra, tanto vero che, proprio per fare fronte alla eccezionale emergenza delle cure di questi soldati, nacque l’Istituto Nicolodi di Firenze, intitolato al soldato Aurelio Nicolodi, il primo ufficiale italiano della Grande Guerra ad essere vittima di tale mutilazione[2].

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