Manco p’a capa 65. Insostenibilità ambientale: non bastano le tattiche, ci vuole una strategia

Con le delocalizzazioni spostiamo i sistemi di produzione insostenibili verso paesi in cui le norme sull’integrità ambientale e sulla salute umana sono assenti, o quasi. Ma la chiusura di un’acciaieria inquinante in Italia e la sua riapertura, altrettanto inquinante, in un paese più permissivo, porta anche in Italia le conseguenze dell’inquinamento: il cambiamento climatico è “globale” e non riconosce confini giurisdizionali. La furbata di spostare le industrie inquinanti “da qualche altra parte” (fuori dal nostro giardino) non funziona. I privati che spostano guadagnano perché risparmiano i costi delle produzioni pulite, ma gli stati devono affrontare crisi sociali derivanti dalla disoccupazione e poi crisi ambientali derivanti da produzioni “sporche” che sporcano anche noi.

È l’insostenibilità ambientale a non essere sostenibile economicamente. Se sommiamo i costi economici di incendi, alluvioni, e di altre catastrofi che, magari, causano ondate migratorie da siti particolarmente colpiti, ecco che ci accorgiamo che non abbiamo soldi per “pagare il conto”.

Questi problemi non si affrontano uno alla volta. D’estate gli incendi, in autunno le alluvioni, in inverno il gelo, in primavera gli sbalzi da caldo estremo a freddo estremo, con conseguenze negative sull’agricoltura. Si tratta di costi enormi. Non bastano le tattiche, ci vuole una strategia.

Il Programma Nazionale di Recupero e Resilienza investe risorse enormi per la transizione ecologica ma si comincia già a dire che i costi sono troppo alti, con una miopia che non sposta di una virgola i comportamenti economici che abbiamo tenuto fino ad ora.

E ora qualcuno dice che oramai è troppo tardi e che non c’è modo di invertire questo corso. Non è mai troppo tardi e ogni stato ha il dovere di fare la sua parte, pur sapendo che non basta il comportamento di un singolo stato a cambiare le cose. Giustificare i propri errori con gli errori degli altri non ripara gli errori. Ognuno deve fare la sua parte, e l’Europa lo ha capito. La mia sensazione è che l’Italia non lo abbia capito…

Una tattica per affrontare gli incendi richiede l’acquisto di velivoli speciali per gettare bombe d’acqua sui focolai, ma la strategia locale richiede una gestione oculata dei boschi e della vegetazione in generale. La macchia mediterranea è adattata agli incendi: brucia, ma si riprende rapidamente. Altre tipologie di vegetazione, soprattutto quelle montane, non sono adattate agli incendi. Probabilmente saranno sostituite da altre tipologie di vegetazione, se le cose non cambieranno. La natura si adatta, e ci aspetta un mondo differente. Una cosa è certa: non riusciremo a distruggere la natura, ma riusciremo a cambiarla, visto che già lo stiamo facendo. Il cambiamento sarà a noi favorevole? Non siamo adattati a vivere a temperature così alte! L’adattamento è l’aria condizionata ma, per farla funzionare, abbiamo bisogno di energia e per produrla bruciamo combustibili, esacerbando il riscaldamento globale. Risolviamo il problema nell’immediato (i locali sono freschi) ma generiamo disastri nel medio e lungo termine (il clima è sempre più caldo).

I sintomi che il nostro comportamento economico debba cambiare sono chiarissimi, potremmo dire “brucianti”, ma stentiamo a interpretarli correttamente. Elaboriamo piani per mitigare le conseguenze dei nostri comportamenti (il PNRR), e poi continuiamo a proporre sempre le stesse ricette, con una fasulla patina verde.

Greta sembrava una pazza quando, alle Nazioni Unite, ammoniva i governi con faccia truce: il mondo sta bruciando e voi parlate solo di soldi. Ora sta bruciando l’Italia (e non solo) e noi continuiamo a parlare di soldi. Dovranno avvenire catastrofi ancora più estreme, temo, prima che davvero si capisca che non possiamo continuare così.

[Il blog di Ferdinando Boero ne “Il Fatto Quotidiano” online del 19 agosto 2021]

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