A partire da quel momento, vi fu una straordinaria fioritura di opere d’arte e monumenti ai caduti, in tutta Italia. Il cenotafio del Vittoriano saldava idealmente il passato con il presente e dava la stura a tutte le realizzazioni a venire.
Fu così istituzionalizzato il culto dei morti[3]. Con l’avvento del Fascismo, questa commemorazione diventò preciso programma politico del regime, calcolata strategia di rispecchiamento, e la memoria, un dovere civico per ogni cittadino della patria. Nacquero i Parchi delle Rimembranze, cioè giardini o ville comunali in cui venivano piantati tanti alberi quanti erano i caduti in guerra. Associazioni combattentistiche e società operaie si prodigavano per la creazione di targhe commemorative, così anche le parrocchie e generaliter le associazioni religiose[4].
Tutti questi sforzi trovarono compimento nella creazione del mito dell’eroe caduto per la Patria, nella memoria organizzata, rappresentata iconicamente dal monumento ai caduti, simulacro-lavacro della Patria, polo totemico della funzione storica, sociale, politica del ricordo. Un monumento dalla doppia, per non dire ambigua, valenza semantica: commemorazione del caduto in guerra- glorificazione dell’eroe; religiosa pietà per un martire dell’odio e della umana crudeltà -esaltazione del suo sacrificio reso alla patria. In una forzosa coniunctio oppositorum, la memoria privata e quella pubblica si fusero e dalla celebrazione scaturì la ritualizzazione di un omaggio destinato col tempo a perdere il valore privato, affettivo, sentimentale, per potenziare quello pubblico, politico, propagandistico. Il mito dell’eroe morto in guerra fornì basamento alla campagna nazionalista imbastita da un regime in cerca di un simbolo identitario, un puntello ideologico e un presupposto di coesione sociale, per mezzo del quale riconoscersi tutti figli –cittadini e soldati- della stessa madre -patria e vittoria.
Fiorirono allora stele, cippi commemorativi, targhe e Statue della Vittoria. Sorsero anche le “strade degli eroi”. Come spiega Mario Insneghi[5], questi monumenti affratellano le famiglie nel dolore ed occupano i luoghi centrali dei paesi, come le piazze (poi denominate tutte “4 novembre” e conosciute come “Piazza Caduti”), perché il centro fisico del luogo si identifichi col centro simbolico della sua comunità. È d’accordo la Bonelli[6]. «Nell’indefesso lavorio condotto dai governi per convertire il dolore del popolo in orgoglio nazionale», si crea «una certa omogeneizzazione dello spazio pubblico consacrato al ricordo della guerra»[7]. Questi siti fortemente evocativi, finanche suggestivi per l’aura che promanano, assumono importanza fondamentale come luoghi dell’imaginario collettivo. Si fonde nel sentimento popolare un senso di inattingibile e un religioso rispetto per queste “pietre ignee cadute dal cielo”, secondo le parole pronunciate nel 1921 da Gabriele D’Annunzio, con le quali Martina Carraro e Massimiliano Savorra hanno intitolato il loro libro[8].
La connessione fra storia generale e storia locale, attraverso la monumentalistica postbellica, coinvolge, come tutta la nazione, anche il nostro territorio. Ai soldati caduti, ogni paese, anche il più piccolo d’Italia, ha dedicato dei monumenti, da quelli più sfarzosi e imponenti ai più piccoli ma non meno significativi. Essi sono dei cenotafi, appunto perché i corpi dei soldati riposano altrove, quasi tutti nei sacrari militari. È stato possibile accertarlo, grazie alle ricerche degli storici che hanno pubblicato negli ultimi anni densi e consistenti volumi, come, venendo al Meridione d’Italia, per il caso di Gagliano del Capo, comune dell’entroterra leucano, ha fatto Cosimo Rao, col suo Gagliano del capo e la grande guerra nel ricordo degli eroi caduti[9], in cui si occupa dei soldati di Gagliano morti in guerra, i nomi dei quali sono oggi segnati nella lapide muraria che costituisce il Monumento ai Caduti del paese. Di questi 60 caduti, passati in rivista, pochi sono seppelliti nel locale camposanto. Per la maggior parte, si trovano nei sacrari militari in Italia e all’estero. Infatti, i luoghi del decesso sono vari. Fra questi: Candelù di Piave, Castegnavizza, Casa Split (Monte Zomo), campo di prigionia di Mauthausen (Austria), Monte Zovetto, Oslavia, Cima Bocche, Col del Rosso, Bosco Lancia, altopiano della Bainsizza, monte Tomba, ed altri. Attraverso le vicende belliche e il destino di questi soldati, si ripercorre anche la mappa geo-politica della partecipazione italiana alla Prima Guerra Mondiale.
Occorre dire che le ricerche degli studiosi locali hanno una valenza sociale e sociologica del tutto evidente, specie in contesti di eventi bellici, di sanguinose tragedie come le guerre. Infatti, se non vi fosse una contestualizzazione degli eventi collettivi al proprio territorio di appartenenza, con nomi, luoghi, circostanze, riferiti dagli studi di locale storia patria, per forza di cose, nel comune sentire, una guerra resterebbe confinata nella dimensione esclusivamente antropologica, ovvero in una dimensione essenzialmente astorica lasciata all’interpretazione di derivazione psicanalitica degli studiosi come Gaston Bouthoul di “festoso sacrificio”[10]; e ciò per quell’intimo rapporto, evidenziato dall’analisi di Roger Caillois, «che lega questa forma organizzata e di massa del sacrificio umano, che è la guerra moderna, al parossismo effervescente e fondativo, tipico della rottura del tempo ordinario, che si ingenera nella pausa festiva»[11]. Chi legge o studia una guerra, cioè, sarebbe portato a considerare l’evento come qualcosa di lontano da sé, che rimane racchiuso nel libro o nel documentario televisivo, se non avesse forti legami che lo coinvolgano emotivamente, ancorandolo a quanto viene raccontato. In questo senso, rivelano tutta la propria utilità le ricerche tese a documentare quali effetti concreti un conflitto bellico abbia prodotto in una delimitata area geografica, quante perdite, che rovine abbia lasciato, quali sentimenti abbia smosso nella coscienza collettiva, come la stampa locale ne abbia trattato, come lo abbia fatto la politica, che commemorazioni siano state organizzate. Ecco, in particolare, queste ultime, servono a rendere concreti gli sforzi degli operatori culturali, privati o pubblici, e contestuali le vicende belliche, affinché tutto ciò che apparirebbe estraneo, libresco, lontano da sé, venga, per così dire, neutralizzato dalla partecipazione privilegiata all’evento, e diventi unico, non più assimilabile agli altri. In particolare, a questa ufficializzazione, alla partecipazione concreta di una comunità, servono i nomi: e i nomi sono quelli dei caduti in guerra, non di indistinti militi ignoti o di leggendari condottieri e generali, ma di persone in carne ed ossa, parenti, famigliari, amici, vicini di casa, che hanno vissuto la dolorosa esperienza del fronte o vi sono morti.
Cosimo Rao, ufficiale della Marina Militare Italiana, pluridecorato, oggi in congedo, da diversi anni, ossia da quando ricevette l’incarico di Capo Ufficio f.f. e Capo Sezione Storico – XVI Statistica del Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti, conosciuto come “Onorcaduti”, in vista dei preparativi del Centenario della Grande Guerra, ha deciso di dedicarsi al proprio paese e redigere una biografia per ogni singolo caduto di Gagliano del Capo. Ha svolto così approfondite ricerche, attraverso l’Archivio Storico Comunale di Gagliano del Capo, l’Archivio di Stato di Lecce, l’Archivio Storico Onorcaduti e Albo d’Oro (per i Cartellini dei Caduti e relativi fascicoli), l’Archivio Storico Persomil (dove si trova il Registro ruoli matricolari personale marina) e l’Archivio storico della Marina Militare (per i Registri navali delle unità menzionate). Nel libro, fornisce una scheda per ogni soldato, con i dati biografici, i dati dei fogli matricolari e dell’Albo d’Oro, i luoghi del combattimento e le circostanze della morte. Per ognuno, una foto. Ma vi è anche posto per le foto dei sacrari militari dove sono seppelliti.
Molto vasta è la bibliografia salentina sulla materia, ma valga come specimen il libro di cui stiamo trattando, ai fini della tesi che nel saggio si vuole dimostrare.
Riportiamo i dati riepilogativi del volume, da cui possiamo verificare i principali luoghi di sepoltura dei soldati, e inoltre alcune significative statistiche sulla loro età, l’arma di appartenenza, il grado di istruzione, la professione.
SACRARIO DI FOGLIANO REDIPUGLIA:
Soldato Bisanti Salvatore di Giuseppe, fra gli Ignoti. Soldato Caputo Giuseppe di Francesco. Soldato Ciardo Giuseppe di Francesco. Soldato Ciardo Luigi di Cesario, fra gli Ignoti. Soldato Coppola Giovanni di Domenico, fra gli Ignoti. Soldato Morciano Donato di Ippazio. Soldato Pelagalli Lorenzo. Soldato Pizzolante Rocco di Michele, fra gli Ignoti. Soldato Stendardo Vito di Silvestro. Soldato Vitali Luigi di Francesco, fra gli Ignoti.
SACRARIO MILITARE DI ASIAGO:
Soldato Cagnazzo Andrea. Soldato Cucinelli Donato. Soldato Mangiullo Vito. Soldato Sergi Domenico Francesco.
CIMITERO MILITARE DI SIGMUNDSHERBERG:
Soldato Cosi Vincenzo di Vito.
SACRARIO DI BASSANO DEL GRAPPA:
Soldato Ciardo Vincenzo di Domenico. Soldato Mazzini Giuseppe. Soldato Melcarne Pasquale.
SACRARIO MILITARE DI BIELANY (POLONIA):
Soldato Ciardo Rocco di Vito.
TEMPIO OSSARIO DI UDINE:
Soldato Sergi Lorenzo.
CIMITERO MILITARE ITALIANO D’ONORE DI MONACO DI BAVIERA:
Soldato Melcarne Michelangelo.
SACRARIO DI CASTEL DANTE DI ROVERETO:
Soldato Maglie Vincenzo.
SACRARIO MILITARE DI POCOL:
Soldato Ferraro Orazio.
TEMPIO OSSARIO DEL LIDO DI VENEZIA:
Eroe Marinaio Scelto De Filippis Salvatore.
CIMITERO DI SALONICCO – SETTORE ITALIANO:
Soldato Eroe Marzo Luigi.[12]
STATISTICA
Caduti proietti n. 3
Caduti sposati n. 19
Il più giovane eroe soldato Ciardo Francesco di Vito, classe 1899[13].
Il più anziano soldato Trane Lorenzo di Carmine, classe 1876.
Numero maggiore di Caduti classe 1888 (7 Caduti) e 1891 (7 Caduti).
Grado di istruzione dei Caduti
26 su 60 sanno leggere e scrivere.
Caduti che hanno preso parte al conflitto Italo-Turco (1911 – 1912):
Arbace Giacomo, Ciardo Luigi di Cesario, Coppola Giovanni, Marino Alessandro e Zaccaro Agostino
Arma di appartenenza
52 del Regio Esercito, 8 del C.R.E.M. (Corpo del Regio Equipaggio Marina)
Professioni dei Caduti
contadino n. 31
pescatore n. 7
carrettiere n. 5
muratore n. 3
falegname n. 2
trainante n. 1
panettiere n. 1
carrozziere n. 1
giudice n. 1
studente ingegneria n. 1
ufficiale postale n. 1
impiegato n. 1
possidente n. 1
studente n.1.[14]
Come si può vedere, diversissimi sono i luoghi di sepoltura, come innumeri i cimiteri monumentali fioriti fra le nazioni italiana, croata, slovena, austriaca, tedesca.
In Italia, l’architettura commemorativa si esplica fra il Veneto, il Trentino e il Friuli Venezia Giulia. Sacrari militari nell’area veneta, sono, fra gli altri: Pasubio (1926), Schio (1930), Monte Grappa, Montello e Fagaré (1935), Asiago (1936). Si tratta di complessi monumentali, come il Sacrario del Monte Grappa, che Daniele Pisani ha definito “il primo e il più grande monumento della vittoria”[15]. Fra tutti, il più conosciuto e importante dal punto di vista simbolico è il Sacrario di Redipuglia. «Con il suo spiazzo per le adunate e le sue enormi dimensioni, il sacrario di Redipuglia si prefigge di colpire su un piano -quello del fanatismo, giudicato imprescindibile da intellettuali fascisti di primo piano, come Pietro Maria Bardi – che è emotivo: il sacrario è l’apparecchiatura per riti di massa, che lo scoppio della seconda guerra mondiale avrebbe condannato a rimanere pressoché inutilizzata. Un sacrario come quello di Redipuglia appartiene infatti a tutti gli effetti a quella architettura, dai tratti spiccatamente monumentali, a cui il fascismo affida il compito di contribuire alla costruzione di una nuova civiltà italiana e di un nuovo italiano. Impilando innumerevoli loculi che emettono all’unisono il medesimo grido – la formula Presente, in cui culmina il rito dell’appello, ripetuta ad infinitum sulle facce verticali dei gradoni del sacrario –, offre una rappresentazione di rara pregnanza dei propri intenti; è evidente che vi svolge un ruolo determinante il numero incommensurabile dei caduti sepolti…»[16].
Con la costruzione di questi monumenti, le Tre Venezie assumono un’importanza che fino ad allora nel Paese aveva avuto solo Roma. Diventano mèta di infiniti pellegrinaggi e le loro pietre vengono sacralizzate dall’ostensione protratta e continuata alla pietà[17].
In particolare, il sacrario di Redipuglia rispecchia perfettamente l’ideologia del regime, una spinta verso l’alto data dai suoi arei volumi nonché una plateale dimostrazione di forza catartica, quasi, perché incamera quella dei tanti e tanti eroi che in quel luogo sono presenti[18]. «La forma assunta da sacrari come quello di Redipuglia – ma anche di Monte Grappa e, in miniatura, di Pian de Salesei o di Caporetto – appare una perfetta espressione del messaggio veicolato. Non custodiscono una preziosa risorsa onde preservarla, ma sono essi stessi quella preziosa risorsa; di altro non si premurano quindi che di esibirsi a cielo aperto. Proprio per questo, la configurazione che assumono nei secondi anni Trenta appare un conseguimento definitivo da parte del regime: l’espressione paradigmatica di un progetto culturale e politico. Ammassati sui crinali montuosi in cui si era combattuto per anni, i loculi li ridisegnano, plasmando l’intero paesaggio»[19].
In questi luoghi, come già detto, viene ufficializzata e celebrata la morte degli eroi, ma essi non erano conosciuti dalle famiglie salentine dei caduti e dei dispersi in guerra[20]. Di conseguenza, il culto dei morti fu loro precluso. Chiaro che, essendo i luoghi in cui si era combattuta la Prima Guerra Mondiale quelli delle regioni sopra descritte, ciò impedì il ricongiungimento dei famigliari, attraverso un tumulo sul quale piangere il proprio parente perduto. E questo non solo per ragioni di carattere geografico, ma anche economico: famiglie di contadini, che versavano in condizioni di miseria, non potevano sopportare le spese che un lungo viaggio al Nord avrebbe comportato. Da un lato, dunque, i monumenti ai caduti, in quanto luoghi simbolo in cui catalizzare il pensiero e le preghiere per i soldati deceduti, divennero ancor più emblematico anello di congiunzione, ideale punto di ricongiungimento e plastica dimostrazione di quella “corrispondenza di amorosi sensi” di foscoliana memoria, alla quale in circostanze ordinarie è deputato il cimitero. D’altro canto però, l’assenza di un luogo fisico come una tomba, col passare degli anni, allentò, involontariamente ma progressivamente, quel legame, che divenne più tenue per le generazioni successive, dei nipoti e dei pronipoti, fino a portare alla cancellazione della memoria. In occasione del Centenario della Grande Guerra, vi è stato nel Salento un profluvio di iniziative tese a celebrare l’epocale evento. Cerimonie in tutti i paesi, commemorazioni, convegni, trasmissioni televisive e radiofoniche, pubblicazioni varie. Di queste ultime, materia privilegiata, quella dei caduti in guerra. Già molti anni prima dell’anniversario la pubblicistica salentina ha prodotto svariati titoli che si riferiscono ai caduti in guerra del nostro territorio. A cavallo del 2014, una nuova e notevole messe di studi. È balzato agli occhi (anche con un po’ di malcelata invidia da parte di chi di certe tematiche non si è mai occupato) il grande interesse generatosi intorno alle presentazioni di questi volumi e concretizzatosi in un notevole successo di vendite, quando le opere non siano state distribuite gratuitamente dalle Amministrazioni Comunali. Un pubblico molto attento, partecipe, ha assiepato le sale convegni, le aule consigliari, le Biblioteche comunali in cui le presentazioni si sono tenute. A fronte di una partecipazione mediamente molto scarsa che caratterizza le presentazioni di libri nel Salento, con un pubblico sparuto, distratto e sonnacchioso, intervenuto magari per dovere di vicinanza amicale con l’autore o per esclusivo interesse scientifico, le presentazioni dei libri sulla Grande Guerra sono state particolarmente riuscite. Molte di queste hanno contribuito a riannodare i fili della memoria, a ricongiungere idealmente le generazioni, quando tanti uomini e donne hanno ricordato di avere un antenato caduto in guerra, o lo hanno scoperto, e ne hanno chiesto informazioni ai parenti ancora in vita e agli autori dei libri, per individuare i luoghi delle sepolture. Alcuni salentini, ci informa Cosimo Rao, apprese le informazioni necessarie, si sono messi in viaggio per raggiungere i sacrari militari dove riposano i loro congiunti. “Svariati miei concittadini”, dice Rao, “mi hanno inviato foto dal luogo della sepoltura, dimostrandomi in maniera percettibile la propria gratitudine”. Queste persone hanno così avuto un’ultima occasione di commemorare il proprio avo disperso. Scrive l’autore nell’Introduzione: «Forse sembrerà assurdo, ma viene da chiedersi, e la domanda non è del tutto priva di fondamento: quanti discendenti di coloro che hanno perso un famigliare durante la guerra del 1915-18 sarebbero effettivamente in grado di ricordare le gesta, le circostanze della morte, il luogo di sepoltura, il dolore per quel lutto prematuro? Ecco, con questa pubblicazione si cerca di dare una risposta a questo quesito, nel modo più delicato possibile, facendo riemergere a distanza di cento anni ricordi per molti sopiti, per altri dimenticati e per altri ancora sconosciuti. Purtroppo gli ex combattenti reduci sono deceduti e il lungo periodo trascorso dalla fine della guerra ha giocato a sfavore nella non facile ricerca di documenti, immagini e altro materiale utile. In particolare, l’indagine svolta presso parenti dei Caduti, talvolta lontani e difficili da rintracciare, ha portato, in alcuni casi, a risultati sorprendenti, perché gli stessi discendenti non erano a conoscenza fino a quel momento della relazione di parentela che li legava ad un antenato ricordato nel monumento ai Caduti di Gagliano del Capo. Probabilmente, nell’immediato dopoguerra, con gli inevitabili conseguenti disagi del periodo, c’è chi ha preferito cancellare il ricordo del dramma famigliare, per cui la memoria degli eventi bellici è andata perduta nel tempo e non si è mai tramandata»[21].
Analoga operazione di quella di Rao ha condotto su ancor più larga scala, trattandosi del capoluogo di provincia, il dedicatario di questo libro, Valentino De Luca, per Lecce[22]. Remigio Morelli ha pubblicato Muti passarono. Taviano e i suoi Caduti nella Prima Guerra Mondiale,[23] in cui riscostruisce doviziosamente la carriera militare dei soldati tavianesi che erano considerati dispersi dalla documentazione ufficiale, pubblicandone foto, mostrine, cartoline, decorazioni, ma soprattutto indicando le circostanze della morte e i luoghi di sepoltura. “È stata un’esperienza bellissima per quanto difficile”, mi dice il professor Morelli, “ho impiegato anni ed anni nella faticosa ricerca dei dati e dei luoghi, ma alla fine i miei sforzi sono stati premiati. È motivo di orgoglio, sentirsi partecipe e fautore della ricostruzione della memoria di una comunità”. Una memoria disincarnata, che acquistava un volto, man mano che le ricerche di questi studiosi procedevano. Morelli riferisce che le famiglie sono state davvero partecipi e in molti casi lo hanno coadiuvato nelle ricerche. Si partiva da un ricordo sbiadito, una medaglia, una foto scolorita, a volte solo un nome e da questo si è ricostruita tutta una storia individuale che diventava collettiva. È d’accordo Lucio Causo, di Tuglie, autore di due libri sulla materia[24], il quale dice: “è stata una forte emozione presentare i risultati del mio lavoro alla comunità tugliese, soprattutto quando ho raccontato la storia di alcuni caduti in combattimento, descrivendo le loro gesta eroiche”. Un’emozione talmente forte, sottolinea Causo, da riceverne un leggero malore successivamente all’incontro. Anche lui mi conferma la forte gratitudine da parte dei famigliari. “Alcuni giovani tugliesi si sono messi in viaggio per i luoghi di sepoltura”. Essi, nel Friuli, in Trentino, in Croazia e in Slovenia, si sono uniti alle tante scolaresche che da quelle zone abitualmente si recano sui luoghi delle sepolture per i loro laboratori didattici. Intorno ai caduti, allora, si è rinsaldata l’identità di una comunità, un tacito patto mutualistico fra chi non c’è più e chi è rimasto, attraverso il ricordo, che è la più grande testimonianza.
In uno dei Dialoghi con Leucò, intitolato “Le
streghe”, Cesare Pavese dice: «L’uomo
mortale, Leucò, non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il
ricordo che lascia. Nomi e parole sono questo. Davanti al ricordo sorridono
anche loro, rassegnàti »[25].
[1] bernardo di cluny, De contemptu mundi, Libro 1, v. 952.
[2] Cfr.: V. Labita, Il Milite Ignoto. Dalle trincee all’Altare della Patria, in Aa. Vv., Gli occhi di Alessandro. Potere sovrano e sacralità del corpo da Alessandro Magno a Ceausescu, a cura di Sergio Bertelli, Cristiano Grottanelli, Firenze, Ponte alle Grazie, 1990, pp. 120-153; a. miniero, Da Versailles al Milite Ignoto. Rituali e retoriche della Vittoria in Europa (1919-1921), Roma, Gangemi, 2008, p. 6; s. bertelli, Piazza Venezia. La creazione di uno spazio rituale per un nuovo Stato-nazione, in Aa. Vv., La chioma della Vittoria. Scritti sull’identità degli italiani dall’Unità alla seconda Repubblica, a cura di Sergio Bertelli, Firenze, Ponte alle Grazie, 1997, pp. 187-189; B. TOBIA, L’Altare della Patria, Bologna, Il Mulino, 1998; l. cadeddu, La leggenda del soldato sconosciuto all’Altare della Patria, Udine, Gaspari, 2004.
[3]Sulla tematica della morte, c. canal, La retorica della morte. I monumenti ai caduti della Grande Guerra, in «Rivista di storia contemporanea 11», n. 4, Torino, Loescher,1982, p. 659-669; m. isnenghi, I luoghi della memoria. Strutture ed eventi dell’Italia unita, Roma – Bari, Laterza, 1997, pp. 273-309; g.m. vidor, Riti e monumenti per i morti della Grande guerra, in «Studi Tanatologici-Thanatological Studies-Etudes Thanatologiques», n.1, 2005, pp. 139-159.
[4] a. pascazio, Dai monumenti ai caduti ai parchi della rimembranza, norme di tutela, in «Dire in Puglia», n.5, 2014, pp.145-148.
[5] m. isnenghi, Le guerre degli italiani. Parole, immagini, ricordi 1848-1945, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 342-348.
[6] s. bonelli, Gli spazi della memoria. La scelta dei luoghi, in Aa. Vv., La memoria perduta. I monumenti ai caduti della Grande Guerra a Roma e nel Lazio, a cura di Vittorio Vidotto, Bruno Tobia, Catherine Brice, Roma, Nuova Argos Edizioni, 1998, pp. 29-37.
[7] s. quagliaroli, Un’arte per la memoria: monumenti piacentini ai caduti della Grande Guerra, in «Quaderni di Studi interculturali», a cura di Mario Faraone, Rivista semestrale del Centro studi interculturali Università di Trieste, Supplemento al Numero 3, 2017, p. 211.
[8] Aa. Vv., Pietre ignee cadute dal cielo I monumenti della Grande Guerra, a cura di Martina Carraro, Massimiliano Savorra, Venezia, Ateneo Veneto, 2014.
[9] c. rao, Gagliano del Capo e la grande guerra nel ricordo degli eroi caduti, Tricase, Libellula, 2015. Antonio Buccarello Vitalini e Flora Tagliaferro, con La Grande Guerra – Eroi del Salento – I fratelli Ciardo – Francesco, Domenico e Biagio, Fasano, Schena Editore, 1993, si erano già occupati dei tre fratelli Ciardo, eroi gaglianesi, ai quali è intitolata la centrale via del paese. Il libro di Rao costituisce il completamento di quell’opera.
[10] g. bouthoul, Le guerre – Elementi di Polemologia, Milano, Longanesi, 1961.
[11] r. caillois, L’uomo e il sacro, Torino, Bollati-Boringhieri, 2001, pp. 157-174.
[12] c. rao, Gagliano del Capo e la grande guerra nel ricordo degli eroi caduti, cit., pp. 232-237.
[13] In Italia, la chiamata alle armi coinvolse ben 25 classi di leva, dal 1874 al 1899, l’ultima, quella dei cosiddetti “ragazzi del ’99”, composta da ragazzi non ancora maggiorenni, chiamati alle armi dopo la disfatta di Caporetto nel novembre 1917, e che poi vinse la conclusiva battaglia di Vittorio Veneto.
[14] c. rao, Gagliano del Capo e la grande guerra cit., pp. 226-228.
[15] d. pisani, “Il primo e il più grande monumento della vittoria”. Nota su di un caso di iconografia aniconica, in «Engramma. Architettura, guerra e ricordo», a cura di Giacomo Calandra Di Roccolino e Daniele Pisani, n.113, gennaio-febbraio 2014, pp. 31-54.
[16] d. pisani, Lo spazio dei sacrari e i sacrari nello spazio, in «Post», n.3, 2012, p. 75.
[17] Sull’importanza delle pietre, si tenga presente che nel complesso monumentale del Vittoriano, realizzato su progetto di Armando Brasini, la cappella dedicata al Milite Ignoto, ove tra l’altro benedire le bandiere prima delle campagne militari, viene costruita proprio con un unico blocco di pietra del Monte Grappa. Di marmo del Carso sono invece le lastre pavimentali della cappella, e così via. Si veda d. pisani, “Il primo e il più grande monumento della vittoria”, cit., p. 34.
[18] g. dato, Lineamenti storiografici, memorie pubbliche e miti all’origine del sacrario di Redipuglia. La fondazione di un tempio della nazione, in «Acta Histriae», n.3, 2014, pp. 695-714.
[19] d. pisani, Lo spazio dei sacrari e i sacrari nello spazio, cit., p. 75.
[20] Secondo i dati del Ministero della Guerra, essi furono in totale 12.331 fra le tre province di Terra d’Otranto. Per l’esattezza, 6685 per Lecce, 2837 per Taranto, 2809 per Brindisi. Cfr. v. de luca, Stringiamoci a coorte siam pronti alla morte l’Italia chiamò La prima guerra mondiale nei monumenti e nelle epigrafi di Lecce, Galatina, Editrice Salentina, 2015, p. 85.
[21] c. rao, Gagliano del Capo e la grande guerra cit., p. 15.
[22] v. de luca, Lecce negli anni della Grande Guerra, Galatina, Editrice Salentina, 2019.
[23] r. morelli, Muti passarono. Taviano e i suoi Caduti nella Prima Guerra Mondiale, Galatina, Congedo, 2014.
[24] l.causo, Presente alle bandiere. Gli eroi di Tuglie caduti nelle due Guerre Mondiali, Comune di Tuglie, Teg srl, 2008; idem, I caduti di Tuglie nella Prima Guerra Mondiale (1915-1918), Bari-Roma-Messina, Del Campo Editore, 2018.
[25] cesare pavese, Dialoghi con Leucò, Torino, Einaudi, 2014, p. 145.
[in Appartenere alla storia. Studi in memoria di Valentino De Luca, a cura di Mario Spedicato e Paolo Vincenti, Società Storia Patria Puglia, sezione Lecce, Castiglione, Giorgiani Editore, 2021.]