di Paolo Vincenti
Se
un mattino tu verrai
Fino in cima alle montagne
Troverai una stella alpina
Che è fiorita sul mio sangue
Per segnarla c’è una croce
Chi l’ha messa non lo so
Ma è lassù che dormo in pace
E per sempre dormirò
(Francesco De Gregori, “Stelutis alpinis”)
ABSTRACT. The essay deals with the theme of Salento soldiers who fell on the field in the First World War and were buried in the most important military shrines between Veneto, Trentino and Friuli Venezia Giulia. After a focus on the history of the shrines, we examine the case of a small municipality of Capo di Leuca, Gagliano del Capo, hired as a specimen of the whole of Salento, in the long and late process by the family of recomposing the soldier’s memory fallen and re-appropriation of one’s past.
La Prima Guerra Mondiale aveva lasciato sul campo centinaia di migliaia di morti, soprattutto nelle zone di montagna, dove più aspramente si era combattuto. All’indomani del conflitto, si pose subito il grave problema di raccogliere i tanti cadaveri che la “grande falciatrice” aveva seminato (e fu una messe copiosa) e dar loro degna sepoltura. Iniziò così il pietoso ufficio della ricognizione e della identificazione dei cadaveri. Un compito, che si presentò subito di notevole portata, dacché moltissimi morti non potevano essere riconosciuti ed i loro cadaveri ricomposti. Già a guerra in corso, di fronte all’enorme numero di caduti in battaglia, si poneva l’esigenza di raccogliere le salme e dar loro una provvisoria sepoltura, anche per sanificare le trincee che diventavano delle macabre fosse comuni. Si allestirono dei cimiteri di campo, là dove le condizioni del terreno lo permettevano. Dopo la guerra, fu istituito un apposito Comitato, dotato di un Ufficio Centrale con sede a Udine e quattro sezioni distaccate, con un organico di quasi cinquemila uomini, per potere raccogliere e seppellire i cadaveri, sottraendoli alle fosse comuni o ai cimiteri di fortuna improvvisati sui monti. Si giunse alla costruzione di Ossari, quando dei cadaveri restavano solo pochi avanzi, o dei Sacrari, che coniugavano insieme aspetti di carattere pratico, funzionale, con intenti commemorativi e, in nuce, propagandistici. Questi sacrari erano tutti concentrati nelle zone di confine, in primis il Trentino, il Friuli e la Venezia Giulia. In conseguenza del numero così elevato di salme non identificate, si pensò di realizzare a Roma un grande monumento al Milite Ignoto. Si decise di scegliere un soldato sconosciuto a caso fra i tanti, perché i suoi resti rappresentassero tutti gli altri. Ad Aquileia, il 26 ottobre 1921, a Maria Bergamas, madre del volontario caduto Antonio Bergamas, venne affidato il compito della scelta della salma. Nella basilica della piccola cittadina in provincia di Udine, si svolse la cerimonia al cospetto di undici caduti raccolti sui principali campi di battaglia (San Michele, Gorizia, Monfalcone, Cadore, Alto Isonzo, Asiago, Tonale, Monte Grappa, Montello, Pasubio, Caposile), e alla salma indicata dalla signora Bergamas venne dato il nome di Milite Ignoto. Questa fu trasportata con un treno speciale a Roma a velocità ridotta, in modo che in ciascuna stazione la popolazione potesse onorare il Caduto, e, una volta giunta a Roma, la salma venne installata nel complesso monumentale del Vittoriano[2].