***
Imbonitori
Come novelli Dottor
Dulcamara, volgari ciarlatani
guariscono ogni tipo di
crisi e malattia
Si protendono dagli
schermi, farisaici e ruffiani
spacciandosi per dottori e
grandi intellettuali
si gabellano di poveri
sciagurati
ma sono solo pataccari, o peggio, criminali
***
L’importanza del pensar
male
Scrivere perché se ogni
parola è destinata a perdersi, almeno l’atto finale di questa parola dica le
cose che si pensano e di solito non si dicono, senza remore o infingimenti, in
modo satirico. La poesia qui, come nella buona tradizione antica, è polemica, segno
di malumore, risentimento, maldicenza, anche. La poesia satirica non è critica,
bensì è operazione corrosiva finalizzata a mettere in luce ed esorcizzare la
iattanza del potere, l’insipienza degli uomini, le false illusioni, le
debolezze della gente. Esiste l’elisir d’amore? I Dottori Dulcamara dicono di
sì, ma… c’è da fidarsi? A pensar male, ci si azzecca! Scrivere satira
significa tradurre in poesia il proprio pensar male, non tenerselo più dentro
di sé, a rischio che un eccesso di bile ci faccia star male. Ma è un gioco,
lettore, stai pur tranquillo! Al termine della poesia, tutto sarà come prima e
presto dimenticherai. Ché se poi dovessi pensare che le parole sono pietre,
allora munisciti dell’elmo di Manbrino e ascolta Donizetti mentre chiude
l’ultima aria.
***
La satira
Il castigat ridendo mores fornisce l’alibi, la licenza
e allora su tutto si ride,
senza pietà né clemenza
Si fa satira, si dice, è
bello mettere in berta e burletta
e strappare al commediante
la biacca, al divo la belletta
bastonare viziosi, ladri,
falsi invalidi e corruttori
senza per questo voler
essere moralizzatori
Ma ogni medaglia ha due
facce e può capitare
che un giorno sia il
bastonatore da bastonare
Arlecchino bastonato
Il Satirico nelle vesti di
Arlecchino, sul cui busto si legge la celebre frase castigat ridendo mores.
Si dice che l’abbia scritta Jean de Santeul, il figlio di un commerciante del
XVII secolo, che amava parlare latino! Il rischio del Satirico è che da
bastonatore possa divenir bastonato, come sa Arlecchino, che di busse ne ha
preso sempre molte. Ma la voglia di dire è più forte, il gioco vale la candela,
e dunque, procediamo pure: il rischio aguzza l’ingegno!
***
Vox
populi, vox dei
I politici non hanno
vergogna
è sempre il solito “magna
magna”
a guidar le loro azioni, si
sa
anche se nessuno lo
ammetterà
Ma se lo dice l’uomo comune
è concesso, è la pubblica
opinione
se lo dice l’esponente di
destra
è un qualunquista, o
peggio, populista
se lo dice quello di
sinistra
è un estremista, peggio, un
marxista
Pubblica opinione
Pare che la pubblica
opinione (vox dei) abbia sempre ragione, mentre se il giudizio sulla
condotta dei politici viene da destra o da sinistra, esso è sempre parziale e,
dunque, irricevibile. Qualunquisti, populisti, estremisti, marxisti… Qui
Giorgio Gaber di Destra-Sinistra ha ancora qualcosa da insegnare: Ma
cos’è la destra, cos’è la sinistra?
***
Lo sbafatore
Quando vieni a casa mia, ti
smascelli per mangiare
sembra che tu sia a digiuno
da settimane
tua moglie ti tiene a
stecchetto o non sa cucinare
non passi per gli stipiti,
malnato pancione
eppure ci dai dentro, hai
più fame di Saturio
e sei più vorace di Eracle
mangione
Ciò nonostante, non ricambi
mai il piacere
invano, aspetto i tuoi
inviti a cena
per potere anch’io a sbafo
mangiare e bere
Invece tu ti presenti
quando l’ora muore
non fai complimenti,
pantagruelico e importuno
ti fotti tutto quanto, e non chiedi per favore
***
Vivere a sfabo
Il Satirico dà sfogo alla sua acrimonia contro un parasitus. Sceglie la terzina con rima tra primo e terzo verso (libero) per dire male di chi mangia a quattro ganasce, ma lui farebbe la stessa cosa se la sua ospitalità fosse ricambiata. Il vero parasitus (il Saturione del Persa di Plauto) invece non ricambia mai, mentre Ercole, se ha una fame da lupi (Pindaro nel fr. 168 Snell-Maehler parla della sua αδεφαγία) è perché le sue fatiche sono immani e dunque egli ha bisogno di foraggio. Com’è che questo personaggio rabelesiano si trovi in casa del Satirico, non è detto, ma è certo che questi ne farebbe volentieri a meno.
Saturae I
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Imbonitori
Come novelli Dottor Dulcamara, volgari ciarlatani
guariscono ogni tipo di crisi e malattia
Si protendono dagli schermi, farisaici e ruffiani
spacciandosi per dottori e grandi intellettuali
si gabellano di poveri sciagurati
ma sono solo pataccari, o peggio, criminali
***
L’importanza del pensar male
Scrivere perché se ogni parola è destinata a perdersi, almeno l’atto finale di questa parola dica le cose che si pensano e di solito non si dicono, senza remore o infingimenti, in modo satirico. La poesia qui, come nella buona tradizione antica, è polemica, segno di malumore, risentimento, maldicenza, anche. La poesia satirica non è critica, bensì è operazione corrosiva finalizzata a mettere in luce ed esorcizzare la iattanza del potere, l’insipienza degli uomini, le false illusioni, le debolezze della gente. Esiste l’elisir d’amore? I Dottori Dulcamara dicono di sì, ma… c’è da fidarsi? A pensar male, ci si azzecca! Scrivere satira significa tradurre in poesia il proprio pensar male, non tenerselo più dentro di sé, a rischio che un eccesso di bile ci faccia star male. Ma è un gioco, lettore, stai pur tranquillo! Al termine della poesia, tutto sarà come prima e presto dimenticherai. Ché se poi dovessi pensare che le parole sono pietre, allora munisciti dell’elmo di Manbrino e ascolta Donizetti mentre chiude l’ultima aria.
***
La satira
Il castigat ridendo mores fornisce l’alibi, la licenza
e allora su tutto si ride, senza pietà né clemenza
Si fa satira, si dice, è bello mettere in berta e burletta
e strappare al commediante la biacca, al divo la belletta
bastonare viziosi, ladri, falsi invalidi e corruttori
senza per questo voler essere moralizzatori
Ma ogni medaglia ha due facce e può capitare
che un giorno sia il bastonatore da bastonare
Arlecchino bastonato
Il Satirico nelle vesti di Arlecchino, sul cui busto si legge la celebre frase castigat ridendo mores. Si dice che l’abbia scritta Jean de Santeul, il figlio di un commerciante del XVII secolo, che amava parlare latino! Il rischio del Satirico è che da bastonatore possa divenir bastonato, come sa Arlecchino, che di busse ne ha preso sempre molte. Ma la voglia di dire è più forte, il gioco vale la candela, e dunque, procediamo pure: il rischio aguzza l’ingegno!
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Vox populi, vox dei
I politici non hanno vergogna
è sempre il solito “magna magna”
a guidar le loro azioni, si sa
anche se nessuno lo ammetterà
Ma se lo dice l’uomo comune
è concesso, è la pubblica opinione
se lo dice l’esponente di destra
è un qualunquista, o peggio, populista
se lo dice quello di sinistra
è un estremista, peggio, un marxista
Pubblica opinione
Pare che la pubblica opinione (vox dei) abbia sempre ragione, mentre se il giudizio sulla condotta dei politici viene da destra o da sinistra, esso è sempre parziale e, dunque, irricevibile. Qualunquisti, populisti, estremisti, marxisti… Qui Giorgio Gaber di Destra-Sinistra ha ancora qualcosa da insegnare: Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra?
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Lo sbafatore
Quando vieni a casa mia, ti smascelli per mangiare
sembra che tu sia a digiuno da settimane
tua moglie ti tiene a stecchetto o non sa cucinare
non passi per gli stipiti, malnato pancione
eppure ci dai dentro, hai più fame di Saturio
e sei più vorace di Eracle mangione
Ciò nonostante, non ricambi mai il piacere
invano, aspetto i tuoi inviti a cena
per potere anch’io a sbafo mangiare e bere
Invece tu ti presenti quando l’ora muore
non fai complimenti, pantagruelico e importuno
ti fotti tutto quanto, e non chiedi per favore
***
Vivere a sfabo
Il Satirico dà sfogo alla sua acrimonia contro un parasitus. Sceglie la terzina con rima tra primo e terzo verso (libero) per dire male di chi mangia a quattro ganasce, ma lui farebbe la stessa cosa se la sua ospitalità fosse ricambiata. Il vero parasitus (il Saturione del Persa di Plauto) invece non ricambia mai, mentre Ercole, se ha una fame da lupi (Pindaro nel fr. 168 Snell-Maehler parla della sua αδεφαγία) è perché le sue fatiche sono immani e dunque egli ha bisogno di foraggio. Com’è che questo personaggio rabelesiano si trovi in casa del Satirico, non è detto, ma è certo che questi ne farebbe volentieri a meno.