di Mimì Mastria
Per comprendere pienamente il pensiero e la poetica di Paolo Vincenti sarebbe necessario immergersi nel caleidoscopio delle sue opere. Scrittore, critico, ricercatore storico, saggista e poeta affronta le problematiche della nostra società disarmonica, soffocante, omologante con fierezza e indipendenza di pensiero adottando una scrittura da una parte nuova, espressione di uno slang che caratterizza il parlato, e dall’altra espressioni alte, quelle per intenderci della grande letteratura greca e latina in cui si radica la sua cultura. Il tutto però rende immediato il pensiero dell’Autore, tanto che il lettore, sebbene a un primo impatto potrebbe rimanere perplesso di fronte ad una voce dissacrante e cinica, di fatto avverte poi quelle espressioni come una manifestazione di disgusto verso quel mondo opaco e castrante che schiaccia proprio chi potrebbe offrire il proprio contributo per cambiare lo stato delle cose. Il “cinismo” di Vincenti scaturisce proprio dalla delusione di fronte all’impossibilità che si realizzino i sogni, le illusioni che diventano disincanto, nella consapevolezza dello scorrere del tempo e quindi della vita.
Dopo due raccolte poetiche, L’una e due – discordanze (Edizione la Fornace, Galatina, 2016) e L’una e tre (DiscorDanze) (ArgoMenti Edizioni, 2019) in cui si avverte il ritmo della parola nel suo significante rafforzato nella seconda silloge, nella seconda sezione di quest’ultima il poeta si immerge nella lirica greca e gli Dei tornano a danzare con gli uomini in un continuo simposio per allontanare la tristezza del tempo che passa e godere dei pochi piaceri della vita.
I lirici greci e latini rappresentano per Vincenti il mare magnum della riflessione filosofica sull’esistenza umana.