Una lettera pericolosa

Ma la lettera di Agamben e Cacciari è ancora più grave perché proviene da due filosofi internazionalmente conosciuti, e proprio per questo ci saremmo aspettati un’apertura intellettuale adeguata all’argomento trattato. Esso, infatti, ha una portata davvero globale, perché sono in gioco la sopravvivenza della vita umana sulla Terra e l’abitabilità stessa del nostro pianeta, come migliaia di studi scientifici e di istituzioni internazionali a cominciare dall’Unesco, dall’Oms, da Greanpeace, da Amnesty International, ecc. non si stancano di documentare. Oggi il tema della tutela della vita e di che cosa significhi promuovere la dignità della vita umana non può prescindere dalla presa d’atto delle condizioni oggettive – climatiche, ambientali, demografiche – del tutto nuove rispetto al passato, in cui si trova il genere umano.  Tutto un filone del pensiero contemporaneo da anni ormai va ripetendo che siamo entrati nell’epoca dell’Antropocene, cioè di una nuova era geologica in cui la catastrofe ecologica non è più una profezia da letteratura distopica, ma uno scenario a medio termine più che probabile se non si pongono in atto controtendenze efficaci. In questa prospettiva, le diseguaglianze sociali – e, di conseguenza, la discriminazione tra categorie di persone – sono destinate a crescere a dismisura nel mondo e all’interno degli Stati; così pure, aumenteranno enormemente gli scarti umani, gli esclusi, le displaced persons (come le chiama l’Agenzia dei Rifugiati), persone considerate “superflue” e perciò ritenute suscettibili di essere relegate in una cittadinanza di serie B. La pandemia, dunque, non è un episodio transitorio, ma, per usare un’espressione di Marcel Mauss, un “fatto sociale totale”, vale a dire un evento che cambierà in profondità le forme di vita dell’homosapiens, anche se non sappiamo ancora come. È in questo contesto che dobbiamo situare il tema della libertà. L’allarme di Agamben e Cacciari che pratiche securitarie come il green pass generino uno “Stato dispotico” analoghe a quelle della Cina di Xi Jinping e della Russia di Putin è plausibile, solo se tiene presente che è la globalizzazione neoliberista a spingere nella direzione di un restringimento dei diritti sia sociali che individuali, che le carte costituzionali del secondo dopoguerra avevano sancito come spina dorsale delle democrazie europee. Perdere di vista questo macroscopico dato di fatto storico-politico e interpretare le democrazie europee, come fanno i nostri autori, alla stessa stregua (o quasi) di regimi biopolitici illiberali in cui, almeno secondo Agamben, la legalità costituzionale è sospesa e vige lo Stato di eccezione, è una forzatura teorica e politica pericolosa. Ma chiediamoci: da dove nasce il terrore di uno Stato leviatanico che attraverso il green pass potrebbe tracciare e sorvegliare ogni nostro più piccolo movimento, se non dalla tendenza di un capitalismo neoliberista a superare ogni limite e a invadere tutte le sfere della vita quotidiana? Questa pulsione all’illimitazione è una dinamica di tutte le oligarchie finanziarie contemporanee e delle classi dominanti nella lotta per l’egemonia sul teatro geopolitico al fine di appropriarsi delle risorse e di conquistare porzioni sempre più ampie di mercato. La radice delle pratiche discriminatorie è il capitalismo dei Big Data, che affida ai dispositivi algoritmici il controllo delle nostre preferenze di mercato e perfino delle nostre emozioni, e non fa nessuna differenza tra Stati dispotici e Stati liberaldemocratici. L’unica libertà che conosce è quella del consumo e, più in generale, dell’accumulazione della ricchezza e del potere. Perciò, oggi più che mai, i filosofi hanno il dovere di ripensare il tema cruciale della libertà in una dimensione al contempo mondiale e nazionale, al di fuori delle anguste polemiche domestiche, in vista della costruzione di una civiltà superiore e di una comunità di liberi ed eguali.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 1° agosto 2021]

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