di Viator
Dimmi, tu Stella, che le ardenti rotte
con i tuoi vanni folgoranti assali,
in quale cupo abisso della notte
si chiuderanno alfine le tue ali?
Dimmi, tu Luna, che ti volgi intorno
nel vacuo cielo, grigio pellegrino,
nel fondo di che notte o di che giorno
vai tu cercando requie al tuo cammino?
Dimmi, tu Vento, vago per il mondo
a simiglianza d’ospite reietto,
su quale vetta, in quale mar profondo
conservi ancora un tuo segreto letto?
Francesco Politi (Taurisano 1907-Roma 2002), germanista, traduttore e poeta, ebbe l’opportunità di vivere il dramma della prima migrazione di massa verso le nostre coste quando fin dal 1991 migliaia di Albanesi si riversarono in Puglia con ogni mezzo di fortuna o di … sfortuna. Se l’8 agosto di quell’anno la nave Vlora sbarcò a Bari ben ventisettemila profughi clandestini, il 28 marzo 1997 la nave Katër i Radës colò a picco nel Canale d’Otranto urtata dalla motovedetta Sibilla della Marina Militare Italiana, che pattugliava la zona per impedire a navi straniere di avvicinarsi alla costa. Morirono ottantuno delle centoventi persone che erano a bordo.
Niente di paragonabile a quanto sta accadendo da qualche anno con ormai centinaia di migliaia di migranti che lasciano le loro terre e si riversano in Europa lungo rotte che vanno da un capo all’altro del Mediterraneo, nelle cui acque restano ormai decine e decine di morti al giorno, migliaia all’anno.
Politi era in una sorta di empatia con gli zingari, i gitani, i migranti; per quella loro condizione di incertezza accettata e lanciata come sfida, nella quale un po’ si riconosceva. Anche lui, a partire dagli undici anni in poi, fu pellegrino del mondo. Lasciò la sua casa di Taurisano per trasferirsi nei luoghi di studio prima e di lavoro poi, al servizio del Ministero della Pubblica Istruzione e di quello degli Esteri. Fu insegnante in vari licei italiani e poi direttore di istituti di cultura italiani all’estero prima di tornare nella sua Lecce da docente di letteratura tedesca e di filologia germanica.
Traduttore di poeti di ogni lingua e di ogni tempo, con particolare frequenza di tedeschi, inglesi e francesi, Politi ha lasciato versioni poetiche meravigliose per l’eleganza stilistica, armoniose per l’equilibrio estetico e la musicalità, potenti per l’efficacia espressiva: di Nietzsche poeta, di Goethe, di Schiller, di Hölderlin, di Keats, di Shelley, di Poe.
Fu poeta egli stesso. In Pellegrini del mondo, esprime con struggente partecipazione emotiva l’anelito di un approdo, chiedendolo ai suoi compagni di pellegrinaggio: la Stella, la Luna, il Vento. Una condizione vicina, più che agli zingari, ai migranti dei nostri giorni. Essi, infatti, non sono gitani per vocazione, ma “pellegrini” per bisogno, “ospiti reietti”, drammaticamente osteggiati da un approdo, che, anche quando è materialmente raggiunto, resta lontano, indistinto, carico di incognite e di misteri.
[“Presenza taurisanese”, settembre 2015]