Quel vecchio luogo comune sui ragazzi che non leggono

Allora, si dice che i giovani non leggono. Ma non si può escludere che dicendo questo ci si sbagli, che si ignori quello che leggono, che si formuli l’affermazione fondandola su criteri che non sono coerenti con il tempo e la temperie culturale.  Può essere probabile, per esempio, che loro leggano libri di cui non abbiamo conoscenza, di cui addirittura ignoriamo l’esistenza. Forse, più o meno inconsapevolmente, noi vorremmo che leggessero i libri che abbiamo letto noi; forse, più o meno inconsciamente, pensiamo che se non leggono quelli è come se non leggessero niente.  Riteniamo che i libri fondamentali, imprescindibili, essenziali, siano quelli che appartengono alla nostra formazione. Ma non è così.

Un esempio ancora. Ci sono state generazioni per le quali il (grande) romanzo di Manzoni, i (grandi) romanzi di Verga, erano letture che non si poteva in alcun modo evitare. Una formazione senza quei libri non si poteva neppure pensare. Adesso dei romanzi di Verga e di Manzoni si legge soltanto qualche pagina a scuola, talvolta anche malvolentieri. Non si può dire che sia giusto né che sia sbagliato. Si può dire soltanto che è così. Certo, poi ci sono certi libri che attraversano ogni tempo, o almeno così sembra. Ci sono opere che esercitano il loro fascino su ogni età. “Il giovane Holden”  è una di queste opere.

Lo leggono quelli che adesso hanno vent’anni, come lo leggevano quelli che vent’anni ce l’avevano vent’anni fa, quarant’anni fa. In tutto il mondo.  Per settant’anni è stato il libro di ogni generazione. Certo, si potrebbero fare altri esempi, si potrebbe non essere d’accordo. Ma si provi a dare in mano il libro di Salinger a uno che vent’anni li assapora  in questi giorni e si potrà avere facilmente la prova che quel libro gli appartiene intimamente, perché non riuscirà a lasciarlo prima di arrivare a quella frase che dice: “Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti”.

Si dice che i giovani non leggono, dunque. Ma forse dovremmo chiederci che cosa non leggono. Forse non leggono tutto quello che  sentono lontano, che non ha una relazione concreta  con la loro esistenza, che non li coinvolge, non li rappresenta. Forse non leggono i libri troppo legati ad un altro tempo, quelli che non rigenerano i significati, che non proiettano le loro figure sullo  schermo del presente, che del presente non sintetizzano le ragioni, non danno risposte alle domande che scaglia, non intercettano i  sentimenti.

Poi sarebbe anche opportuno che ci si domandasse che cosa significa che non leggono, quanti libri devono leggere perché si possa dire il contrario, se la condizione che importa  è la quantità o la qualità delle letture, se contano  più  due versi che dal cervello arrivano al cuore o duecento pagine di cui non si ricorda niente. Ancora: forse sarebbe più opportuno cercare di capire veramente la combinazione del profilo di identità dei giovani di adesso con i contenti delle letture che fanno. Forse si potrebbe anche scoprire che non è affatto vero che non leggono. Forse si potrebbe anche scoprire che l’affermazione deriva dal fatto che siamo noi che non abbiamo conoscenza di quello che leggono coloro che, a nostro molto modesto avviso, non leggono. Forse potrebbe essere proprio così.  

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 25 luglio 2021]

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