Il Partito Socialista Italiano, già Partito Socialista Rivoluzionario Italiano (1884), venne fondato, come Partito dei Lavoratori Italiani nel 1892 a Genova mentre, nel 1895, al Congresso di Parma, assunse la denominazione nota come Partito socialista italiano. Nel congresso fondativo (1892), parteciparono da Gallipoli, l’avv. Ernesto Barba; da Galatina, il medico Paolo Vernaleone.
Il suo XVII° Congresso il Psi lo tenne a Livorno dal 15 al 21 gennaio 1921 presso il Teatro Goldoni. Parteciparono 2500 delegati, provenienti da ogni parte d’Italia.
Nel congresso si formarono tre correnti di orientamento politico differente: la maggioritaria, cosiddetta massimalista-unitaria, era favorevole, pur con qualche riserva, ad aderire all’Internazionale Comunista, ed era guidata da Giacinto MENOTTI SERRATI (Spotorno, 1872 – Asso, 1926); la corrente comunista, favorevole senza alcuna condizione all’Internazionale Comunista e in difesa della Rivoluzione d’Ottobre, guidata da Amadeo BORDIGA (Ercolano, 1889 – Formia, 1970; al momento direttore de «Il Soviet» di Napoli) e da Antonio GRAMSCI (nome completo: Antonio Sebastiano Francesco Gramsci (Ales, 1891 – Roma, 1937, al momento direttore de «L’Ordine Nuovo» di Torino); la corrente riformista, contraria all’Internazionale Comunista, guidata da Filippo TURATI (Canzo, 1857 – Parigi, 1932).
In disaccordo sulla politica nazionale e sulla posizione sull’Internazionale Comunista prospettate dalla corrente maggioritaria, la frazione napoletana di Bordiga e quella torinese di Gramsci, abbandonarono il Teatro Goldoni trasferendosi al Teatro San Marco al canto dell’Internazionale, seguiti da un nutrito gruppo di giovani, tra i quali c’era anche Carlo MAURO (Galatina, 1871-1946), delegato salentino del Partito socialista.
È ormai storia nazionale conclamata, al Teatro San Marco di Livorno, il 21 gennaio 1921, fu fondato il Partito comunista d’Italia, sezione italiana dell’Internazionale comunista (nota anche come Comintern o Terza Internazionale), fondata nel 1919 a Mosca da Vladimir Ilyich Ulyanov, detto Lenin (Uljanovsk/Russia, 1870 – Gorki Leninskie/Russia, 1924) e sopravvissuta fino al 15 maggio 1943.
Il primo Comitato centrale del costituito Pcd’I si formò con comunisti provenienti prevalentemente da Napoli e da Torino. È chiaro che non tutti i componenti del Cc sono nativi di Napoli o della Campania oppure nativi di Torino o del Piemonte. Si tratta solo di giovani rivoluzionari che, o per motivi di studio o per motivi di lavoro o per altro ancora, gravitavano in quei territori. Sono: Ambrogio BELLONI (Alessandria, 1864 – Villanova Monferrato, 1950, al momento deputato), Nicola BOMBACCI (Civitella di Romagna, 1879 – Dongo, 1945), al momento deputato; sarà fucilato il 28 aprile 1945 a Dongo come gerarca fascista), Amadeo BORDIGA, Bruno FORTICHIARI (Luzzara, 1892 – Milano, 1981), Egidio GENNARI (Albano Laziale, 1876 – Gorkij/Russia, 1942), Antonio GRAMSCI, Ruggero GRIECO (Foggia, 1893 – Massa Lombarda, 1955), Anselmo Marabini (Imola, 1865-1948, al momento deputato), Francesco MISIANO (Ardore, 1884 – Mosca, 1936), al momento deputato), Luigi REPOSSI, detto Gin (Milano, 1882-1957), al momento deputato), Umberto TERRACINI (Genova, 1895 – Roma, 1983), Ludovico TARSIA (Napoli, 1876-1970), Luigi POLANO (Sassari, 1897-1984, in rappresentanza della Federazione Giovanile), Giovanni PARODI (Acqui Terme, 1889 – Torino, 1962), Cesare SESSA (Raffadali, 1885 – Roma, 1954).
Lo stesso giorno della fondazione del Pcd’I, il Comitato centrale elesse il Comitato esecutivo nelle persone di BORDIGA, FORTICHIARI, TERRACINI, GRIEGO e REPOSSI; il congresso delegò come componente dell’Internazionale comunista Egidio GENNARI e il Direttivo del Gruppo parlamentare comunista alla Camera dei deputati nelle persone di BOMBACCI, MARABINI, SALVATORE, MISIANO e ROBERTO[1].
Come si vede dalla geografia originaria dei dirigenti del Pcd’I del 1921, pochi sono quelli che provenivano direttamente dal Sud. Ovviamente numerosi invece furono i militanti (uomini e donne) del Sud che parteciparono alla fondazione e alla costruzione del nascente Partito comunista d’Italia. Da quanto se ne sa finora, l’unico salentino a partecipare a quel congresso costituente fu il galatinese Carlo MAURO. Di questo giovane avvocato comunista si sono interessati diversi studiosi, a partire dal nipote Carlo Caggia, che scrisse il libro Carlo Mauro, pioniere del socialismo salentino contenente alcune lettere[2] inviate dal confino di Ustica alla moglie. Il libro del Caggia è introdotto da Tommaso Fiore (Salento Antifascista), socialista e grande «formicone di Puglia», che scrive:
«Carlo Mauro, formatosi a Roma, agli studi di legge e al socialismo per l’insegnamento di Ferri [Enrico] e di Labriola [Antonio], portò in una zona particolarmente accesa singolare fermezza e oculatezza. I servi della gleba più disperati lo ebbero dirigente e per lui ottennero la grande vittoria delle cinque ore di lavoro, senza nemmeno rendersi conto che rizzavano un pilastro della nuova civiltà. Tutta l’azione sindacale del Salento venne accentrata naturalmente fra questi paesi, tra i più arrabbiati per mancanza di pane, Galatina, Maglie e Manduria. Disumane dunque le lotte. A Maglie un giorno la folla impedisce che si dia sepoltura al fratello di un ricco epulone, e il Mauro arriva a tempo per impedire il peggio. Pochi giorni dopo, nella civile Galatina, mentre arringa la folla, vien preso a sassate, ed egli si scopre il petto in segno di sfida, finché cade svenuto e lo difende e salva quel Flora [Agesilao, socialista]»[3].
Carlo Caggia, in pagine che si leggono con un pathos familiare (Carlo era nipote per parte di madre), scrive:
«Carlo Mauro […entrato nel 1895 nel Partito socialista] vi aveva trovato il suo ubi consistam spirituale prima, ideologico e politico poi. Aderì al Partito Socialista con tutta quella carica di romantico idealismo che non gli venne mai meno per tutta la vita./ Le prime bandiere rosse delle Leghe di Resistenza cominciavano a spuntare a Galatina […] Nardò, Manduria, Brindisi, Francavilla Fontana, in tutto il Salento e fuori del Salento: a Bari, a Potenza, a Castellammare, a Sulmona. […] Carlo Mauro sempre presente, sempre sulla breccia, ad educare con spirito apostolico questi uomini abbrutiti da secoli di oppressione e di sfruttamento, questi paria di una società che, chiamandosi cristiana, bestemmiava il nome di Cristo; a far capire loro che dovevano vivere da liberi e non da schiavi; a convincerli che il padrone poteva essere piegato e vinto attraverso l’unità e la coscienza di classe./ Un fiore in petto c’è fiorito…, cantano i proletari di tutto il mondo./ “La storia di ogni società finora esistita è storia di lotte di classi”, si legge, la sera, al lume di candela, nei circoli operai e contadini in cui il Manifesto di Marx [e di Engels] è la nuova Bibbia./ Il Socialismo si diffonde./ La Storia continua il suo cammino»[4].
Anche il galatinese Lucio Romano pubblicò un libro di sue poesie con altre di Rocco Scotellaro, intitolato Carlo Mauro[5], con testimonianze di Giuseppe Baldari, Giuseppe Sebastiano CALASSO (Copertino, 16 ottobre 1899 – 16 settembre 1983), che fu deputato della Repubblica Italiana per le prime quattro legislature (I, II, III, IV, appartenente al gruppo parlamentare del Pci alla Camera, e che fu anche sindacalista e due volte sindaco di Copertino), Biagio CHIRENTI, Paolo Congedo, Pantaleo Ingusci e Pietro Spagna. Il libro è introdotto da una Biografia scritta da Carlo Caggia intitolata Carlo Mauro, costruttore di civiltà. In questa biografia leggiamo:
«Di simpatie repubblicane, studia giurisprudenza nell’università di Roma. […] Il 29 giugno 1893 […] partecipa a Galatina alla fondazione del Partito Socialista di Terra d’Otranto […] Nel 1905 è alla testa delle raccoglitrici di olive del magliese che rivendicano l’abolizione del famigerato cappuccio (un sacco che le contadine dovevano portare appeso al collo e che le costringeva a piegarsi in due via via che veniva riempito. […] Nel 1906, a Galatina, stipula il primo contratto collettivo di lavoro per i contadini (che fissava orario e salario), a cui segue quello dei muratori (8 ore lavorative al giorno). A quanto è dato di sapere, i contratti dei contadini e dei muratori sono i primi – in assoluto – stipulati in Italia. […] Oltre che dei contadini e dei muratori, Carlo Mauro si pone alla testa delle lotte per l’emancipazione sociale di tutti i lavoratori, in particolare chimici, pellettieri, barbieri e ferrovieri. […] Anti-interventista, coinvolto ingiustamente nel 1920 nella proclamazione dell’effimera “Repubblica di Nardò” e imprigionato, fu più volte messo in carcere sotto tutti i governi, da Giolitti a Nitti a Mussolini a Badoglio./ Congressista a Livorno nel 1921, aderì formalmente nel 1924 al Partito Comunista d’Italia. […] Dal 1926 al 1928, con l’avvento del fascismo, fu confinato politico nelle isole di Lampedusa, Ustica e Ponza. Nel 1927 fu incarcerato nell’Ucciardone di Palermo con Bordiga [del quale fu amico e compagno della prima ora], Berti [Giuseppe], Massarenti, Schiavello, Romita e altri con l’imputazione di aver ricostituito il Partito Comunista e “un’organizzazione di fronte unico in rapporto con sovversivi del Regno e dell’Estero, aventi lo scopo di evasione e di ribellione contro i poteri dello Stato”. […] Durante le sue peregrinazioni con le manette ai polsi, conobbe anche le carceri di Lecce […], Napoli […], Crotone, Reggio Calabria, Taranto, Messina, Agrigento, Porto Empedocle, Roma, ecc./ Nel periodo fascista rappresentò nel Salento l’intransigenza più assoluta contro la dittatura e la sua testimonianza di libertà gli procurò ancora innumerevoli altri arresti, minacce, vessazioni. […] Arrestato ancora nel 1943, la caduta del regime [25 luglio] lo trovò nella condizione giuridica di “ammonito” (non rimane in carcere per la sua ormai avanzata età, 72 anni). Solamente il 25 agosto 1943, un mese dopo la caduta del fascismo, riacquistò la pienezza dei suoi diritti civili./ Il 28 gennaio 1944 partecipa al Congresso dei Partiti antifascisti […] svoltosi a Bari nel Teatro Piccinni, in cui tenne il discorso inaugurale Benedetto Croce./ Il 29 gennaio, sempre a Bari, fu chiamato a presiedere il primo Congresso di ricostituzione della CGIL […] Nominato Delegato dell’Alto Commissario per l’Epurazione in provincia di Lecce, diede esempio di magnanimità nei confronti dei suoi antichi persecutori. Partecipò quale Consultore Nazionale (Commissione per la Ricostituzione) alla preparazione delle elezioni per l’Assemblea Costituente. Candidato nelle politiche del 2 giugno 1946 [in contemporanea col Referendum Monarchia o Repubblica], morì a Galatina il 12 dello stesso mese, subito dopo la proclamazione di quella Repubblica che aveva sognato sin dai lontani anni del Liceo»[6].
Interessante un volantino, sottoscritto da alcuni intellettuali salentini, lanciato in occasione delle elezione del 1946, alle quali era candidato Carlo Mauro. Interessante perché, all’interno del suo contenuto, sono rintracciabili alcuni pensieri politico-filosofici dello stesso Mauro del quale, come sappiamo, solo pochi suoi scritti sono stati rintracciati, tra cui la seguente massima:
«Come la frusta data più volte sul dorso del cane fedele, questo irrita e ribella; come il punteruolo conficcato più volte sulla groppa dell’asino paziente, questo determina al mordo, al calcio, così il contadino, a furia di sentirsi sfruttato senza pietà, ingiuriato senza giustizia, è insorto: Non più./ Lecce sorgerà!/ Anche in questa provincia, il contadino è già scappato dal chiuso e dall’ovile, dal trappeto, dal tugurio, dalla chiesa, dove arde il cero della rassegnazione e della morte, e si è lanciato fuori con occhi spalancati, avidi, anelanti aria e sole, tutta l’aria, tutto il sole./ In alto, in alto, sfida a tutti i venti, o contadino. Noi con te, noi per te»[7].
Ecco invece il testo del volantino:
«Chi scrive è un gruppo di intellettuali. Nessuno di essi è comunista, né socialista, ma semplicemente entusiasti del cittadino, della persona, di Carlo Mauro./ Non solo, ma noi non siamo nemmeno suoi amici perché egli di amici – nel senso intimo o fraterno della parola – ha, sì e no, uno o due, enumerati, perché preferisce l’aria del suo studio, la solitudine, la vita senza rumore, in compagnia soltanto della fede [il comunismo] e dei suoi libri./ Molto raramente s’incontra per via e sempre solo; e mai in un circolo, in un caffè, in un teatro, in un pubblico ritrovo. È un solitario!/ Domandategli la ragione di tutto ciò, risponde che egli da piccolo, a 12 anni, era un sovversivo e, quindi, dal paese ritenuto monello e da tutti isolato; ma – soprattutto – perché odia la folla, infida sempre, portata sempre al tradimento; capace di alzare Cristo agli osanna nel dì delle palme e, pochi giorni dopo, trafiggerlo di lancia nel costato e dargli tazza di aceto, mentre, boccheggiante, pendeva dalla croce./ La folla, da non confondersi con la massa organizzata che è un insieme di onesti e di coscienti; la folla, egli dice, la piazza, la turba è stata, nei secoli, sempre così e così sarà: volubile e ubriaca, maligna e volteggiante, cafona e amorale, tutta denti e intestino. Cuore, pensiero, cervello mai./ Per un sorso di vino cede e si vende e, sul mercato elettorale, baratta, per un pugno di fave e una cipolla, sé, il voto e la coscienza./ I ricchi si beffano della folla e ridono se la folla dei rustici morti di fame li porta in gloria, sia se canta, poi Zazà… alla disoccupazione./ Questo ci disse Carlo Mauro, l’uomo da noi ammirato, fatto tutto di un corpo e tutto di un colore; carattere puro, inflessibile, di granito, nonostante carcere e digiuni, tutto sopportando e soffrendo da solo, con fermezza di apostolo. Esempio di giovani di oggi e di domani, quale che sia la nostra fede politica./ Chi non conosce Carlo Mauro in provincia e fuori, a Roma, a Bologna, a Livorno, a Torino, a Milano, a Trieste, ovunque vi è stata una battaglia politica, un’agitazione economica, uno sciopero proletario? Tutti. E tutti ne esaltano il pensiero, la fede, l’intelligenza, la rettitudine, il grande equilibrio della sua mente, la grande bontà del suo cuore./ Chi non ricorda gli scioperi nel Magliese?/ Egli si mise contro tutte le potenze della finanza, del latifondo, della banca, del capitale; contro i Tamborino, i Garzia, i De Donno, e li vinse tutti, nelle memorabili e gigantesche lotte a favore dei contadini, i quali, per la miseria, i patimenti e la fame, non avevano più volto umano, ma di spettri e di scimmie./ Chi non ricorda Carlo Mauro nel Gallipolino, a Nardò, a Manduria, a Brindisi, a Francavilla Fontana?/ Anche le pietre lo ricordano, giovane, allora, vivo, temerario e tutti ne cantano le virtù e quando lo vedono è una festa, se lo stringono al cuore, piangenti di commozione per gli antichi ricordi, per le antiche memorie e per il bene ricevuto dall’opera sua, sempre e ovunque onesta e disinteressata. Sì, sì, disinteressata, perché Carlo Mauro ha sofferto la vera fame, spesso si è nutrito di solo pane asciutto; spesso, fuori di casa, ha dormito sotto un ponte o in un angolo di chiesa; ma non ha chiesto mai niente a nessuno, nemmeno a quelli per cui lottava e rischiava la galera e cimentava la vita./ Figure simili si trovano solo tra i fanatici di una religione./ Chi non ricorda Carlo Mauro nelle storiche conquiste delle cinque ore per i contadini e delle otto ore per i muratori; conquiste che ebbero origine in Galatina, ma poi, divennero legge per tutta Italia?/ Chi non ricorda Carlo Mauro nelle lotte proletarie pei pellettieri, pei chimici, pei barbieri, per quanti gemevano la povertà sotto il tallone della ricchezza?/ E tutto questo senza mai il disturbo dell’ordine pubblico, senza mai che uno scioperante andasse in galera o cadesse vittima di un colpo di moschetto»[8].
Lucio Romano è autore dell’epigrafe apposta sulla facciata della casa di Mauro a Galatina in occasione del 50° anniversario della morte. Queste le sue parole:
«Di Carlo Mauro (1871-1946)/ La fede limpida nel socialismo/ Pagata poi a carcere e confino/ Questa piazza ricorda// Qui risuonò come un urlo/ la voce che parlava di leghe/ Di pane/ Di civiltà da fare/ Umana e degna a costo di martirio// Una vita e un morire/ Che fu pietra ed offerta/ alla dea Libertà// Di quella voce resta in questa piazza/ Quasi un’eco che è diventata Storia/ Chi passa ne avverte il respiro/ Lo spessore multiplo»[9].
Anche il poeta civile Vittore Fiore, socialista e meridionalista, ebbe modo di dedicare a Carlo Mauro alcuni versi in un suo stupendo poema. Questi:
«Al fondo di queste desolazioni/ noi chiamammo europei quel cielo fermo,/ la linea bassa dell’orizzonte,/ il profilo di ulivi e case bianche/ che si attaccavano alla luce,/ le ceneri rivoluzionarie di Carlo Mauro […]// Notizie di Carlo Mauro? Divide/ ceci nel collettivo di cultura,/ fave a Galatina, in un casolare/ di periferia, discutono/ lo sciopero di domani, la sorte/ che ha aperto un’impari lotta/ che nessuno, in quei loro asciutti/ stupori di scoprire che vuol dire/ trovarsi nell’unità,/ considerava impossibile, assurda»[10].
Non di minore importanza è la memoria dell’umanista Aldo Vallone che, nell’introduzione al libro Cronache fra due secoli, di Carlo Caggia, scrive:
«Mauro è di estrazione popolare […] è veemente oratore, ha del socialismo i temi e i colori tipici dei grandi uomini di fine Ottocento, conosce l’anima del popolo, è un animatore che propaganda paese per paese, occasione per occasione, le sue idee e le batte e ribatte scrivendo senza requie e provocando insieme, sotto diversi aspetti, avversari e amici. […] Sul piano locale Mauro sollecita e costituisce leghe di muratori e contadini, non di rado in rapporto e concomitanza con quelle realizzate altrove. […] Mauro è convinto che un partito socialista nel leccese non esiste perché “il popolo non è organizzato, ma vive insensibile alla civiltà” (v. in “Il Salento”, 30 marzo 1899) e vede nell’utopia la bandiera per destare passione e sostenere speranze. […] Mauro tenta di nutrire ideologicamente il popolo e di guidarlo alla riscossa»[11].
Un saggio di grande spessore politico-storiografico è quello di Gianni Schilardi, attuale presidente onorario dell’Anpi di Lecce. S’intitola Origine e sviluppo del partito a Galatina, nel quale, a proposito di Carlo Mauro, scrive:
«Nel gennaio 1921, il delegato socialista a Livorno è C. Mauro, la delega al leghista galatinese, però, più che consenso ad una linea appare soprattutto un riconoscimento al leader carismatico. […] Al Congresso, Mauro vota per la mozione comunista, ma la sua adesione alla nascita del Pcd’I [… avverrà] nel 1924. […] il colpo di grazia alla già asfittica organizzazione del partito [nel Salento] sarà, il 30 novembre del 1926, l’arresto di Mauro, considerato dal regime un “pericoloso sovversivo”. Condannato a cinque anni di confino, il 28 gennaio 1927 inizia una lunga peregrinazione per le isole»[12].
Un’importante testimonianza sull’attività del Mauro a Galatina, la riporta Michele Magno, quando scrive:
«A Galatina, il 1° agosto 1911, per iniziativa di centotrenta calzolai del posto, venne indetta una conferenza per la costituzione di una cooperativa tra calzolai. Mentre, all’interno del liceo, prendevano posto i primi convenuti, in attesa dell’arrivo da Lecce del sacerdote conferenziere, circa cinquecento lavoratori delle leghe dei contadini, dei muratori e dei pellettieri, capeggiati dal massimo esponente locale del partito socialista, avv. Carlo Mauro, dopo avere improvvisato un corteo con la bandiera rossa alla sua testa, irruppero nell’atrio della scuola per impedire la manifestazione. Ricacciati dai pochi carabinieri presenti, dopo ripetuti scontri con i cattolici, gli anticlericali si portarono in piazza gridando “Abbasso i preti, non vogliamo i gesuiti”. La conferenza non ebbe luogo, sei calzolai dovettero farsi medicare, il Mauro e altri tredici socialisti furono denunciati per rifiuto all’obbedienza, istigazione a delinquere, minaccia di disordini e danneggiamenti. […] Carlo Mauro, nell’immediato dopoguerra, era stato alla testa di grandi lotte del proletariato, a Galatina e negli altri comuni della zona. Accusato di avere organizzato e capeggiato i moti scoppiati a Nardò nel marzo 1920, prima si era dato alla latitanza e poi, il 29 maggio 1920, si era costituito volontariamente; il 29 giugno seguente, era stato scarcerato per insufficienze di indizi. Alle elezioni politiche del 1924, è candidato nella lista di Unità proletaria, per il Pci [sic!, Pcd’I]. Il 20 novembre 1926, con ordinanza della competente commissione di Lecce, è assegnato al confino, egli scriverà a una sua concittadina, cui era sentimentalmente legato, una lettera dalla quale traspariranno la forza della sua fede e la fermezza del suo impegno di lotta./ Nel settembre 1927, egli verrà denunciato al tribunale speciale, assieme ad altri trentotto confinati a Ustica, per costituzione di organizzazione comunista; ma con ordinanza del 1° agosto seguente del giudice istruttore di quel tribunale, verrà scarcerato per insufficienza di indizi. Il 30 novembre 1928, scontati i 2 anni di confino, potrà rientrare a Galatina, dove verrà sottoposto alla più assidua vigilanza da parte della polizia. La questura di Lecce, nel suo rapporto periodico del 22 dicembre 1937 sulla condotta del Mauro, riferirà che egli “si conserva fedele all’ideale comunista, ma non spiega alcuna attività deleteria verso il regime. Conduce vita sociale ma viene sempre vigilato”. Il 9 luglio 1943 la commissione provinciale di Lecce per i provvedimenti di polizia lo ammonirà, ritenendo di non doverlo internare in considerazione della sua età avanzata [72 anni]»[13].
Lunga peregrinazione fu quella di Carlo Mauro che, tra confino è carcere si protrarrà per tutti gli anni del regime fascista, fino al 1943, quando, secondo Schilardi, ritroviamo il Nostro impegnato nel Congresso dei Comitati di Liberazione nazionale di Bari. Schilardi Scrive:
«Il 28 e 29 gennaio del 1944 una delegazione di comunisti galatinesi segue il Congresso […] Carlo Mauro presiede il Congresso sindacale tenuto il 29 gennaio 1944 presso il dopolavoro postelegrafonico e che viene considerato il primo atto di ricostituzione della Camera generale del lavoro. In margine al celebre Congresso dei CLN si tenne negli stessi giorni a Bari un convegno meridionale del Pci [sic!, Pcd’I]: ad esso parteciparono i delegati galatinesi C[arlo] MAURO, G[iuseppe] MARRA, A[ngelo] COLAZZO, Nello GALLUCCIO. […] Mentre Mauro e Marra rappresentano indubbiamente la continuità con la vecchia tradizione socialista, Colazzo e Galluccio sono il volto dell’antifascismo più recente, coloro che sono arrivati da soli, e negli ultimi anni del regime a fare una scelta di classe»[14].
Gli anni 1943-44 sono significativi per l’antifascismo salentino. Lo scrive Dino Levante nel suo saggio Partiti e lotte politiche nel Salento (1943-1948), dove scrive:
«Già prima dell’8 settembre 1943 si andavano organizzando le file dell’antifascismo salentino. La data del 16 gennaio 1943 è, infatti, quella della stesura del documento di costituzione del Fronte unico antifascista di Lecce, firmato dall’avvocato Vito Mario Stampacchia (socialista), dall’avvocato Carlo Mauro (comunista) e dal commendatore Antonio Fiocca (democristiano). L’atto costitutivo, firmato dai capi del movimento, era emblematico della mancanza di una base e dei limiti ideologici dell’iniziativa. Intanto, tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944, molti partiti ricostituiscono le loro sezioni. Il Partito comunista italiano (Pci) vede il rientro degli ex confinati che devono riannodare i legami con un proletariato indifferente e politicamente diseducato, e già qualche tempo dopo, il 25 luglio ricostituisce la Federazione provinciale per iniziativa dei suoi esponenti principali: Armando Povero e Pietro Refolo»[15].
Su Mauro, c’è ancora un’altra testimonianza, che viene dall’interno del partito comunista leccese. Si tratta di quella di Giorgio CASALINO, per anni deputato salentino alla Camera. Scrive:
«Visse in una provincia priva di stratificazioni sociali moderne. Pochi erano gli operai organizzati, abbondavano invece i contadini rassegnati e oscillanti, quasi servi della gleba, assoggettati ai padroni medioevali. Tormentate erano le donne contadine costrette a indossare il cappuccio per la raccolta delle olive. I feudatari e i latifondisti erano incapaci persino di fruire modernamente della manodopera contadina per ammodernare la coltivazione delle terre sviluppando il rendimento produttivo e finanziario»[16].
Ma ritorniamo ora a Lucio Romano e al suo libro su Carlo Mauro. Scrive che
«Carlo Mauro portò le sue cure ai più infelici, ai contadini, ai braccianti, perché in questi egli vide il mondo di lavoro più sfruttato, perché in questi egli rivide altri servi della gleba di un feudalesimo che non voleva morire. […] Carlo Mauro era un ribelle, e il ribelle il più delle volte, specie quando è ispirato da nobili e sante idee, è un rivoluzionario. […] Una caratteristica di Mauro colpisce più delle altre: il ripudio della violenza. Sempre: sia quando aveva contro la classe reazionaria e violenta, sia quando fu Commissario d’epurazione dopo la caduta ingloriosa del regime. Mai incitò la folla alla rivolta cruenta. Sempre credette in una via pacifica alla rivoluzione necessaria per costruire un lavoro più umano»[17].
Inoltre, all’interno del libro, il Romano inserisce una delle testimonianze fondamentali per capire attraverso quali percorsi i salentini parteciparono alla nascita e alla costruzione del Partito comunista nel Salento. Si tratta della testimonianza di Giuseppe CALASSO, per decenni responsabile della sezione Agraria e per alcuni anni segretario provinciale del Pci leccese. Ecco uno stralcio della testimonianza:
«Ho conosciuto Carlo Mauro in occasione di un grande sciopero provinciale dei braccianti./ Io avevo 22 anni. Lui era sulla cinquantina./ L’atmosfera: quella del primo dopoguerra, creata dalle grandi delusioni del popolo./ Il fascismo montava e già accendeva fiamme sinistre in tutto il paese. Era l’autunno del 1921./ Fra giovani si parlava delle lotte passate, del Congresso di Livorno, dei vecchi dirigenti, dei pionieri./ Carlo Mauro era per noi una figura leggendaria. […] Il 1922 la violenza fascista si fece sentire anche in provincia di Lecce./ L’occupazione violenta del Municipio di Taviano, le bandiere rosse bruciate qua e là, l’olio di ricino al vecchio maestro Manieri di Nardò. Ma l’azione più violenta e vergognosa fu consumata a Galatina, dove furono incendiati gli archivi della Camera del Lavoro e della Cooperativa di consumo, con tutte le suppellettili. […] Ma ecco fra le ceneri delle cose, dell’organizzazione, Carlo Mauro riappare più deciso e più sicuro di prima, con la sua ironia, col suo sorriso amaro, riprendendo le file, rincuorando alla lotta./ Lui che intanto era tornato dal Congresso di Livorno comunista, in una riunione che tenemmo in casa sua ci illustrò lo svolgersi del Congresso, le ragioni profonde, storiche, ineluttabili dell’uscita dal vecchio Partito Socialista, che si era rifiutato di espellere le tabe del riformismo. […] Quando nel 1926 lo inviarono al confino io ero già in carcere e lì seppi ch’era stato confinato. Mi raccontarono poi che a Lampedusa era stato arrestato e trasferito a Poggioreale, a disposizione del Tribunale Speciale, accusato di avere con altri ricostituito il Partito Comunista./ Quello che mi colpì del carattere del Mauro dal momento che lo conobbi, fu il suo ottimismo./ Mi lamentavo con lui: “Distorcono i nostri discorsi, dicono delle falsità”./ Rispondeva allegramente: “Lasciali dire e non ti meravigliare. Preparati per ascoltare cose più gravi e diventerai più forte. Noi comunisti dobbiamo portare sempre due bisacce. Di tutto quello che dicono nei nostri riguardi, dobbiamo scegliere il buono e metterlo nella bisaccia davanti. Il cattivo dobbiamo gettarlo in quella di dietro. La cosa importante è quella di rimanere fedele al tuo ideale. Peppino, sai cosa ha detto Lenin? Non piagnucolate, compagni. Noi vinceremo, perché abbiamo ragione”./ Ritornati in libertà (vigilata), si dava l’occasione di rivederci spesso a Lecce. […] Quando cadde il fascismo, lo rividi la prima volta in un caffè a Lecce, dove cavò dalla borsa un pacco di volantini. Il “Sorgiamo” di Spartacus. Vi era trasfusa tutta la sua passione di combattente antifascista. […] Ricordo il suo primo comizio a Copertino dopo la caduta del fascismo. La fine del 1943, uno stabilimento vinicolo stipato di gente vociante e plaudente./ Raccomandò di ricostruire il Partito e di farlo forte. Di essere uniti, uniti, per abbattere questa società, marcia, putrefatta, causa di continue guerre e di dittature. Di abbatterla e di costruirne una nuova, una società di eguali. […] Sarà dura la lotta per conquistare la vittoria – disse – per costruire la nuova società, ma l’avvenire è nostro! Poi ebbe un momento di riflessione e continuò: “Non vorrei parlare di me, ma debbo dirvi che purtroppo il giorno della vittoria io non ci sarò./ Per me che ho speso tutta la vita per questo ideale, non vi domando nulla. Vorrei solo che quel giorno sulla mia tomba venga esposto un fiore rosso. Io di sottoterra vi risponderò col pugno chiuso!»[18].
Quando Carlo MAURO morì, tra i comunisti del Salento ci fu una forte commozione. Il nipote Carlo Caggia, ricorda così l’evento:
«Il 12 giugno 1946 muore Carlo Mauro. “La Gazzetta del Mezzogiorno” scrive: “Si è spento in Galatina, dove risiedeva, il Consultore Nazionale avv. Carlo Mauro, capo del movimento comunista del Salento. Da giovane militò nel Partito Socialista. Avversario irriducibile del fascismo, rimane fedele alle sue idee per tutta la durata del tramontato regime, subendo persecuzione, carcere e confino. Caduta la dittatura ed entrato nel Partito Comunista, ne fu uno degli animatori più battaglieri./ Coprì varie cariche fra cui quella di Delegato Provinciale dell’Alto Commissario per le sanzioni contro il fascismo e Capo della Commissione Provinciale per l’epurazione e per l’avocazione dei profitti di regime; cariche nelle quali portò sempre il contributo del suo equilibrio e della sua equanimità. È stato Consultore Nazionale e il suo nome figurava fra quelli dei candidati alla Costituente”./ Della morte di Carlo Mauro danno notizia i quotidiani nazionali, in particolare “l’Unità” e l'”Avanti”. A sua volta “Il Lavoratore del Salento”, organo della Federazione provinciale del Pci, così scrive: “Nella mattina del 13 corrente si sono svolti in forma semplice e solenne i funerali del compagno avv. Carlo Mauro. Racchiuso in un’umilissima cassa di abete grezzo com’era stato suo desiderio, seguito dalle bandiere del nostro Partito e da un silenzioso corteo di amici e di lavoratori, la salma è stata accompagnata all’estrema dimora. Non manifesti, non suono di campane, non musica; i cittadini che hanno visto passare quel modesto feretro ignoravano ancora che Carlo Mauro, il veterano del nostro Partito, non fosse più fra noi. Il commosso pensiero dei nostri lavoratori va oggi al coraggioso, esemplare, cavalleresco combattente che fu loro, in ogni tempo, guida capace e sicura contro il fascismo e gli oppressori»[19].
Quella di Peppino CALASSO è un’altra storia, importante, la storia di un comunista che ha costruito il Pcd’I nel Salento leccese per quasi tutto il Novecento. Già nel 1920 lo troviamo impegnato nelle lotte che interessano vaste masse di lavoratori. Mauro è al confino ma lui, assieme ad altri salentini e pugliesi, partecipa attivamente all’organizzazione della lotta in difesa dei contadini. Michele Magno scrive:
«Il 5 agosto [1920], si tiene a Bari un’assemblea di quadri [del Partito socialista], alla quale partecipano “oltre cento compagni e tutte le organizzazioni sovversive della regione”. A conclusione di un vivacissimo dibattito, i convenuti approvano un lungo ordine del giorno e nominano un comitato regionale pro vittime politiche, formato da Martucci, [Enrico] Meledandri, [Giuseppe] Calasso, [Raffaele] Pastore, [Giuseppe] Di Vittorio, [Pietro] Refolo, [Vincenzo] Totaro, [Romeo] Mangano, Gadaleta e Ada Maierotti. […] In dicembre [1927], a Bari, la polizia arresta e denuncia per attività comunista, diciassette persone, tra cui il copertinese Giuseppe Calasso. Di queste, con sentenza del tribunale speciale del 16 luglio 1928, tre saranno rinviate alla magistratura ordinaria, e saranno assolte./ Giuseppe Calasso, appena rientrato dalla grande guerra, nel 1919, si iscrive al Psi, nel 1924, al momento della confluenza nel Pci dei socialisti terzinternazionalisti, passa nelle file comuniste. Autodidatta, sa elevarsi culturalmente e divenire uno degli animatori più capaci, in provincia di Lecce, della lotta clandestina contro il fascismo. Dopo l’assoluzione del tribunale speciale, viene condannato dalla magistratura ordinaria, sconterà 2 anni e 5 mesi di carcere. […]»[20].
Lo storico e giornalista Enzo Bianco, in una sua pregevole ricostruzione – Compagni. Le lotte dei comunisti leccesi contro il fascismo – conferma che gli furono comminati
«due anni di carcere per complotto contro i poteri dello Stato e istigazione all’odio delle classi»[21].
Calasso è uno che è rimasto sempre sulla breccia, fino al punto che ormai ottuagenario, non potendo partecipare di persona al famoso convegno sull’occupazione delle terre dell’Arneo (marzo 1982), occupazione che egli aveva organizzato e diretto, inviò un messaggio dimostrando, ancora una volta, il suo profondo legame con le masse lavoratrici del Salento per il riscatto di secoli di miseria e di abbandono. Eccone il testo:
«Cari compagni e amici, mi sarebbe piaciuto rivivere con voi i giorni gloriosi della lotta per liberare le terre del latifondo, ancora nelle mani dei discendenti dei feudatari che continuavano a tenere allo stato macchioso, indifferenti alla miseria dei contadini: pronti a mandarli in galera se venivano sorpresi con un fascio di sterpi portati a casa per accendere il fuoco. E finanche a uccidere qualche disoccupato, sorpreso a raccogliere funghi o lumache. Non ricordare il povero Contegiacomo ucciso a fucilate perché sprovvisto di permesso a raccogliere funghi?/ Ora tutto questo che cresce nell’Arneo è opera dei contadini che il ’49-50 e ’51 ingaggiarono e vinsero la battaglia contro il vergognoso passato./ La vittoria fu solo dei contadini? No! Fu una tappa che segnò un momento importante per la rinascita del Mezzogiorno»[22].
Il giornalista Enzo Ligori lo intervistò a lungo, pubblicando poi il resoconto dell’incontro sul quindicinale della federazione del Pci di Lecce «Salento Domani». Così ricorda quell’incontro:
«Siamo andati a trovare a Copertino l’on. Giuseppe Calasso e l’abbiamo stimolato a raccontare qualche episodio significativo della sua lunga esperienza di militante e dirigente comunista. In particolare abbiamo parlato del movimento contadino leccese e dell’occupazione delle terre nel 1949-50./ Si è trattato di una conversazione spontanea, non concordata, basata unicamente sui ricordi, e avente come tema centrale il bisogno di terra dei braccianti e dei contadini poveri salentini, un bisogno che non nasce certo negli anni ’50 ma che ha origini remotissime»[23].
Ecco alcune significative risposte di Giuseppe Calasso:
«Sì, il movimento contadino ebbe il suo culmine, in una certa fase, nell’occupazione delle terre […] nel ’49, ’50 e primi mesi del ’51. Era guidato dalla Confederterra e dal Partito comunista, espressione più alta e genuina delle esigenze dei braccianti e dei contadini senza terra, i quali avevano cercato di dare sbocco al loro bisogno di terra fin dal lontanissimo 1901 e ancora prima in Comuni come Copertino, Nardò, Ugento, Campi, dove si erano visti costretti ad invadere i campi, cioè a formare squadre e avviarle sulle terre incolte e mal coltivate. […] Alla fine della guerra [1945] ci furono dei movimenti, ma noi non avevamo la forza e l’organizzazione capaci di dirigere questo movimento. Esse si andarono realizzando nel tempo. Ma anche nel ’44 ci fu qualcosa. Io ricordo che proprio allora i sindacati fascisti dell’agricoltura furono invitati dalle organizzazioni sindacali fasciste (ormai controllate dalle forze democratiche) a darsi cariche sociali in maniera democratica. [… L’intervistatore passa poi a domandare dei risultati ottenuti dal Partito comunista grazie a quelle lotte. E Calasso risponde:] Noi nel ’46 riuscimmo ad eleggere un solo deputato, Ruggero Grieco. Nel ’48 ne avemmo 3 e un senatore, il compagno Voccoli di Taranto. Allora fui eletto per la prima volta … Ma io vorrei andare indietro nel tempo, prima di arrivare agli anni ’49-50: il bisogno della terra non era espresso, e non fu diretto, nei primi anni, soltanto da noi comunisti. Vi fu anche una componente bianca che faceva capo a Guido Miglioli, che divenne anche grande amico dei comunisti (tra l’altro subì anch’egli le prepotenze dei fascisti che gli distrussero la casa a Cremona), tant’è vero che quando fu costretto all’esilio egli non andò negli Stati Uniti o in Francia, ma andò nell’Unione Sovietica./ Nel Salento questo movimento contadino cattolico culminò nell’episodio di Ugento, dove i braccianti erano guidati dai cattolici, da un sacerdote che poi dovette fuggire da Ugento e andare a vivere a Taranto: don Marinuzzi. […] Siamo nel 1920, degli anni ’19-20 e ’21. Ed anche del ’22. I padroni delle terre contrastarono fortemente il movimento contadino anche a Copertino, a Nardò (dove il movimento culminò nella proclamazione della Repubblica Neretina)./ A Ugento la repressione culminò con l’uccisione del capolega cattolico Profico da parte dei mazzieri degli agrari. [… Tu ricorderai la polemica di Gramsci contro certo massimalismo…] Tra noi comunisti l’insegnamento di Gramsci giungeva solo fino ad un certo livello, diciamo dirigente. Non si può dire la stessa cosa dei dirigenti di base, delle cerniere, dei “marescialli”… dei “sergenti”. Essi non conoscevano (e come avrebbero potuto) il Gramsci che arrivava al coltivatore diretto e al ceto medio e agli intellettuali che avrebbero dovuto fare blocco insieme al movimento operaio»[24].
Importante è anche il giudizio dato su Giuseppe Calasso da un’altra straordinaria figura di comunista quale fu Giovanni GIANNOCCOLO che, nel libro L’elogio della coerenza. Tra Salento ed Emilia, scrive:
«La conquista del Comune di Copertino era avvenuta in verità già prima, e ciò a causa [sic!, grazie alla] della popolarità e della forte personalità di Giuseppe Calasso, noto come indomito comunista e per il suo intransigente antifascismo»[25].
E non di memo è il bel ricordo della figura del Copertinese scritta da Carlo Caggia:
«È morto il capo dei contadini e delle tabacchine// Giuseppe Calasso, anche da vivo era ormai nella storia del movimento comunista salentino./ Prestigioso leader comunista fu, per molti anni, il “Capo” del movimento contadino e delle tabacchine del Salento./ Era amato dalla gente e temuto ed odiato dagli agrari più retrivi, sino al punto da subire a Lizzanelo, prima della sua elezione a deputato nel 1948, un attentato con bombe a mano [dove ci furono due morti]./ Già la sua scheda biografica era inserita nella ponderosa opera Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico di Andreucci-Detti (Editori Riuniti) la quale riporta i punti più salienti della sua vita./ Nato a Copertino il 16 ottobre 1899, partecipò alla 1a guerra mondiale con il grado d Tenente./ Nei ’21 fu segretario della sezione socialista della sua città natale e nel 1924 aderì formalmente, insieme con il nucleo già esistente dei comunisti leccesi, al Partito Comunista d’Italia./ Con l’avvento del fascismo, per la sua attività politica, fu condannato dal Tribunale Speciale ad un anno di reclusione e fu posto in libertà nel 1928. Abile e dotato di vasta cultura, mantenne i contatti con l’antifascismo militante, riuscendo a beffare la polizia politica che lo riteneva addirittura un simpatizzante del regime./ Nel 1944 fu segretario provinciale della Federterra e poi segretario provinciale del Pci. Fu deputato per venti anni dal ’48 al ’68./ Il punto più alto della sua attività politica fu certamente la lotta per l’occupazione delle terre dell’Arneo, una battaglia corale di un’intera classe sociale, che spezzò il latifondo in provincia di Lecce./ Non è retorico dire perciò che Giuseppe Calasso, comunista, fu un costruttore di civiltà nella nostra terra»[26].
Da parte sua lo storico Salvatore Coppola, in uno dei suoi libri fondamentali per la conoscenza della storia del Partito comunista a Lecce – Il gruppo dirigente del Pci salentino dal 1943 al 1963 – fa un’ampia ricostruzione della vita politica e dell’azione sindacale del Copertinese. Con abbondanza di particolari, ricostruisce minuziosamente i passaggi, congresso dopo congresso, sia del partito sia della CGIL, dell’articolazione degli incarichi e delle posizioni politiche dei dirigenti del Pci successivi alla morte di Carlo Mauro. Col 1943 e la fine (maggio 1943) della Terza Internazionale e, subito dopo, con la svolta di Salerno (La via italiana al socialismo) del 1944, teorizzata dal segretario generale Palmiro Togliatti, il partito non è più quello di prima, cioè non è più il Partito Comunista d’Italia (Pcd’I), sezione della Terza Internazionale, ma Partito Comunista Italiano (Pci), e sarà così fino al 1991, quando verrà sciolto per dare vita ad un’altra esperienza politico-partitica, che si dimostrerà essere un’altra storia diversa da quella dei comunisti italiani, persino nella stessa denominazione: non più comunisti ma “democratici”.
Sono costretto (ma lo faccio con piacere) di citare alcune pagine del libro di Coppola, relative alla formazione dei gruppi dirigenti del Pci leccese dopo la seconda guerra mondiale. Il 20 e 21 ottobre 1945, ancora vivo Mauro, alla presenza del segretario regionale Remo SCAPPINI (Empoli, 1908-1994) e di Vincenzo BIANCO (Torino, 1898 – Fiuggi, 1980), quest’ultimo inviato dalla Direzione del partito, si tenne il
I° congresso provinciale del secondo dopoguerra. A quel congresso furono eletti nel Comitato federale quei dirigenti che costituirono poi l’ossatura del Partito comunista italiano (Pci). Cito scrivendo i nomi per esteso e i cognomi in maiuscoletto e in neretto. Sono: «Giuseppe CALASSO (segretario provinciale), Giovanni Battista MANGIOLA (responsabile dell’organizzazione), Nicola DE LICIO (responsabile della sezione sindacale), Pietro REFOLO (segretario della CGIL), Aristide GRECO (responsabile della sezione economica e agraria), Ernesto ROMANO (responsabile della redazione del giornale), Carlo MAURO (responsabile dell’Ufficio Epurazione), Giovanni LEUCCI (responsabile della sezione Agit-prop), Giovanni LEO (responsabile dell’organizzazione dei giovani), Oronzo PATARNELLO (responsabile della sezione Enti Locali e cooperazione), Ernesto PUGLIESE (responsabile della sezione di amministrazione), ed inoltre: Vittorio ACERNO (segretario della sezione di Maglie, era uno dei “compagni del 1921”), Antonio BOVE, Emilio BUFANO, Angelo COLAZZO (segretario della CGIL di Galatina), Francesco CONTEGNO, Mario FOSCARINI, Giovanni GIANNOCCOLO, Francesco REFOLO e Pompilio ZACHEO. Furono delegati al V° Congresso nazionale CALASSO, LEO, MANGIOLA e Maria FIORE. […] Al
II° congresso provinciale (14-15 dicembre 1947), Aramis GUELFI[27] propose di eleggere un Comitato federale in numero di uno ogni 600 iscritti: oltre allo stesso Guelfi, i nomi proposti erano quelli di Giovanni LEUCCI (iscritto dal 1943), Giovanni GIANNOCCOLO (iscritto dal 1943), Giuseppe CALASSO (dal 1921), Ivo JAVICOLI (dal 1943), Biagio CHIRENTI (dal 1921), Francesco REFOLO (dal 1921), Giorgio CASALINO (dal 1943), Luigi MARRA (dal 1943), Salvatore FABRIZIO (dal 1943), Libero CARACCIOLO (dal 1943), Maria GRECO (dal 1943), Antonio VENTURA (dal 1944), Aristide GRECO (dal 1943), Vincenzo ISCERI (dal 1943), Ada CHIRI (dal 1946), Mario GRECO (dal 1946), Giuseppe QUARTA (dal 1943). […] All’interno di quel gruppo l’unità ideologica era costituita, secondo Guelfi, dai 15 che “non avevano mai deviato”; soltanto Calasso e Refolo, pur essendo d’accordo con la linea politica del partito, nella loro attività, avevano dimostrato di essere l’uno (Calasso) “ideologicamente massimalista” e l’altro (Refolo) “un po’ bordighiano” […] Dopo il VI° Congresso nazionale del Pci (gennaio 1948), il Comitato federale venne ampliato con l’inserimento di Luciano ALLEGRI (proveniente dalla Federazione di Torino; sostituì per qualche tempo Giannoccolo all’organizzazione), Enzo MANGIACAVALLO (impiegato comunale, iscritto dal 1944), Michela FILOGRANA (operaia tabacchina, iscritta dal 1946), Luigi MAGLI (mediatore, iscritto dal 1946), Domenico FRANCO (artigiano, iscritto dal 1945), Giacinto LONGO (ferroviere, iscritto dal 1943), Salvatore RENNA (operaio, iscritto dal 1946), Enza QUATTRONE (impiegata, iscritta dal 1946), Mario FOSCARINI (impiegato, iscritto dal 1943), Enzo RIZZO. Il Comitato federale nominò la segreteria (GUELFI, LEUCCI, GIANNOCCOLO, JAVICOLI e CASALINO) e il Comitato Esecutivo (ne facevano parte, oltre ai membri della segreteria, anche ALLEGRI, CALASSO e FOSCARINI. […] Al
III° congresso provinciale (che si tenne presso i teatri Apollo e Paisiello dal 17 al 18 dicembre [1950] parteciparono 104 delegati in rappresentanza di 83 sezioni; chiamati alla presidenza onoraria Stalin, Togliatti, Thorez, Mao e Dimitrov e alla presidenza effettiva Gian Carlo Pajetta, Remo Scappini, Giovanni Leucci, Giovanni Giannoccolo, Giorgio Casalino, Giuseppe Calasso, Cristina Conchiglia[28], Corrado Natali, Eugenio Carrozzo, Saverio Perrone ed Ermenegildo Sanguedolce, i lavori furono aperti dalla relazione del segretario Leucci […] A conclusione dei lavori del congresso, venne eletto il nuovo Comitato federale; del gruppo dei cosiddetti “compagni del 1921” e di quanti avevano fatto parte del Comitato esecutivo che aveva guidato il partito tra il 1943 e il 1945 vennero confermati soltanto CALASSO e Aristide GRECO […] gli altri componenti […] erano: Giovanni LEUCCI (artigiano, già segretario della CGIL provinciale e, dal 1949, segretario della Federazione del Pci), Giovanni GIANNOCCOLO (artigiano, vice segretario e responsabile della sezione Organizzazione e Quadri), Giorgio CASALINO (operaio, segretario della CGIL provinciale), Mario GRECO (intellettuale, segretario dell’Associazione Partigiani della Pace), Ivo JAVICOLI (intellettuale, responsabile della sezione Stampa e propaganda), Salvatore SICURO (intellettuale, responsabile della zona Pci di Alessano), Corrado NATALI (operaio di Gallipoli, membro della segreteria del sindacato provinciale dei braccianti), Giuseppe QUARTA (studente universitario, segretario provinciale della FGCI), Anna ROCCI (operaia, responsabile dell’organizzazione femminile), Cristina CONCHIGLIA (casalinga, responsabile del sindacato tabacchine), Antonio VENTURA (contadino, responsabile della zona Pci di Nardò), Dolores ABBIATI (operaia, responsabile provinciale delle ragazze della FGCI), Biagio CHIRENTI (contadino, responsabile del sindacato mezzadri), Libero CARACCIOLO (intellettuale, membro della segreteria della FGCI), Cosimo CALASSO (impiegato, segretario della sezione Pci di Copertino), Francesco CECCOTTI (impiegato, segretario mandamentale della CGIL della zona di Casarano), Eolo CAFARO (studente, segretario della sezione “Povero” di Lecce), Donato CARBONE (contadino, membro della segreteria della FGCI), Ferrer CONCHIGLIA (marittimo, membro del comitato di zona di Campi), Antonio CASALUCE (contadino, membro della segreteria della sezione Pci di Nardò), Luigi MAGLI (mediatore, segretario della CGIL di Carmiano e responsabile sindacale di zona), Albano MASSARO (sarto, responsabile della sezione amministrativa della Federazione), Pompilio ZACHEO (impiegato, segretario della sezione Pci di Campi), Saverio PERRONE (contadino, segretario della CGIL di Campi), Ermenegildo SANGUEDOLCE (operaio, responsabile della cellula degli autoferrotranvieri), Liberato INTERNÒ (artigiano, segretario amministrativo della sezione “Picelli” di Lecce e successivamente responsabile del Comitato direttivo della zona Pci di Alessano), Luigi VELINO (impiegato, membro della segreteria della sezione “Picelli” di Lecce), Romolo SOLOMBRINO (artigiano, membro della segreteria della sezione “Picelli” di Lecce), Nicola PRIMICELI (operaio, di Lecce, membro della commissione provinciale di organizzazione), Eugenio CARROZZO (contadino, segretario della sezione Pci di Veglie), Vincenzo APRILE (contadino, segretario della CGIL di Calimera), Luigi DELL’ANNA (bracciante, membro del consiglio direttivo della Federterra), Sigfrido CHIRONI (operaio, di Surbo, membro della commissione di organizzazione della CGIL provinciale), Carlo RUGGERI (studente universitario, corrispondente de “l’Unità”), Paolo COLAZZO (studente universitario, segretario della sezione Pci di Galatina); otto di loro erano iscritti al partito dal 1943, gli altri si erano iscritti tra il 1944 e il 1948. Il Comitato federale elesse la segreteria (LEUCCI, GIANNOCCOLO, CASALINO e CALASSO) e il Comitato esecutivo (del quale facevano parte, oltre ai membri della segreteria), ABBIATI, CONCHIGLIA, Mario GRECO, JAVICOLI, MASSARO, NATALI, QUARTA, ROCCI, SICURO e VENTURA; il gruppo dirigente eletto dal terzo congresso provinciale si trovò, di là a qualche giorno, a guidare la lotta per l’occupazione dell’Arneo e per la riforma agraria. […] A partire dalla seconda metà del mese di gennaio 1954 si svolsero i congressi di sezione e le assemblee in preparazione del
IV° congresso provinciale che fu fissato per i giorni 12, 13 e 14 marzo […] Su proposta della segreteria uscente e con voto palese per alzata di mano fu eletto il nuovo Comitato federale, del quale facevano parte (in ordine alfabetico): Dolores ABBIATI (segretaria del sindacato tabacchine), Luigi ADAMUCCIO (segretario della sezione Pci di Maglie), Egidio ANNIBALE (segretario della sezione Pci di Nardò), Fedele BENISI (segretario della FGCI), Cosimo CALASSO (segretario della CGIL di Copertino), Giuseppe CALASSO, Donato CARBONE (segretario della sezione di Cutrofiano), Vincenzo CAROPPO (segretario della sezione di Otranto e membro della segreteria provinciale della Federbraccianti), Eugenio CARROZZO (segretario della sezione di Veglie), Giorgio CASALINO, Antonio CASALUCE (segretario della sezione di Nardò), Tina CASARINI, Francesco CECCOTTI (segretario della CGIL di Casarano), Biagio CHIRENTI (segretario della sezione di Galatina e consigliere provinciale), Sigfrido CHIRONI (responsabile provinciale della sezione assegnatari dell’Associazione contadini), Giacomo COLUCCIA (originario di Diso, segretario della CGIL di Poggiardo), Cristina CONCHIGLIA, Carmelo ESPOSITO (vice segretario provinciale del sindacato Monopoli), Ugo FAVATANO (segretario della sezione di Squinzano), Mario FOSCARINI, Giovanni GIANNOCCOLO, Augusto Cesare GIORDANO (segretario della sezione di Carmiano), Aristide GRECO, Mario GRECO, Ivo JAVICOLI, Giovanni LEUCCI, Luigi MAGLI (segretario della sezione di Carmiano), Lucia MALINCONICO (della segreteria del sindacato tabacchine), Albano MASSARO, Corrado NATALI (responsabile dell’organizzazione sindacale delle tabacchine), Nicola PRIMICELI (segretario della sezione “Gramsci” di Lecce), Giuseppe QUARTA (segretario della CGIL di Campi), Anna ROCCI (dirigente provinciale dell’UDI), Carlo RUGGERI (responsabile della redazione provinciale de “l’Unità”), Angelo SCARPA (segretario della sezione di Sannicola), Enzo SOZZO, Antonio STELLA (segretario provinciale della FILLEA), Luigi VELINO (segretario della sezione “Picelli” di Lecce), Antonio VENTURA, Pompilio ZACHEO (segretario della sezione di Campi). LEUCCI fu confermato segretario; gli altri membri della segretaria erano Mario GRECO (vice segretario e responsabile dell’organizzazione), Giuseppe CALASSO (presidente dell’Associazione contadini), Giorgio CASALINO (segretario della CGIL provinciale), Mario FOSCARINI (responsabile della commissione Lavoro di massa), Giovanni GIANNOCCOLO (segretario dell’Associazione dei contadini del Salento), Ivo JAVICOLI (responsabile della sezione Stampa e propaganda) e Antonio VENTURA (segretario provinciale della Federbraccianti); altre importanti funzioni politiche furono affidate a Tina CASARINI (segretaria provinciale dell’UDI), a Dolores ABBIATI e Cristina CONCHIGLIA (responsabili del sindacato tabacchine), Albano MASSARO (responsabile della sezione di amministrazione), Teresa ROCCI (responsabile della commissione femminile del partito), Aristide GRECO (responsabile della sezione Enti locali), Enzo SOZZO (responsabile dell’ANPI). Fu deciso, infine, di rafforzare l’organizzazione del partito nel basso Salento affidando l’incarico di “costruttori” a Luigi ADAMUCCIO, Donato CARBONE, Giacomo COLUCCIA, Antonio FRACASSO (segretario della CGIL di Alessano), e Antonio MALORGIO (dirigente della sezione di Casarano), il cui lavoro sarebbe stato coordinato da Mario FOSCARINI; l’obiettivo […] era quello di consolidare politicamente e organizzativamente le 30 sezioni esistenti nella zona, la trasformazione in sezione dei 21 nuclei, la costituzione di sezione o nucleo nei 23 comuni e frazioni dove non esisteva alcuna forma di organizzazione, aumentare il numero degli iscritti al partito e alla CGIL. […] [Il
V° congresso provinciale si tenne] il 23, 24 e 25 novembre [1956]. Al congresso parteciparono 140 delegati e 32 invitati; erano presenti il segretario regionale Remo SCAPPINI e, in rappresentanza della Direzione nazionale, il prof. Antonio PESENTI; dopo la dichiarazione di apertura fatta da Calasso e i saluti portati dal segretario del PSI Mario Indirli […] e da Corrado Rubini per la CGIL, seguì la relazione di Leucci […] La composizione del nuovo Comitato federale e della Commissione federale di controllo fu il risultato di un compromesso tra la segreteria uscente e i suoi contestatori; ne facevano parte (in ordine rigorosamente alfabetico, come deciso dal congresso): Dolore ABBIATI, Luigi ADAMUCCIO, Giovanni APRILE, Gaetano BALDASSARRE, Fedele BENISI, Franco BIDETTI, Cosimo CALASSO, Vincenzo CAROPPO, Giorgio CASALINO, Antonio CASALUCE, Innocente CASARINI, Biagio CHIRENTI, Sigfrido CHIRONI, Oronzo CIANCI, Giacomo COLUCCIA, Cristina CONCHIGLIA, Ugo FAVATANO, Mario FOSCARINI, Giovanni GIANNOCCOLO, Giuseppe GIURGOLA, Mario GRECO, Salvatore GRECO, Cesare IMPERIALE, Ivo JAVICOLI, Giovanni LEUCCI, Primo MAGGIO, Luigi MAGLI, Romolo MIGNONE, Corrado NATALI, Luigi POLITI, Angelo SCARPA, Angelo SERRATÌ, Enzo SOZZO, Antonio VENTURA, Salvatore VETRUGNO e Pompilio ZACHEO; della Commissione federale di controllo facevano parte: Giuseppe CALASSO, Eugenio CARROZZO, Antonio COFANO, Francesco CECCOTTI, Carmelina D’AMICO, Aristide GRECO, Battista MARTI, Domenico PEDONE, Enza QUATTRONE e Pietro REFOLO; CALASSO e REFOLO furono rispettivamente nominati presidente e vice presidente della CFC. I delegati al congresso nazionale […] erano: Cosimo CALCAGNILE, Ugo FAVATANO, Giovanni GIANNOCCOLO, Giovanni LEUCCI, Romolo MIGNONE, Domenico TAMBORINO e Antonio VENTURA. Il Comitato federale elesse una segreteria ristretta di soli 4 membri: LEUCCI (poi confermato segretario provinciale), FOSCARINI (vice segretario e responsabile dell’organizzazione), GIANNOCCOLO e SOZZO; fu eletto, infine, il Comitato direttivo di cui facevano parte, oltre ai quattro della segreteria, [Giuseppe] CALASSO, CASALINO, CASALUCE, CONCHIGLIA, CHIRONI, JAVICOLI, MIGNONE, POLITI e VENTURA. [… Il
VI°] congresso provinciale, che si svolse nei giorni 8, 9 e 10 gennaio 1960, costituì la prima vera occasione per un esame complessivo della situazione politica e organizzativa del partito dopo gli anni difficili, successiva al congresso del 1956; la relazione introduttiva fu tenuta da Leucci. […] Al congresso era presente Giorgio NAPOLITANO […] Gli 88 delegati presenti al momento del voto elessero il CF (32 membri), la CFC (11 membri), il Collegio dei Sindaci (3) e i delegati al congresso nazionale (6); oltre al gruppo dirigente storico (LEUCCI, GIANNOCCOLO, FOSCARINI, ZACHEO, MAGLI, VENTURA, CASALINO, JAVICOLI) e al gruppo di quanti erano entrati a far parte dell’organismo dirigente alla fine degli anni quaranta e nei primi anni cinquanta (MIGNONE, CONCHIGLIA, CHIRONI, SOZZO, NATALI, VELINO, ADAMUCCIO, STELLA, Cosimo CALASSO, COLUCCIA, MAGGIO, MALINCONICO, SERRATÌ, VETRUGNO, BIDETTI, POLITI), furono eletti componenti del CF, Giovanni APRILE (avvocato, di Calimera), Vinicio CUDAZZO (artigiano, segretario della sezione di Alezio), Violetta DARECONTO (artigiana, di Copertino), Salvatore MELLONE (bracciante, di Nardò), Fulvio SERRA (artigiano, segretario della sezione di Presicce), Antonio STOMEO (avvocato, di Martano), Domenico TAMBORINO (operaio, segretario della CGIL di Aradeo), Igino TOMA (bracciante, membro del CD della sezione di Casarano). Nella CFC furono eletti (oltre ai dirigenti storici Giuseppe CALASSO, Biagio CHIRENTI, Salvatore FABRIZIO, Francesco REFOLO e Francesco CECCOTTI), Ugo FAVATANO (artigiano, segretario di una delle sezione di Lecce), Raffaele CARETTO (artigiano, segretario della sezione di Trepuzzi), Emanuele FOSCARINI (funzionario dell’INCA provinciale), Teresa LEGARI (responsabile della sezione femminile di una sezione di Lecce), Domenico PEDONE (commerciante, segretario della sezione di Gallipoli), Pasquale POLETI (artigiano, segretario della CGIL di Lizzanello); il Collegio dei Sindaci era composto da Giuseppe RUSSO (avvocato, segretario dell’Associazione contadini del Salento), Alessandro CARELLA (impiegato, segretario della sezione di Merine) e Corrado RINALDI (tipografo, di Lecce); furono nominato al congresso nazionale Antonio CAUSO (contadino, di Sannicola), CECCOTTI, CONCHIGLIA, FOSCARINI, LEUCCI e STELLA. Il CF elesse successivamente la segreteria di cui facevano parte LEUCCI (confermato segretario), FOSCARINI (responsabile dell’organizzazione), GIANNOCCOLO (presidente dell’Associazione contadini e responsabile della sezione Lavoro di massa), SOZZO (responsabile del Comitato cittadino), e VENTURA (responsabile della sezione Stampa e propaganda); fu eletto il Comitato direttivo di cui facevano parte, oltre ai membri della segreteria, G. CALASSO, CASALUCE, CASALINO, CHIRONI, JAVICOLI, MIGNONE, NATALI e Gino POLITI. […] Aprendo i lavori del
VII° congresso (16-18 novembre 1962) alla presenza di Gennaro MICELI (membro del Comitato centrale) e di 89 delegati (tra cui 5 donne) sui 108 che erano stati eletti, Mario FOSCARINI dedicò la prima parte della sua relazione alla riflessione allo stato del partito, […] Furono confermati nel CF: ADAMUCCIO, APRILE, C. CALASSO, CASALINO, CHIRONI, COLUCCIA, CONCHIGLIA, FOSCARINI, JAVICOLI, LEUCCI, MALINCONICO, MIGNONE, NATALI, POLITI, SOZZO, STELLA, TAMBORINO e VETRUGNO; furono eletti per la prima volta nell’organismo dirigente: Giuseppe BEGUCCI (artigiano, di Copertino), Domenico DE VITIS (coltivatore diretto, segretario della sezione di Merine), Angelo GUIDO ( commerciante, segretario di sezione), Cosimo INGROSSO (coltivatore diretto, di Guagnano), Salvatore MARGARI (operaio, di Galatina), Battista MARTI (coltivatore diretto, segretario della sezione di Cutrofiano), Michele MUSTO (decoratore, segretario della sezione di Monteroni), Luigi QUARTA (coltivatore, segretario della sezione di Tuglie), Giuseppe RUSSO (avvocato, responsabile, insieme con Gino POLITI, dell’Alleanza contadini), Salvatore SPENNATO (esercente, segretario della CGIL di Melissano), Antonio STOMEO (studente, segretario della sezione di Martano), Vittorio TREMOLIZZO (coltivatore diretto, assegnatario, segretario della sezione di Cannole e della zona di Martano); venne eletto anche Fedele BENISI che aveva già fatto parte del CF nel 1954; furono confermati nella CFC: CALASSO, CARETTO, CECCOTTI, CHIRENTI, Emanuele FOSCARINI, LEGARI, PEDONE e POLETI; vennero inseriti l’avvocato A. STOMEO (faceva parte del CF uscente), il prof. Stefano GIORDANO (responsabile del lavoro culturale) e il prof. Giorgio SASSI; nel Collegio dei sindaci furono eletti: Alessandro CARELLA, RINALDI Corrado e Luigi VELINO; furono nominati delegati al X° congresso nazionale (Roma, 2-8 dicembre 1962) Mario FOSCARINI, LEUCCI, GUIDO, CONCHIGLIA e CHIRONI. Il CF provvide nei giorni seguenti a eleggere la segreteria (FOSCARINI, JAVICOLI, POLITI, CASALINO e SOZZO) e il Cd, del quale facevano parte (oltre ai membri della segreteria), CALASSO, CHIRONI (segretario della Federbraccianti e cosegretario della CGIL), CONCHIGLIA, Emanuele FOSCARINI, LEUCCI, Eugenio MANCA (segretario della FGCI, responsabile della sezione Stampa e propaganda), MIGNONE, NATALI (segretario della CGIL di Gallipoli), Tommaso SCARCELLA (segretario della zona di Melissano), TREMOLIZZO e VETRUGNO (segretario della Federcoopeative). […] Nuovi problemi e nuove prospettive impegnarono il gruppo dirigente del Pci salentino negli anni successivi al 1963, quando, sul “ceppo storico” che si era formato nella fase della lotta per la terra tra la fine degli anni quaranta e i primi anni cinquanta, si innestarono forze nuove e nuove energie; la seconda metà degli sessanta vedrà infatti all’interno del CF un equilibrio tra la tradizione del “vecchio” Pci contadino e le nuove realtà provenienti dal mondo degli studi e della cultura, da quella che oggi è di moda chiamare “società civile” e dal mondo delle professioni; già il congresso del 1966 [VII° provinciale] sancirà la “svolta” con l’inclusione nel CF di un discreto numero di studenti, di universitari e di professionisti. La Federazione lascerà i locali di Vico della Cavallerizza per trasferirsi in una sede di sua proprietà in via Quinto Fabio Balbo; quelli tra il 1963 e il 1970 saranno anche gli anni delle scissioni e delle dolorose polemiche (personaggi “storici” come Pompilio Zacheo e altri lasceranno il partito per fondare sezioni “filocinesi” del Pcd’I[29]; si dimetteranno Antonio Stella, figura storica delle lotte per la terra e per molti anni segretario del sindacato degli edili e, insieme con lui, altri iscritti di Lecce; il partito, che dal marzo 1968 pubblicherà il periodico “Salento Domani”, sarà chiamato a misurarsi con i problemi delle nuove realtà produttive (aziende metalmeccaniche, calzaturiere, tessili, ecc.) dovrà confrontarsi con quelle che il nuovo segretario Giorgio CASALINO chiamerà manifestazioni di “fuga in avanti”(con riferimento alle esperienze del movimento studentesco, dei “filocinesi” e del Psiup), il gruppo dirigente saprà, anche nella fase delle “indicazioni” delle preferenze per l’elezione dei deputati e consiglieri regionali, aprirsi alla nuova realtà del mondo della cultura e delle professioni (nel 1968 sarà eletto deputato FOSCARINI ma, insieme con lui, il prof. Pasquale PASCARIELLO, iscritto al partito “solo” dal 1965; nel 1970 sarà eletto consigliere regionale Antonio VENTURA ma, insieme con lui, il giovane prof. Gianni SCHILARDI)./ Quella degli anni successivi al 1963 è però “un’altra storia”»[30].
Noto da me stesso che la citazione su riportata è molto lunga, tuttavia credo che l’amico Salvatore Coppola non se la prenderà, perché comprenderà che si tratta di un filo rosso che tenta, nello sforzo di trade union che faccio, di legare il passato al presente (tremendo presente di pandemia di Covid-19) e il presente al futuro di una delle organizzazioni politiche (il Partito comunista) che, grazie alla sua esistenza, dopo il Risorgimento e l’Unità d’Italia, ha dato il meglio di sé, in uomini, donne, martiri ed eroi, alla storia complessiva d’Italia.
Coppola scrive che, «quella degli anni successivi al 1963 è però “un’altra storia”». Concordo pienamente. E aggiungo che, paradossalmente e sorprendentemente, sarà una storia non negativa per il popolo italiano e per le masse lavoratrici. L’umanità si trova oggi a un bivio extra-ordinario della sua esistenza: ha bisogno di speranza, di pace, di fratellanza e sorellanza. Ha bisogno di un futuro che illumini le menti. Ebbene, la storia del gruppo dirigente del Partito comunista leccese, narrata da Salvatore Coppola, è una delle premesse a quel futuro luminoso tanto desiderato.
Considerazioni conclusive: questo scritto si apre citando la nascita nel 1921 del Pcd’I a Livorno, dove l’unico salentino a partecipare fu il galatinese Carlo MAURO. Dell’evento livornese ho citato il primo Comitato centrale, all’interno del quale non appare il nome di nessun comunista salentino. Da quel 1921 in poi, e fino al 25 luglio 1943 (caduta del fascismo), e ancora dopo, fino al 1991 (anno dello scioglimento del Pci), nessun nome di comunista leccese appare nel contesto comunista nazionale e internazionale. Dai saggi degli storici salentini sulla storia del Partito comunista leccese, si desume che sulla Federazione del Pci di Lecce vi sia stata come una sorta di tutela da parte della Direzione nazionale con esponenti che venivano eletti nella circoscrizione Lecce-Taranto-Brindisi del livello di Ruggero Grieco, Giuseppe Di Vittorio, Alfredo Reiclin, altri. Tuttavia, se nell’ambito stretto del Partito comunista nazionale non emergono figure di salentini, il contrario avviene invece nelle organizzazioni di massa collegate e dirette dal partito stesso. Ad esempio, la CGIL leccese vide come grandi organizzatori di livello nazionale GIANNOCOLO, CASALINO, FOSCARINI, LEUCCI), l’ANPPIA (presidente Giuseppe CALASSO), l’ANPI (presidente Enzo SOZZO e per decenni membro del Comitato Esecutivo dell’associazione partigiana). Infine, da quanto narrato finora, appare evidente il ruolo di Giuseppe CALASSO che, dal 1921 e fino al 1983 (anno della morte), sarà sempre presente in tutti gli organismi dirigenti del partito. Realtà che viene oggi confermata anche da Mario Toma, già deputato del Pci alla Camera, per anni segretario della Federazione di Lecce e oggi presidente dell’Associazione “Enrico Berlinguer” di Lecce, il quale scrive:
«Il gruppo dirigente che aveva ripreso la costruzione legale del partito e del sindacato in provincia di Lecce era costituito essenzialmente dal nucleo di antifascisti che durante il ventennio della dittatura aveva testimoniato, nella clandestinità, al confino o in carcere, la propria incrollabile fede nel ritorno della democrazia e nella ripresa della lotta per il socialismo. Erano stati quasi tutti candidati – Giuseppe CALASSO, Carlo MAURO, Pietro REFOLO – ma nessuno era stato eletto. L’unico eletto nel collegio Brindisi-Lecce-Taranto fu il capolista Ruggero Grieco. Carlo Mauro morì il 12 giugno, Pietro Refolo tornò nella terrà del suo esilio, in Franca. Dei leader storici restò solo Calasso»[31].
Mario Toma è anche lo storico che, negli ultimi decenni, ha dato e continua a farlo ancora oggi un contributo notevole alla ricostruzione storica del Pci salentino. In un altro suo pregevole libro – Il pane e le pietre. Protagonisti del Pci salentino – con un agile stile narrativo, racconta le vicende e l’azione politica di molti comunisti salentini, da lui conosciuti personalmente come, ad esempio: Armando TURCO, Antonio FRISULLO, Gino BRUNO, Donato CARBONE, Giuseppe CALASSO, Cristina CONCHIGLIA, Sigfrido CHIRONI (Gegge), Antonio VENTURA, Ninì LEUCCI, Mario FOSCARINI[32].
Molto utile e importante è anche l’ultima sua fatica storica – Da Livorno alla Bolognina. Il Pci salentino attraverso i suoi congressi – recentemente pubblicato, nel quale, oltre a tantissime informazioni dall’interno del Pci, fa la cronistoria degli ultimi congressi provinciali del Pci: il XIV° nel 28-30 gennaio 1983 con relazione introduttiva di Sandro Frisullo; il XV° nel 27 febbraio – 2 marzo 1986 ancora con relazione introduttiva di Sandro Frisullo;
«il XVI° nel 1989, il XVII° nel 1990, il XVIII° nel 1991 [… quando] con l’omaggio al vecchio combattente [Alessandro Natta], chiamato ad un compito ingrato e impossibile dopo la morte di Berlinguer, muore anche la storia del Pci. Quella che aveva cominciato a morire con la scomparsa di Enrico Berlinguer. Il 3 febbraio 1991 si tenne, a Rimini, il XX° congresso nazionale del Pci. L’ultimo./ Nacquero Pds e Rifondazione comunista. Una lunga storia era finita. Nessuna delle due organizzazioni che erano nate dal Pci corrispondeva più ai tratti del luogo dove in tanti eravamo cresciuti. Anche noi, tanti, come Ulisse, vaganti per il mare, ci mettemmo alla ricerca della nostra Itaca. Senza più trovarla. [Nella quarta di copertina di questo libro, c’è un pensiero di un dirigente che il Pci lo ha vissuto per oltre un sessantennio, Emanuele Macaluso (Caltanissetta, 1924 – Roma, 2021), che scrive:] “Militanti e dirigenti del Pci e della sinistra vanno scomparendo. Ma la storia del loro Partito e della sinistra tutta vive. Non potrà scomparire perché ha segnato per un lungo periodo, la Storia d’Italia. Spero che le nuove generazioni che si orienteranno a sinistra questa Storia non la mandino in archivio. Perché questa storia, criticamente, ha segnato, negli anni, la vita di milioni di persone”»[33].
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Lecce,
21 gennaio 2021
[1] Cfr. Da Gramsci a Berlinguer. La via italiana al socialismo attraverso i congressi del Partito Comunista Italiano, a cura di Renzo PECCHIOLI, vol. I, 1921-1943, Edizioni del Calendario, © Marsilio Editori Venezia per conto dell’Erga e della Cardif di Palermo, Stampa Grafica & Stampa di Vicenza, 1985, pp. 66-67).
[2] Lo storico e giornalista Enzo BIANCO, nel suo libro Compagni. Le lotte dei comunisti leccesi contro il fascismo, Argo editore, Lecce. 1999, scrive «estremamente significative», p. 104.
[3] Cfr. Tommaso FIORE, in C. Caggia, Carlo Mauro, pioniere del socialismo salentino, Edizioni “Il Nuovo Cittadino”, Editrice Salentina, Galatina 1967, pp. 37-38).
[4] Cfr. Carlo CAGGIA, Carlo Mauro, pioniere del socialismo salentino, Op. cit., pp. 51-52).
[5] Cfr. Lucio ROMANO, Carlo Mauro, Editrice Salentina, Galatina, 1996.
[6] Cfr. L. ROMANO, Carlo Mauro, in occasione della II edizione nel primo centenario della CGIL, a cura di Ninì De Prezzo, segretario provinciale Spi-Cgil, Galatina, 2006, pp. 7-8).
[7] Cfr. Giorgio CASALINO. Un protagonista delle lotte operaie. Cinquant’anni fa moriva Carlo Mauro, in «EspressoSud», a. XIX, n. 6, giugno 1996, p. 29.
[8] Cfr. C. CAGGIA, Carlo Mauro, costruttore di civiltà, Op. cit., p. 14.
[9] Cfr. L. ROMANO, Op. cit., p. 10.
[10] Cfr. Vittore FIORE, Il male è dentro di noi, in «Almanacco dello Specchio», n. 4, Mondadori, Milano 1975).
[11] Cfr. C. CAGGIA, Cronache fra due secoli. Lotta politiche e sociali dal 1896 al 1909 in una città del Salento attraverso la stampa socialista, Congedo editore, Galatina, 1996, pp. 9 e sg.
[12] Cfr. Gianni SCHILARDI, Origine e sviluppo del partito a Galatina, p. 1118. Si tratta del 21° volume degli «Annali» dedicati alla struttura e alla storia dell’organizzazione|1921-1979| del Partito Comunista Italiano, dove ci fu una sezione dedicata a tre realtà minori – Fiat Mirafiori di Torino, la sezione “Italia” di Roma, la sezione “Carlo Mauro” di Galatina).
[13] Cfr. Michele MAGNO, Galantuomini e proletari in Puglia. Dagli albori del socialismo alla caduta del fascismo, Bastogi, Foggia, 1984, pp. 73, 354-355.
[14] Cfr. G. SCHILARDI, Op. cit., p. 1123. Neretti e maiuscoletti miei).
[15] Cfr. Dino LEVANTE, Partiti e lotte politiche nel Salento (1943-1948), in Politica e conflitti sociali nel Salento post-fascisti (a cura di Mario Spedicato), Conte Editore, Lecce 1998, pp. 18-19. Nella prefazione a questo libro, lo storico Mario SPEDICATO scrive che «i motivi che hanno ispirato questa iniziativa editoriale [Atti di un seminario svoltosi a Carmiano nel primo anniversario della morte di Librando Sara], ricordando l’impegno e la passione di Librando Sara, combattente comunista, nel sostenere – fino a soffrire il carcere per adunata sediziosa – le rivendicazioni che alcune forze politiche e sindacali avanzavano contro il latifondo improduttivo e le disumane condizioni di lavoro nelle fabbriche», p. 7.
[16] Cfr. G. CASALINO. Un protagonista delle lotte operaie. Cinquant’anni fa moriva Carlo Mauro, in «EspressoSud», a. XIX, n. 6, giugno 1996, p. 29.
[17] Cfr. L. ROMANO, Op. cit., pp. 21 e sg.
[18] Cfr. Giuseppe CALASSO, in L. Romano, Op. cit., pp. 37 e sg.
[19] Cfr. C. CAGGIA, Cronache Galatinesi. Anni ’20-40, Congedo editore, Galatina 1996, pp. 31-32.
[20] Cfr. Michele MAGNO, Galantuomini e proletari in Puglia. Dagli albori del socialismo alla caduta del fascismo, Bastogi, Foggia, 1984, pp. 250, 367, 404.
[21] Cfr. E. BIANCO, Compagni. Le lotte dei comunisti leccesi contro il fascismo, Argo editore, Lecce, 1999, p. 107.
[22] Cfr. Dopo trent’anni di nuovo all’Arneo, in «Salento Domani» “Speciale Arneo”, 5 aprile 1982, p. 3.
[23] Cfr. Enzo LIGORI, A colloquio con l’on. Calassso. Occupazione delle terre nell’Arneo. I protagonisti, in «Salento Domani», a. X, n. 5, 1 marzo 1977, p. 3.
[24] Cfr. E. LIGORI, A colloquio con l’on. Calasso. Occupazione delle terre nell’Arneo. I protagonisti, in «Salento Domani», a. X, n. 5, 1 marzo 1977, p. 3; Lottano uniti i contadini per la legge Gullo, in «Salento domani», a. X, n. 6, 15 marzo 1977, p. 5; Perché fu decisa l’azione contadina nelle terre dell’Arneo, a. X, n. 7, 5 aprile 1977, p. 7.
[25] Cfr. Giovanni GIANNOCCOLO, L’elogio della coerenza. Tra Salento ed Emilia, Lares Edizioni, Lecce 2008, p. 239.
[26] Cfr. C. CAGGIA, Scritti sparsi di fine millennio, Grafiche Panico, Galatina, 2000, p. 58.
[27] Aramis GUELFI (Livorno, 1905 – Bari, 1977), livornese e partigiano. I giudici fascisti nel 1936 lo avevano condannato, per la sua opposizione al regime, a quattro anni di reclusione; Guelfi li trascorse nel carcere di Civitavecchia. Dopo l’8 settembre 1943 prese parte alla lotta di liberazione, col nome di battaglia “Taccata”, in una formazione partigiana che si batteva nella zona di Volterra. Primo segretario comunista della Federazione di Livorno dopo la Liberazione (1945-1950). Al VII° Congresso del Pci (Roma, 3-8 aprile 1951) venne eletto membro del Comitato Centrale. Guelfi assolse a vari incarichi nelle associazioni di massa e nell’organizzazione del Pci a Bari e Lecce (1950-1953), dove era stato inviato dalla Direzione del suo partito, dal quale poi si allontanò nel 1955. Nel 1963, per incompatibilità di vedute col gruppo dirigente, fu espulso dal Pci, e egli aderì al Psdi di Saragat.
[28] Di questa leggendaria donna comunista vale la pena di leggere quel che recentemente ha scritto Sandro FRISULLO nel suo libro Abbracciammo la politica da ragazzi. Una storia di sinistra: dal Pci al Pd tra riflessioni, appunti, memorie (Lupo Editore, Copertino 2016): «non si comprenderebbe molto della figura e dell’opera di Cristina Conchiglia senza ricordare il contesto sociale dentro cui si mosse sin dalla giovinezza. […] Non si comprenderebbe molto della vicenda umana e politica di Cristina Conchiglia se ne indebolissimo i legami con il “suo” tempo e con i tratti originali e progressivi della politica togliattiana destinati a segnare l’identità e la funzione nazionale del Pci che nessun revisionista potrà mai cancellare./ Nel Salento quel nucleo forte di giovani dirigenti comunisti – Conchiglia, Casalino, Foscarini, Chironi, Leucci, Ventura e altri (diversa, ovviamente, è la storia di Calasso) – ognuno con la propria personalità e sensibilità, è protagonista di una delle stagioni più significative della sinistra salentina: la lotta contro il blocco agrario (latifondismo e rendita), per l’affrancamento da condizioni di servitù e di sfruttamento estremo e per l’incivilimento delle campagne; tutto ciò contribuì grandemente al diffondersi e consolidarsi della democrazia […] Conchiglia è stata una donna forte, coraggiosa e generosa. Una leader che si era conquistata sul campo autorevolezza, stima e rispetto anche da parte dei suoi avversari politici. Ma la sua autorevolezza era, anche, quella di un gruppo dirigente e di un partito che non si sono mai arresi a una personalizzazione vacua e autocelebrativa. (v. Op. cit., pp. 115-118».
[29] Mario TOMA ha scritto un libro – La mia collina. Racconti di amicizia e politica (Lupo Editore, Copertino 2011) –
in cui scrive: «La ripresa dei rapporti con Carlo [personaggio letterario] può aiutarmi a soddisfare curiosità e a vincere l’inadeguatezza. Discutendo con lui capisco meglio il percorso che ha compiuto. Non fa mistero del fatto che approva la contestazione dura, non condanna chi fa uso della violenza durante le manifestazioni. Sono per lui gesta di forza e di libertà, attraverso cui i proletari sfogano la loro rabbia, repressa da anni. Ha rapporti politici con Fosco Dinucci, personaggio a me totalmente sconosciuto. È, invece, per il simbolo della lotta rivoluzionaria in Europa. “È il capo dei marxisti-leninisti puri – mi spiega – il dirigente comunista più ascoltato a Tirana, presso il governo albanese. Rappresenta l’avanguardia europea di quella rivoluzione che Mao ha combattuto e che ora, attraverso il partito e il governo albanese, si affermerà anche in Occidente”. È un giorno per lui particolare. Il Dinucci sta organizzando una delegazione di “rivoluzionari” italiani per rendere omaggio ai capi dell’Albania e lui ne farà parte. Non vede l’ora di conoscere di persona questo “avamposto della libertà e del socialismo” (v. Op. cit., pp. 33-34»). C’è da aggiungere che Toma è il primo (e forse l’unico) dirigente del Pci leccese che cita nel Salento la storia della scissione del secondo Livorno (Ottobre 1966), quando un gruppo di comunisti di tutta Italia, in disaccordo con la posizione di Togliatti sulla questione dei rapporti Unione Sovietica – Cina, si staccano dal Pci e fondano il Pcd’I con il chiaro riferimento al partito del tempo di Gramsci connotandolo però di una nuova aggettivazione, quella cioè di (marxista-leninista). Il rappresentante comunista salentino più autorevole, che seguirà questa nuova entità partitica, sarà Pompilio Zacheo di Campi Salentina che, come abbiamo visto, faceva parte del Comitato federale di Lecce.
[30] Cfr. Salvatore COPPOLA, Il gruppo dirigente del Pci salentino dal 1943 al 1963, LiberArs editrice, Leverano, 2001, pp. 44, 72-73, 103-105, 156-158, 197-199, 218-228, 245-260.
[31] Cfr. M. TOMA, Elogio delle cicale. Frammenti di una vita impegnata, Argo Editore, Lecce, 2005, p. 30.
[32] Cfr. M. TOMA, Il pane e le pietre. Protagonisti del Pci salentino, Giorgiani editore, Castiglione di Lecce, 2016.
[33] Cfr. M. TOMA, Da Livorno alla Bolognina. Il Pci salentino attraverso i suoi congressi, Spagine editore, Lecce, 2020, pp. 131, 134, 143, 145.
[Il Pci, l’Italia e il Salento. Democrazia, diritti e lavoro nel “secolo breve”, in
“Quaderno de l’Idomeneo” n. 47, a cura dello stesso Spedicato e di Salvatore Coppola (Giorgiani Editore, 2021]