Carattere didattico-strumentale ha il saggio di Sebastian Mattei della Fondazione Gramsci di Roma, Le carte dei comunisti leccesi negli archivi del Partito comunista italiano (pp. 23-34). L’autore, dopo una premessa di carattere generale, in cui evidenzia le criticità degli archivi, meridionali soprattutto, quando non addirittura l’inesistenza, offre allo studioso, che voglia occuparsi della specifica storia del Pci leccese, il percorso di ricerca da seguire, evidenziandone i tratti, la qualità dei documenti e i “vuoti”. Quasi un’introduzione al saggio che segue di Salvatore Coppola, Il Partito comunista nel Salento dalla fondazione (1921) al Congresso provinciale (pp. 36-162). Coppola è uno storico del movimento dei lavoratori nel Salento.
Questo saggio, per la sua mole e per il suo impianto fa pensare ad una autonoma intenzione editoriale. E’ suddiviso temporalmente in quattro parti e comprende un’appendice documentaria. A proposito dei documenti l’autore fa in limine alcune precisazioni importanti. Per il periodo fascista, 1921-1943, la fonte più importante è l’Archivio di Stato di Lecce, dove sono conservate le carte della Prefettura, della Questura, del Ministero dell’Interno e dei Tribunali, mentre per quelli postfascisti la fonte è la Fondazione Gramsci di Roma dove i documenti sono confluiti dalle varie federazioni. Purtroppo – osserva Coppola – “La federazione provinciale del Partito comunista del Salento non ha mai (nemmeno nel secondo dopoguerra) creato un proprio archivio” (p. 36). La prima parte ha per titolo “Costruttori” e riferisce fatti relativi al periodo che va dal febbraio 1921 al novembre 1926, dalla fondazione della sezione di Lecce del Partito comunista d’Italia (così si chiamava alla nascita) alle leggi fascistissime. La seconda parte ha per titolo “Resilienti” e riguarda il periodo di maggiore persecuzione del regime dell’antifascismo, quando infuria il Tribunale Speciale e gli oppositori finiscono chi al carcere e chi al confino, nel periodo 1926-1928. La terza parte va dal 1927 al 1943 e ha per titolo “Piegati, non spezzati” e comprende il periodo della clandestinità e della illegalità. La quarta parte rinuncia al titolo iconico-denotativo per assumere quello più burocratico-descrittivo “Il gruppo dirigente del Pci salentino dopo la svolta di Salerno (1944-1945)”, forse anche per significare il ritorno alla “normalità”.
L’intervento di Maurizio Nocera, per anni segretario della sezione leccese dell’Anpi, I costruttori salentini del Pci nel “secolo breve”, ha carattere fondamentalmente commemorativo e s’incentra su tre figure, Carlo Mauro, Giuseppe Calasso e Enzo Sozzo, ripassati attraverso le fonti letterarie, di cui si dà essenziale bibliografia.
Il saggio di Alessio Palumbo, presidente della Fondazione Terra d’Otranto, che pubblica il periodico “Il delfino e la mezzaluna”, La Chiesa e il PCI nel Salento dalla scomunica al Vaticano II (pp. 175-211), affronta uno dei temi più interessanti e suggestivi della politica italiana nei quindici anni successivi alla fine della guerra, quello dello scontro fra la chiesa cattolica e il partito comunista, fra la scomunica del comunismo da parte di Pio XII (1949) e lo sdoganamento di Giovanni XXIII (1958), l’istitutore del Concilio Ecumenico Vaticano II, annunciato nel 1959 e iniziato nel 1962, che inaugura di fatto la politica conciliare e avviato quel processo di accettazione del comunismo da parte dei cattolici e il cattolicesimo da parte dei comunisti. Visto da lontano, dai “poveri” giorni nostri, non si può non rilevare la grande convinzione dei protagonisti di quegli scontri politici. Non erano due “chiese” in conflitto, ma due “passioni”. Fonti letterarie e archivistiche supportano le precise argomentazioni dell’autore.
Il saggio di Remigio Morelli, storico del movimento operaio e contadino, Giuseppe Calasso: dall’antifascismo militante all’impegno parlamentare (pp. 213-253), è una monografia che racchiude nella vita e nell’opera dell’intitolatario la vita e le vicende del Salento nel ventennio che segue la fine del fascismo e della guerra. Anni per il Pci per un verso di ricostruzione e per un altro di legittimazione avendo contro le istituzioni e spesso le élites economiche e culturali della società. Impressionante il clima di contrapposizione politica di quegli anni, in cui accadde tutto quel che poteva accadere in fatto di repressione politica e giudiziaria, arresti, scioglimento di consigli comunali, impedimenti vari, soprusi, attentati e cariche della polizia. Sembra che l’onda lunga della guerra civile in Italia s’infranga solo sul papato di Giovanni XXIII. Calasso è sempre al centro dell’attività politica nelle sezioni, nelle piazze e nel Parlamento. Bene coglie questo aspetto Morelli quando in apertura del corposo saggio afferma che Calasso è stato “l’icona indiscussa del Pci più di qualunque altro, pur prestigioso, leader antico e nuovo del partito” (p. 214); “I lunghi anni di impegno parlamentare di Calasso riflettono e riassumono l’intera problematica del mondo contadino salentino” (p. 241). Tra le battaglie più significative quelle per l’occupazione delle terre nell’Arneo, per la riforma agraria, per il tabacco, per gli interventi previdenziali. L’uomo politico copertinese esce dal Parlamento nel 1968, dopo quattro legislature.
Salvatore Romeo, storico dell’economia, affronta nel suo saggio “Per uno sviluppo democratico”. I comunisti ionici e l’industrializzazione (pp. 255-272) uno dei temi più discussi e carichi di aspettative, anche alla luce di quanto è accaduto con il siderurgico e con tutta la politica di industrializzazione a partire dagli anni Cinquanta fino agli Ottanta. Il Pci, secondo l’autore, ha dovuto confrontarsi con le evoluzioni avvenute, all’interno delle quali si è formata e radicata la presenza del partito nell’area jonica e ha tracciato la sua parabola, “che si chiude quando gli elementi che ne avevano favorito l’avanzata sono quasi tutti esauriti” (p. 272).
Il Pci, lo sviluppo regionale e la Regione Puglia (1969-1991) (pp. 273-316), di Antonio Bonatesta, docente di Storia Contemporanea all’Università di Bari, traccia il percorso del partito comunista in Puglia, le sue vicende politico-elettorali fino al fatidico 1991, anno dello scioglimento della Bolognina e l’inizio di una nuova vicenda.
Per Sandro Frisullo, esponente di primo piano del Pci in ambito regionale, segretario della federazione di Lecce per circa un decennio (1981-1990), la fine del partito poteva essere evitata. Un esito evitabile. Testimonianza di un protagonista è infatti il titolo del suo saggio (pp. 317-325). In esso l’autore non solo ripercorre le tappe e i momenti topici della travagliata chiusura della settantennale esperienza comunista, che conserva qualcosa di esaltante e di ancora vivo, ma ribadisce un impegno nel presente, pur nell’ineludibile presa d’atto che non più di partito comunista si può parlare ma di sinistra. Che non è solo, evidentemente, una questione nominale.
Il volume, che trova la sua ragion d’essere nell’occasionalità di una ricorrenza, risponde in sostanza ad una non richiesta ma avvertita esigenza di sapere. I saggi relativi alla realtà leccese e salentina (Coppola, Palumbo, Morelli) offrono conoscenze basilari per la storia politica del Salento, che è anche storia di paesi e di fatti. Non è solo un libro da leggere e studiare ma anche da consultare. In questo, però, latita, in difetto di opportuni indici per favorirne una rapida consultazione.
[“Presenza taurisanese” anno XXXIX – N. 329, Luglio-Agosto 2021, pp. 8-9]