Questi cambiamenti non sono un male per il pianeta, ci sono sempre stati: potremmo dire che rimescolano le carte dell’evoluzione. Le nuove condizioni fanno andare in crisi le specie più abbondanti, monopolizzatrici della biodiversità, e favoriscono altre specie che prendono il loro posto. Oggi la specie di maggiore successo siamo noi, e abbiamo costruito il nostro benessere sulle condizioni climatiche che stiamo alterando. Perché siamo noi i maggiori responsabili del cambiamento, visto che tagliamo le foreste, diminuendo l’assorbimento di anidride carbonica e la produzione di ossigeno, e bruciamo tutte le forme possibili di combustibile, aumentando la produzione di anidride carbonica e il consumo di ossigeno. Il clima cambia e ci assesta una bella botta per quel che combiniamo.
Quanto costa questa botta, in termini economici e sociali? Pare che ogni anno muoiano cinque milioni di persone a causa del cambiamento climatico. Molte meno di quelle uccise dal Covid. I costi delle catastrofi sono crisi alimentari, migrazioni, guerre e altri disastri, incluse le epidemie.
Questi costi di solito non sono considerati quando si fanno i bilanci legati alla transizione ecologica. Sembra che ci siano solo spese nel perseguirla, ma evitare i costi dei disastri rappresentano un guadagno! Le “aziende” non mettono questi costi nei loro bilanci: sono gli stati a pagare il conto. Ora ci preoccupiamo di quanto costi l’acciaio prodotto in modo sostenibile rispetto a quello prodotto in modo insostenibile: il prezzo più alto ci mette fuori dalla concorrenza con chi produce acciaio nel solito modo. Un momento! I costi dell’acciaio prodotto a Taranto, per esempio, sono anche le vite umane spezzate, gli ecosistemi devastati, l’aria irrespirabile. I costi non li ha pagati l’acciaieria, ma se li dovesse pagare i guadagni del passato non basterebbero a coprire le spese generate da scellerati sistemi di produzione. Ai consigli di amministrazione non interessano i disastri del futuro, ma solo i guadagni immediati. Chi genera questi costi dovrebbe essere chiamato a pagarli con tasse che coprano i costi della distruzione dell’ambiente, in modo che i costi della produzione siano pagati da chi li genera.
L’Unione Europea pare aver capito l’urgenza di cambiare i sistemi di produzione e consumo, ma le lezioni continuano ad arrivare. Per realizzare la transizione ecologica bisogna conoscere i sistemi che stiamo alterando, per comprendere in pieno le conseguenze delle nostre scelte, per capire se quello che svilupperemo starà andando nella giusta direzione.
I sistemi osservativi attuali ci permettono di comprendere il tempo meteorologico e il clima, ma questo non basta. Lo studio dell’atmosfera va collegato con quello dell’oceano e, su questa matrice fisica, bisogna inserire la biodiversità e gli ecosistemi. Le spese per completare i sistemi osservativi sono paragonabili a quelle per le missioni di colonizzazione spaziale, per gli acceleratori di particelle, per i radiotelescopi sottomarini. Bisogna finanziare queste imprese scientifiche, ma bisogna finanziare anche sistemi osservativi più completi.
Le conseguenze del cambiamento climatico sono oramai una realtà del presente e dovremmo finalmente comprendere che non si può rimandare come abbiamo fatto fino ad ora. Il problema numero uno è questo, e non c’è un problema numero due.
[Il blog di Ferdinando Boero ne “Il Fatto Quotidiano” online del 17 luglio 2021]