di Gianluca Virgilio
Il critico cerca la verità la cui fiamma vivente continua ad ardere sui ceppi pesanti del passato e sulla cenere lieve del vissuto.
Walter Benjamin, Angelus novus.
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Esiste un vasto campo della letteratura – non coltivato dai più, che preferiscono frequentare territori meno impervi, dove si illudono di poter assegnare alla lettura solo uno scopo ludico -, nel quale la riflessione ha la meglio, e cioè un pensiero nutrito di letteratura, che ne ricerca le ragioni d’esistenza e per così dire le regole di funzionamento; un campo però nel quale si sbaglierebbe a non cercare personaggi che agiscono dentro una trama di rapporti mal dissimulata dietro le apparenze di una discorsività molto raffinata e ricca di una precisa strumentazione retorica. E’ il campo della Critica letteraria e dell’Ermeneutica del Testo, che è poi un insegnamento universitario. Nell’Università degli Studi del Salento esso è professato da Carlo Alberto Augieri, che ha appena dato alle stampe un bel libro dal titolo Leggere Raccontare Comprendersi. Narrazione come Ermeneutica, Liguori Editore, Napoli, 2009, pp. 184; un libro che esce come n. 6 della collana Scienze del Testo, diretta da Michele Rak e Fabrizio D. Raschellà.
Diciamolo subito: il personaggio protagonista di questo libro è la “funzione autore”, che trascende infinitamente la “funzione scrittore”. Già nella Premessa Augieri così chiarisce i rapporti tra queste due “funzioni”: “… l’autore è eccedenza prospettica di senso, nei cui confronti l’essere scrittore è condizione relativa, subordinata” (p. 3). In effetti, il primo vive nel “tempo grande” dell’ermeneutica testuale, ovvero il tempo della nostra lunga tradizione letteraria, l’altro nel “tempo corto” della lingua ch’egli usa in un momento storicamente determinato. A questo proposito, nel primo capitolo, che ha per titolo “Lettura come incontro ermeneutico: comprendere la parola altrui e riconoscersi con la parola dell’altro”, Augieri precisa che “il testo scritto sfugge all’orizzonte finito, esperienziale di chi lo compone” (p. 51), poiché il “significato in sé” che esso contiene diviene “senso” solo attraverso l’opera instancabile dell’interprete nel “tempo grande” della storia. Per questo motivo, il deuteragonista di questa vicenda è il lettore, da intendersi come personaggio che segue passo passo “la funzione autore” ed anzi la determina con il suo “ruolo attivo” (p. 53): “Leggere è incontrare, pertanto, un soggetto di parole, che l’atto di lettura può promuovere ad autore” (p. 10). “L’atto del leggere implica un incontro con l’altro” (p. 7), quindi è atto sommamente dialogico, grazie al quale cambia la visione del mondo di chi legge e si dispiega il senso autoriale di uno scrittore. Stiamo parlando naturalmente della lettura critica, quella nella quale “le parole proprie del lettore ‘competente’ si intrecciano con le parole altrui dell’autore, dialogicamente, senza lasciarsi parlare da esse e senza neppure parlare in loro ‘vece’: la parola critica come parola propria-altrui di due co-autori, che insieme trasformano in senso il significato verbale del testo” (pp. 8-9). Augieri segue qui il pensiero di M. Bachtin, abbondantemente citato, fino a fare propria anche la definizione di “comprensione”. “Comprendersi”, difatti, è il terzo verbo del titolo, e deve essere così inteso: “Comprensione… come “incontro” tra due alterità in dialogo, tra due esotopie che non si annullano, non si neutralizzano, non si fondono, pertanto, non si confondono, non si dissolvono reciprocamente, non lottano per la predominanza di un significato sull’altro, perché la parola del testo faccia tacere quella dell’interprete o questa si sovrapponga alla parola dell’autore… Scrivere e leggere sono entrambe attività della coscienza che si completano in modo differente e correlato, in forma dialogica e rispondente” (p. 29).