Italiani per forza. Il libro di Dino Messina su neoborbonismo e unità d’Italia

Si dirà: tutto questo si è acuito dopo che la Lega Nord dagli anni Novanta in poi del secolo scorso ha accusato il Mezzogiorno di essere la palla al piede che impedisce all’Italia di camminare come potrebbe e dovrebbe, agitando tesi razzistiche e secessionistiche. Di qui la reazione neoborbonica, speculare risposta alle accuse e alle offese del Nord. Come a dire: a questo punto, diciamo le nostre verità e rovesciamo tutto. Così i piemontesi diventano occupatori “carnefici” e dunque via i loro nomi e le loro statue dal Sud, e i briganti diventano patrioti e allora nuova toponomastica, nuovi monumenti, e istituzione di un “giorno della memoria” per le vittime della repressione alla stregua delle vittime della Shoah e delle Foibe. Non è ancora la richiesta secessionistica, ma Pino Aprile, uno degli alfieri del neoborbonismo, è giunto a dire che preferirebbe essere cittadino di un Mezzogiorno d’Italia (Mediterranistan) stato autonomo nell’Unione Europea che “vivere da cittadino minore di uno Stato che mi nega i diritti costituzionali”.

È in questo contesto che il libro di Dino Messina, Italiani per forza. Le leggende contro l’Unità d’Italia che è ora di sfatare (Solferino, 2021), si inserisce col dichiarato intento di portare chiarezza storiografica ed equilibrio politico fra le parti in contrapposizione, utilizzando fonti storiche e analisi scientifiche dando alle parti la possibilità di farsi le proprie ragioni. Lo fa mettendo a confronto le tesi degli uni e degli altri, senza nulla tacere, e soprattutto le ricerche e gli studi effettuati in questi ultimi anni di assoluta attendibilità come quelli di “Meridiana. Rivista di Storia e Scienze sociali”, di Alessandro Barbero, di Piero Bevilacqua, di Enzo Ciconte, di Daniele Vittorio e Malanima Paolo, di Stefano Fenoaltea, di Emanuele Felice, di Guido Pescosolido, di Aurelio Musi, per citarne alcuni, oltre alle fonti classiche (Calà Ulloa, De Sivo) e alle più recenti prese di posizione da parte di autori come Pino Aprile e Gigi Di Fiore. Il lavoro di Messina ha i caratteri del libro inchiesta che, a dire il vero, va oltre il suo stesso titolo perché poi l’autore, al termine del lungo confrontare e dibattere, conclude che il Sud non è stato “Né «palla al piede» né terra di primati” e che tutto va riportato alla verità storica da ricercare senza pregiudizi e senza snobbare le ragioni dei neoborbonici, pur condannandone eccessi e minacce.

Le “leggende da sfatare”, dunque, non sono soltanto quelle legate alle efferatezze dei piemontesi, che duri nel combattere il brigantaggio lo furono certamente ma in un contesto di guerra e comunque con episodi da riportare a più certificabili dimensioni, come Pontelandolfo e Fenestrelle, ma anche quelle legate ad una presunta abissale inferiorità del regno borbonico. Gli studi di Daniele-Malanima e di Pescosolido hanno dimostrato che il regno borbonico, quanto a condizioni socio-economiche, non era poi così lontano da quelle dei vari stati preunitari del Nord e che il divario sarebbe cresciuto successivamente grazie alle politiche dei governi centrali in favore delle industrie del Nord favorite con politiche economiche mirate e foraggiate con le commesse statali.

Viene da dire allora che le minacciose tesi dei neoborbonici sono servite quanto meno ad un avvicinamento delle parti. I neoborbonici sono passati dalla rivendicazione storiografica a quella politico-sociale, dalla verità sul passato alla prospettiva del futuro. Pino Aprile è convinto che in Italia vi è ancora una sproporzione nel distribuire le risorse. “Quello di investire prima al Nord – dice – e lasciare le briciole al Sud è un vizio che dura ancora oggi”. Per questo, insieme ad un gruppo di neoborbonici, che egli preferisce chiamare meridionalisti, ha fondato nell’agosto del 2019 il “Movimento 24 agosto per l’Equità Territoriale”. “Questo progetto – ha spiegato – parte dal presupposto che al momento dell’Unità il divario tra le macroaree del Paese era inesistente […]. Noi ci battiamo contro una grande ingiustizia storica per restituire dignità alla gente del Sud”.

Ma anche qui il discorso va riportato per Messina all’analisi dei fatti. Questi dimostrano che un divario iniziale fra Nord e Sud c’era e che negli anni successivi non ha avuto sempre un percorso lineare, ma ha conosciuto momenti diversi, di accelerazione verso il recupero, in cui la distanza si è ridotta anche notevolmente, e di rallentamenti. “Il periodo compreso tra il 1962 e il 1973 – nota Messina – resta a tutt’oggi nella storia d’Italia l’unico in cui sia stato registrato un accorciamento significativo di distanze fra Nord e Sud (circa 10 punti percentuali). […]. Da allora in poi ricominciò a riallargarsi la forbice tra Nord e Sud. Questa volta contestualmente a un graduale e progressivo declino complessivo dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei”. Il che dimostra che il divario fra Nord e Sud non è conseguenza di deliberate scelte antimeridionalistiche, ma di diversi fattori e congiunture. Messina sostiene che oggi la questione meridionale è un tabù per diversi motivi, due tra i più importanti, riprendendoli da Pescosolido, sono la degenerazione della politica meridionalistica e il fallimento della classe politica meridionale. Per concludere: “Come dimostrano i dati storici e gli indicatori economici – osserva Messina – il Sud, entrando in un soggetto nazionale di livello europeo, dall’Unità ha guadagnato enormemente. Lo stesso discorso naturalmente vale per il Nord”. Il che ci fa venire a mente il suggerimento del grande Giuseppe Galasso, il quale diceva che bisogna guardare al Sud e alla Nazione con occhi strabici: con un occhio, per accorgersi che il Sud è ancora indietro rispetto al Nord, e con l’altro, che il divario si è ridotto notevolmente rispetto alla condizione di partenza. Ma su questo terreno difficilmente ci sarà mai un accordo coi neoborbonici.

[“Presenza Taurisanese”, Anno XXXIX n. 328 – maggio-giugno 2021, n. 328, p. 6]

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