di Adele Errico
La felicità è la “salita di asfalto nero tutta tornanti di Revolutionary road”. Questo è quello che sembra ad April e Frank Wheeler mentre la percorrono a bordo della giardinetta della signora Givings in direzione della loro nuova casa. Ma è una felicità che dura solo il tempo di quel tragitto, per poi dissolversi in disgusto reciproco vomitato da bocche distorte e lampi d’odio baluginanti in sguardi allucinati nel contesto di un teatro domestico.
Nel capolavoro americano di Richard Yates, Frank e April sono due pupazzi in un teatrino inconsapevolmente montato tra le quattro mura della loro casa in Revolutionary road. Pupazzi sofferenti, impantanati in convenzioni sociali dalle quali non esiste scampo, con intelligenze e passioni costrette in figure di marito e di moglie, in parvenze di padre e di madre che, venendo a contatto tra loro proprio in quella casa che dovrebbe essere dimora di affetto familiare, provano ad incontrarsi ma l’incontro provoca stridore e dolore fino a sfociare nella più brutale tragedia. Eppure:
Il complesso residenziale di Revolutionary Hill non era stato progettato in funzione di una tragedia. Anche di notte, come di proposito, le sue costruzioni non presentavano ombre confuse né sagome spettrali, era invincibilmente allegro.
E apparentemente i Wheeler sono proprio come tutti gli altri abitanti di Revolutionary Road, con i loro divertimenti e i loro crucci, le cene, i placidi spostamenti di Frank sul treno dei pendolari, le recite nel teatro locale di April.