Prose e poesie di Paolo Vincenti

La versatilità di Paolo mette a una prova ulteriore l’acume e la sensibilità del lettore in “L’una e tre” (DiscorDanze), in cui i giochi di parole e di allusioni si fanno sottili. In Disco, in versi ritmati che “andrebbero letti ad alto volume”, come dice Abele Longo, torna l’ossessione del tempo in componimenti-schegge carichi di “contraddizioni/deflagrano poi/perché i conti/non tornano mai”. Il travaglio interiore dell’autore si manifesta sempre più intenso in frammenti che confliggono in Discoring.

La seconda parte, Danze, si apre con una bella immagine che evoca il legame misterioso tra l’eros  e il mare. L’eco degli autori classici diventa persistente e spazia da Esiodo all’Antologia Palatina. L’allegria apparente dei simposiasti avanza, contagia “Selene, regina del banchetto/ebbra…”, confluisce nell’“interminabile autunno dell’Ade”, in cui Thanatos si unisce ad Eros. Un viaggio mentale attraverso lo spazio vasto del patrimonio culturale classico, nutrimento essenziale dell’animo.

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Su “Al mercato dell’usato”

A un titolo che suscita curiosità e predispone a un’intrigante ricerca, segue una lettura che obbliga alle soste, componimento dopo componimento, per incontrare in modi originali e stimolanti vari aspetti della vita, con abbondanza di riferimenti ai classici latini e greci, i Contemporanei del futuro, frutto di una conoscenza profonda. Essi ci accompagnano e ci guidano a volte con leggerezza, a volte esigono un’operazione di scavo e sono rivisitati e rivitalizzati con abile tocco.

Le singole sezioni della raccolta sono legate da un’esigenza costante che affiora potente in ciascuna: è urlo, denuncia della corruzione dilagante, lotta contro la prepotenza, i pregiudizi e l’ipocrisia, ricerca di umanità, forza dell’intelligenza, espressione di emozioni intense. In questo percorso di ricerca, di scoperta e di approfondimento è presente l’opportunità di stabilire un confronto fra umanesimo al tramonto e un’umanità smarrita, priva di un ubi consistam. Il lettore partner diventa simbolico complice di quanto l’autore cela in ampie zone d’ombra. Emerge una ricerca accurata delle parole che suggeriscono sviluppi sonori e musicali. La cifra stilistica non è univoca, ma consapevolmente capace di creare molteplici chiavi di lettura. Nel mondo di luccicante plastica in cui viviamo la voce di Paolo Vincenti suona contro corrente e si oppone con forza agli stereotipi e all’omologazione che mirano ad appiattirci, condannandoci a un torpore che ottunde le nostre facoltà psichiche, dimentichi del terenziano “Homo sum, nihil humani a me alienum puto”.

 Alla tormentata lotta contro il tempo alla ricerca di una “sfrenata atarassia” seguono le cupe pagine di Neronotte, in cui “si vede che il male avanza e si vuole prendere noi, o quel che resta di noi…quel che resta di questa sera straniata di questa sera contrariata…oh sì, il male imperversa, in questa contorta vita…”.

E’ in “La bottega del rigattiere” che la voce, o per meglio dire, il grido dell’autore, nella rivisitazione delle Baccanti, diventa acuto e martellante. Il linguaggio si fa tagliente ed incisivo  e il “tamburo” di Gunter Grass si unisce al ritmo frenetico dei tamburelli delle Menadi salentine, le tarantate, per accompagnare la loro danza sfrenata “in questa terra del rimorso”. Miti, riti, riferimenti antropologici ed etnologici si fondono e si saldano in una scrittura avvincente e vibrante di passione. E ancora il tempo, nell’ultima sezione, si impossessa dello spazio della memoria e ne saccheggia gli archivi. È il “tempo voluto, abbracciato, accarezzato, preso e portato, mi ricordo, sì, mi ricordo era il tempo da attraversare, il tempo che avremmo attraversato, come quel grande mare che avremmo navigato, era il tempo stellato, fortunato…”.

Sono certa che continueremo a seguire Paolo nel suo viaggio, senza fare domande, come afferma nel suo gioco linguistico. “Non mi chiedere dove ti porto/Neanch’io conosco la risposta/Non chiedermi dove ti porto/Neanch’io conosco la riposta/Seguimi e basta”.

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