di Carmen Gasparotto
Come in un raccordo tra i diversi piani di un quadro lo sguardo traccia il percorso. Osserva nel segno di un sentimento profondo e a volte inquieto, avvertito dei misteri della vita, segnato dai dubbi e dalle incertezze, da un paesaggio indistinto e confuso, dai vuoti – forse invisibili, forse incolmabili – che il mare di nebbia nasconde. La figura del Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich piantata sullo sperone di una roccia, lo sguardo puntato all’orizzonte a cercare l’orientamento, accompagna il passaggio tra un saggio e l’altro del nuovo libro di Antonio Errico “Salvo casi imprevisti” (Kurumuny).
Come una guida – mai come istruttore – il Viandante ci aiuta a recuperare la nostra presenza nel mondo. Ci sprona ad affacciarci sul bordo di paesaggi interiori senza mai fornirci risposte se non quelle che alimentano domande ulteriori. Ci aiuta a risvegliare la pigrizia del nostro pensiero e la quiete delle nostre idee perché è la nostra vita che vuole e chiede che si curino le idee e i pensieri, gli stessi con cui la interpretiamo.
Antonio Errico è narratore nel saggio. Il sottotitolo definisce “leggeri e casuali” i sei saggi di cui si compone il libro. Non è semplice scrivere in leggerezza. Non lo è quando si affrontano, per esempio, argomenti come la scienza. Quando il dialogo si fa serrato, quando l’esaltazione e lo stupore davanti al mistero e alla vastità dell’infinito ci pongono davanti i nostri limiti. Più che mai la storia di questo tempo è fatta di affronti e di azzardi verso l’incertezza. Non è facile essere leggeri quando si tratta di scegliere la direzione. Eppure Antonio Errico scrive saggi leggeri e casuali.
“Tutto dipende dal caso”, dice citando un piccolo libro di Ottavio Cecchi che ha come titolo L’ornitologo. Tutto l’universo è una catena di causa ed effetto, però il caso esiste. Una scoperta scientifica nasce talvolta dal caso. Succede quando si esplorano universi sconosciuti, quelli di cui non abbiamo alcuna competenza. Forse è ciò che ancora non conosciamo che esercita su di noi il fascino e il richiamo del desiderio. È proprio la parola desiderio a portare nel suo etimo la dimensione della veglia e dell’attesa, dell’orizzonte aperto e stellare, di una mancanza che sospinge alla ricerca.