Scrittore dalla prosa limpida ed essenziale, come spesso accade per chi viene da esperienze di studi scientifici, Leonardo era dotato di una raffinata ironia, un quasi britannico aplomb. Polemista certo, ma sempre con un retrogusto da freddura. Alla morte di suo padre, Ernesto, nell’estate del 1980, prese le redini del settimanale “Voce del Sud”, cui aveva collaborato fin dalla nascita, avvenuta nel 1954, e all’insegna del fondativo motto “avanzare senza rinnegarsi” lo ha diretto per 23 anni fino alla fine del 2003, a conclusione del cinquantesimo anno. Tempi simbolici: cinquant’anni di attività editoriale, chiusura alla fine del ‘900, secolo in cui Leonardo si sentiva radicato. Quasi un omaggio a questo secolo è il suo libro “In attesa di che? L’ultimo ventennio del secolo Ventesimo” del 2006, in cui peraltro rivendica il piglio prezzoliniano. Agli inizi di un mondo, il Duemila, a cui egli si sentiva estraneo, come ci si può facilmente rendere conto scorrendo le sue prosette firmate nella rubrica “Repertorio” con lo pseudonimo di “Beta”, pubblicate in cinquant’anni di “Voce del Sud” e raccolte nel suo libro del 2009 “In nome della Lecce, quella della generazione del tutto priva di telefonini”, quasi in continuità d’intenti e di stile delle prosette leccesi del padre pubblicate nella stessa rubrica e firmate “Alfa”, poi raccolte nel volume postumo di Ernesto Alvino “Il peso dei sogni” del 1996. A significare lo spirito di quel giornalismo valga il titolo dell’articolo di commiato, in cui si può cogliere il senso dei contenuti e dello stile: “Basta così, grazie”.
Il rapporto di Leonardo con l’attualità dei tempi non era di sorda condanna, ma di utile comprensione e di beffardo distacco. Sapeva perfettamente che le cose della vita vanno in un certo modo e, se pure non bisogna piegarsi al loro andamento o andazzo, con esse bisogna fare i conti. La lezione, duplice, gli veniva dalla vicenda paterna. Ernesto Alvino era stato tra i fondatori a Lecce del partito fascista, finì per essere espulso dagli “ultimi arrivati”, i parvenus, che di fascista evidentemente avevano ben poco. Ancor peggio la vicenda di “Vedetta Mediterranea”, per la quale fu condannato ed epurato nel silenzio di tanti che da lui erano stati generosamente ospitati quando la rivista era in auge e dialogava perfino col “Primato” di Bottai. Gli è che le esperienze della vita ti segnano indelebilmente. Gli Alvino, Ernesto e Leonardo, erano un po’ come quel grande intellettuale e scrittore, Piero Buscaroli, sentiva quelli che non si erano piegati ai “tempi”: sopravvissuti in territorio nemico. Pur godendo dell’apprezzamento personale di tanta gente perbene, essi hanno trascorso l’esistenza in una sorta di limbo, di nient’altro rei se non di non aver ricevuto il nuovo battesimo.
Da tempo si era ritirato da una “scena” che non rappresentava più il suo mondo. I suoi ultimi tempi li ha trascorsi nel suo studio di via Garibaldi a Lecce, di fronte alla Villa Comunale, intento a rivedere le sue carte e i suoi pensieri, sempre vigile a seguire le vicende che tanto lo avevano interessato nella sua duplice passione di geologo e di giornalista: l’inquinamento ambientale della terra e quello non meno grave, etico e morale, della società.
Si è spento la mattina di sabato 22 maggio, all’età di 88 anni. Era nato nel 1933.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno del 25 maggio 2021; poi in “Presenza taurisanese” Anno XXXIX n. 328 – maggio/giugno 2021, p. 12]