La bonifica delle terre, imposta in Costituzione, riguarda i consorzi di bonifica, istituiti quando si pensava che le zone umide fossero malsane e andassero bonificate. All’epoca le zanzare anofele prosperavano negli acquitrini, e nelle tabaccherie si vendeva il chinino di stato, a cura della malaria. In più, la terra bonificata era data ai contadini, liberandoli dallo sfruttamento della proprietà terriera privata. Le intenzioni dell’art. 44 sono nobili, per l’epoca. Ma la bonifica delle zone umide ha portato al dissesto idrogeologico che affligge il nostro territorio. L’art. 44 ha risvolti paradossali: se oggi qualcuno interrasse un’oasi del WWF sita in un acquitrino (penso alle Cesine, in Salento) potrebbe invocare l’art. 44, che impone la bonifica.
Lo sviluppo sostenibile non è greenwashing, come teme qualcuno che si oppone alla modifica, ritenendo sufficiente il paesaggio. Sviluppare i nostri sistemi di produzione e consumo in modo che siano in armonia con i sistemi naturali è parte della transizione ecologica. Abbiamo chiari tentativi di greenwashing in chi propone il nucleare o le trivellazioni in mare come soluzioni sostenibili, ma questo non significa che la sostenibilità sia un male, significa solo che viene declinata male. Le Costituzioni moderne mettono la Natura nei loro valori fondanti, soprattutto in Sud America. Esiste già una proposta di modifica costituzionale, la nr. 3311 del 23 Maggio 2012, con primo firmatario il Senatore Alberto Maritati, che propone di inserire la natura nella Costituzione. La conosco bene perché un pochino ho contribuito a scriverla, nell’ambito delle attività della sezione di Lecce di Libertà e Giustizia. Vi si riportano anche le parole di Benedetto XVI: “…Adottare in ogni circostanza un modo di vivere rispettoso dell’ambiente e sostenere la ricerca e lo sfruttamento di energie adeguate che salvaguardino il patrimonio del creato e non comportino pericolo per l’uomo devono essere priorità politiche ed economiche“. Ora pensate al significato della frase se al posto di ambiente ci fosse paesaggio: un modo di vivere rispettoso del paesaggio. Ambiente e paesaggio non sono sinonimi. La visione di Benedetto XVI ha trovato sublimazione in Laudato Si’, di Francesco, dove la parola paesaggio compare tre volte, l’ambiente compare 98 volte, gli ecosistemi 17 volte, la biodiversità 11 volte. Se ambiente, ecosistemi e biodiversità diventassero paesaggio, il senso cambierebbe.
Comprendo che i non ecologi (e i non papi) non riescano a comprendere la differenza, ma è proprio per colmare queste carenze culturali che sarebbe significativo modificare l’art. 9 della Costituzione, e magari dare anche una ritoccata all’Art. 44! Posso parlare al bar dell’arte del paesaggio, confrontando Turner con Constable, ma mi fermo lì. Sarebbe bene che la stessa cautela fosse adottata da chi si intende di arte quando parla di ambiente. Dopo la proposta di Maritati ne sono state fatte altre, fino all’ultima, recentissima, che si sta ora discutendo. Sarebbe bene metterle assieme e magari di discuterle, senza lasciare che si accumulino. Ogni tanto qualcuno si accorge della carenza e formula l’ennesima proposta che, fino ad ora, cade nel vuoto. Oltre alla giungla legislativa abbiamo anche una giungla propositiva. Uno dei tasselli della transizione ecologica è proprio la modifica dell’Art. 9.
[Il blog di Ferdinando Boero ne “Il Fatto Quotidiano” online del 4 giugno 2021]
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5 giugno: Giornata mondiale dell’ambiente
5 giugno: giornata mondiale dell’ambiente; l’8 giugno tocca agli oceani; il 22 maggio era toccato alla biodiversità. Continuiamo a celebrare le varie componenti della natura, e intanto cii commuoviamo per il disastro causato dall’ennesima nave dei veleni, questa volta naufragata in Sri Lanka. Causando l’ennesima catastrofe. A Genova sappiamo come vanno queste cose, visto che il peggior disastro ambientale causato da un naufragio in Mediterraneo è quello della Haven. Studio ambiente, biodiversità e mare, queste giornate mi dovrebbero far piacere, e invece no. Vorrei meno giornate e più fatti. Ho dovuto faticare, assieme a uno sparuto manipolo di “incursori politici” che “hanno capito”, a far inserire all’ultimo momento la conoscenza degli ecosistemi marini nel Piano Nazionale di Recupero e Resilienza, dedicato in gran parte alla transizione ecologica. Pensavo che l’ecologia avrebbe dovuto avere un ruolo importante nel piano di transizione. E invece, di nuovo, no. Abbiamo 8500 chilometri di coste e l’ambiente marino è un asset economico cruciale per la nostra economia: la conoscenza e la gestione sostenibile del mare (non si può programmare una gestione sostenibile senza la conoscenza) dovrebbe essere una priorità strategica, e invece no. Sono anni che mi chiedo il motivo di questa mancanza di attenzione per il mare e, dopo tanto pensare, ho capito che la colpa è nostra: chi studia il mare non riesce a farne comprendere l’importanza. Ma poi, il PNRR ha la stessa insensibilità anche per gli ambienti terrestri. E in Europa le cose non vanno diversamente. Ho incontrato la nuova responsabile del mare nel Ministero Europeo della Ricerca e Innovazione. Ci ha mostrato le priorità. L’ambiente è all’ultimo posto della lista, e non è da solo. La dicitura è: Agricoltura-Ambiente. In questa casella c’è anche il mare, ma prima c’è l’agricoltura. Non riusciamo a far passare il messaggio che se distruggiamo l’ambiente, se lo alteriamo troppo, eliminiamo le premesse per il nostro benessere. L’argomento ha complessità enorme e noi, per facilità di analisi, l’abbiamo suddiviso in tantissimi argomenti, di solito affrontati uno alla volta, da persone con competenze molto specifiche. Se un politico chiede a cento scienziati ambientali quali siano le priorità più urgenti di solito riceve cento risposte differenti (a meno che non interroghi scienziati che fanno esattamente la stessa cosa) e ognuno risponde che la cosa più importante è quella che fa lui (o lei). C’è chi vuole togliere la plastica dal mare, chi la vuole togliere dai fiumi. Poi ci sono quelli che vogliono salvare i cetacei, altri vogliono salvare le tartarughe. Qualcuno è fissato con un posto specifico e chiede che sia protetto. Gli oceanografi fisici parlano delle correnti, i biologi che studiano i pesci parlano di pesci, e quelli che studiano le meduse parlano di meduse. A chi dare retta? Raramente i ricercatori si mettono d’accordo e presentano priorità condivise. Così, alla fine, per non accontentarne uno e scontentarne cento, si finisce con scontentarli tutti. E questi argomenti, dichiarati importantissimi in linea di principio, non si affrontano mai, se non nelle celebrazioni. La pandemia ha portato i virologi alla ribalta, assieme agli epidemiologi. La transizione ecologica avrebbe dovuto stimolare una grande attenzione per gli ecologi. E invece no. Forse è meglio così. Prima dovremmo metterci d’accordo sul messaggio. Altrimenti faremo la figura dei virologi.
[“Il Secolo XIX” del 5 giugno 2021]