Luci ed ombre nella partecipazione delle donne salentine alla prima guerra mondiale

di Paolo Vincenti

Molti studi ottimamente prodotti negli ultimi anni sulla partecipazione delle donne alla Prima Guerra Mondiale hanno dimostrato come il loro impegno nella Grande Guerra in tutta Italia sia stato ampio e variegato. Da questi studi è emerso un universo femminile quasi prismatico, se solo si superano i consunti stereotipi che stancamente si tramandano. Oltre ai settori più tradizionali e conosciuti, infatti, come quello delle infermiere e delle crocerossine, vi furono moltissimi campi di applicazione in cui le donne riversarono il proprio ingegno, la costanza, la versatilità. La loro partecipazione fu legata prima di tutto all’assistenzialismo, sia di matrice cattolica che laica. Soprattutto le donne di estrazione aristocratica ed alto borghese incoraggiarono la nascita di associazioni di beneficenza, che si prendessero cura dei soldati impegnati al fronte, attraverso donazioni, raccolte fondi, invio di beni di prima necessità, quali generi alimentari, indumenti caldi, medicine. L’area del volontariato in cui maggiormente si esplicò la beneficenza legale, anche nel Salento, fu quella sanitaria, nello specifico della Croce Rossa. Molte furono le infermiere salentine che partirono per le zone di guerra[1].

Un ruolo rivestito dalle donne durante la guerra che merita ulteriori approfondimenti è quello delle madrine di guerra, le quali si prendevano cura di alcuni soldati, adottandoli per tutta la durata del conflitto. Inizialmente le madrine di guerra provenivano dall’alta società, ovvero dai ceti aristocratici, ma successivamente furono anche le ragazze del popolo a farsi madrine e avviare una corrispondenza epistolare con i soldati sul fronte; non di rado, queste frequentazioni si trasformavano in fidanzamenti e quindi matrimoni quando i soldati riuscivano a ritornare vivi dal campo di battaglia[2]. Molto note sono le figure di madrine di guerra al Nord, poco invece nel Sud e nello specifico nel nostro Salento. Queste donne, anche conosciute come “Dame di carità”, operavano nell’ambito dell’associazionismo cattolico e si facevano promotrici di iniziative benefiche a favore dei soldati feriti sul fronte e mutilati, e ancor di più degli orfani e delle vedove di guerra.

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