Il codice dei Templari

Ma un conto è apprendere la storia dei Templari dalla ricostruzione di chi per mestiere fa lo storico, e un conto è leggere i documenti, che hanno il potere di farci entrare di soppiatto, ma in prima persona, nel tempo e nello spazio vissuti dai protagonisti di una vicenda che, come si visto, continua ad affascinare le menti dei contemporanei e… a trarle in inganno. Oggi questo è possibile a qualunque lettore grazie al lavoro di Giovanni Amatuccio, che ha composto in un unico volume di LII-481 pagine tutto il Corpus normativo templare con sottotitolo: Edizione dei testi romanzi con traduzione e commento in italiano, Prefazione di Errico Cuozzo, Galatina, Congedo Editore, 2009. Si tratta di un’edizione critica (pubblicata come n. 7 della collana dell’Università del Salento Dipartimento dei Beni delle Arti e della Storia. Pubblicazione del Dottorato in Storia dei Centri delle Vie e delle Culture dei Pellegrinaggi nel Medioevo Euromediterraeo. Coordinatore Prof. Benedetto Vetere, al quale vorremmo dire: ma non si potrebbe essere più sintetici nella scelta del titolo di una collana?) che giunge a sostituire l’unica finora valida consultabile in biblioteca, quella di Henri de Curzon del 1886, col tempo superata dal ritrovamento di due manoscritti che la integrano e la arricchiscono. Così il curatore può dire nell’Introduzione, senza tema di essere smentito, che “la presente edizione si propone come un nuovo strumento di lavoro nel quale confluiscono tutti gli elementi disponibili alla fruizione dell’insieme dei testi costituenti il Corpus normativo templare” (p. VI).

Sorvoliamo sulla dotta Introduzione, nella quale Amatuccio ricostruisce la tradizione del testo, i testimoni, i frammenti, i manoscritti perduti, le fonti, i modelli, senza trascurare i problemi di datazione, i criteri di edizione, di traduzione, con annessi stemma codicum e descrizione dell’apparato critico; per entrare subito nel mondo dei Templari, dove il protagonista è il cavaliere di Cristo (chevalier de Crist), versione aggiornata e corretta del campione della cavalleria secolare (seculiere chevalerie), che è chiamato a combattere per la fede: “In quest’ordine religioso è fiorito e resuscitato l’Ordine della Cavalleria, il quale ha rinunciato all’amore della giustizia che apparteneva ai suoi compiti non ottemperando più ai suoi doveri – che consistevano nel difendere i poveri, le vedove, gli orfani e le chiese – ma si è dedicato a conquistare, razziare e uccidere” (p. 3). Già nel Prologo della Regola appena citato, come si vede, è delineato il compito della nuovo Ordine, cavalleresco e religioso a un tempo, che, contro tutte le degenerazioni della vecchia cavalleria, è quello di difendere coloro che subiscono angherie e soprusi da parte degli infedeli; ovvero di fare la guerra santa in difesa del Santo Sepolcro. Il Corpus qui raccolto fissa, con una ripetitività che non sorprende in testi di questo genere, i principi fondamentali che devono informare la vita del templare. In primo luogo, in omaggio a san Benedetto, è richiamata l’importanza del lavoro (“… affinché il demonio non lo [il fratello templare] trovi mai ozioso”, p. 153) e della preghiera (la recitazione delle ore scandisce infatti tutta la giornata del monaco). In secondo luogo, bisogna curare l’equipaggiamento e la cavalcatura, al fine di garantire la piena ed efficace operatività del templare in qualsiasi momento della giornata, come fosse il membro di un moderno reparto operativo di polizia.

La Regola, gli Statuti, e le Consuetudini descrivono minuziosamente la vita dei fratelli, raccontando, attraverso le varie prescrizioni, il comportamento del monaco-guerriero, tutto ciò che egli può e deve fare o non fare, a seconda del grado che occupa nella gerarchia dell’Ordine (cavalieri, sergenti, cappellani, su tutti il maestro). Il templare deve osservare il voto di castità, obbedienza e povertà che ha fatto quando ha deciso di entrare nell’Ordine, sicché “se viene provato che un fratello ha giaciuto con una donna, l’abito non gli deve rimanere e deve essere messo in catene” (p. 233). Negli Esempi colpe, si precisa che, chi abbia trasgredito in tale senso, “non deve giammai portare il gonfalone Bauceant né partecipare all’elezione del maestro” (p. 325). Il suddetto gonfalone era il vessillo dei cavalieri templari. Era diviso in due parti simmetriche, una bianca con croce rossa ed una nera, ad attestare un forte dualismo tra il Bene e il Male.

Per altri casi, ci sono punizioni per così dire umilianti, come quella di “condurre l’asino o fare qualsiasi altro servizio dei più vili della Casa, cioè lavare le stoviglie in cucina, pelare agli e cipolle, accendere il fuoco…” (p. 255).  Si puniscono duramente la disobbedienza e ogni ruberia, in molti casi con l’uso della verga e della cintura. Addirittura “se un fratello del convento muore e gli viene trovato oro o argento nelle sue bisacce o nel suo equipaggiamento – oppure se lo ha nascosto fuori della Casa senza il permesso del responsabile, e non lo confessi sul punto di morte al suo commendatore o a un altro fratello – non sarà seppellito nel cimitero, ma sarà gettato in pasto ai cani [mais seroit jetés hors a chiens]; e se è stato già seppellito, sarà riesumato, e ciò è stato fatto con molti” (p. 299).

In generale, nel Corpus agisce una precisa volontà di non lasciare nulla al caso, il che si comprende assai bene, trattandosi di una comunità molto ben strutturata. Pertanto, “il maestro deve esortare a guardarsi dalle cattive abitudini e ancor più dalle cattive azioni, affinché [i fratelli] si sforzino e cerchino di comportarsi in modo tale che – nel cavalcare, nel parlare, nel guardare, nel mangiare e in tutte le loro attività – non si possa rivelare nessuna superfluità né irragionevolezza; e ordinare che si prendano cura in particolare dei capelli e dell’abbigliamento, affinché non abbiano niente in disordine “ (p. 275). Insomma, i fratelli devono badare molto al modo in cui agiscono e si presentano in pubblico, per evitare che un loro comportamento sbagliato o disdicevole possa ritornare a disonore dell’intero Ordine, il che comporterebbe subito la punizione dei rei. Essere puniti significa perdere temporaneamente o definitivamente, a seconda delle colpe, il proprio abito, che è simbolo di una condizione privilegiata eppure carica di responsabilità. Chi è punito, nel tempo della punizione non è più un guerriero della fede e pertanto “non deve occuparsi del proprio equipaggiamento né del proprio lavoro se non gli viene espressamente ordinato” (p. 265). Vi sono mille esempi che passano in rassegna la casistica dei comportamenti e delle punizioni. Si arriva a prevedere, addirittura, che “se accade che un fratello abbia l’alito così pesante che gli altri fratelli non riescano a sopportarlo, né i medici a guarirlo, lo si deve mettere in un luogo isolato e dargli le cose di cui avrà bisogno, così come a un qualsiasi fratello, e deve poter indossare il suo abito. E quando sarà guarito dovrà tornare alla compagnia dei fratelli” (p. 229). Questo esempio di alitosi medievale suscita in noi qualche ilarità, ma la dice lunga sulla meticolosità della casistica templare.

L’Ordine dei Templari ufficialmente fu sciolto il 3 aprile 1312 con la bolla Vox in excelso, ma già da tempo era nell’occhio del ciclone: Filippo IV il Bello, re di Francia, forse desideroso di estinguere i molti debiti contratti con i Templari, che nel frattempo si erano dedicati anche ad attività bancarie, forse per contenere l’influenza cattolica sulla Francia, aveva cominciato a perseguitarli sin dal 1307. Insomma, la vita dei Templari durò meno di due secoli, contrariamente agli altri ordini religiosi molto più longevi. La segretezza a cui i fratelli erano tenuti circa la vita interna dell’Ordine probabilmente ha contribuito a far nascere quell’aura di mistero che ancor oggi lo circonda. Tra le Consuetudini si legge: “Nessun fratello deve possedere gli Statuti o la Regola, se non dietro permesso del convento. Ciò è proibito e fu proibito ai fratelli dal convento, poiché è accaduto alcune volte che gli scudieri li abbiano trovati, letti e svelati alla gente del secolo, la qual cosa può arrecare danno al nostro Ordine” (p. 171). Obbligo della segretezza, dunque, ribadito anche altrove (vedi p. 5, dove si dice che quanto avviene nel concilio, l’assemblea dei fratelli, “non può essere detto né raccontato”). Da tempo, tuttavia, non c’è più nulla di segreto. La presente edizione dell’Amatuccio, poi, proponendo la traduzione italiana al testo romanzo dell’intero Corpus e al testo latino dell’Appendice A che riporta il Capitolo di Ville Mausonii (mentre l’Appendice B contiene il Testo della Regola primitiva latina secondo l’edizione di G. Schnurer del 1908), è rivolta ad “un pubblico più largo di quello accademico – considerato anche il sempre grande interesse che suscitano i Templari presso il grande pubblico dei lettori – “ (p. XLIV). Oggi, infatti, chi voglia davvero sapere chi siano stati i Templari non ha che da leggere questo Corpus – importanti per l’utilità che se ne può trarre le Tavole di concordanza, la Bibliografia e l’Indice dei nomi e delle cose notevoli che concludono il volume -: alla luce della loro vita reale, sorvegliata e punita in ogni minimo comportamento differente dalla norma, il lettore vedrà svanire i tanti misteri che accompagnarono l’impresa crociata e la sua fine.

[Il codice dei templari (recensione a Corpus normativo templare, a cura di Giovanni Amatuccio, Congedo Editore, Galatina, 2009), “Il Titano”, Supplemento economico de “Il Galatino”, n. 12  del 26 giugno 2009, pp. 40-41.]

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