di Ferdinando Boero
La transizione ecologica, asse portante del PNRR, si dovrebbe basare sui concetti chiave dell’ecologia; come la capacità portante: il numero massimo di individui di una data specie che le risorse di dato territorio possono sostenere. Arrivate alla capacità portante, le popolazioni si contraggono per tornare a numeri compatibili con le risorse disponibili. Quale è la capacità portante della popolazione italiana? Le tecnologie ci possono aiutare nello spostare verso l’alto l’asticella della capacità portante, ma non possono eliminare il limite. Gli umani rispondono a questi limiti espandendo il territorio da cui attingere le risorse, conquistando altri territori. Tipo le guerre coloniali. Oppure emigrando verso territori dove la capacità portante non è stata raggiunta. Oppure rallentando i processi riproduttivi. L’Italia è un paese di emigranti. Prima emigravano gli appartenenti a classi sociali di basso livello culturale: abbiamo esportato manodopera in tutto il mondo, dai minatori agli operai generici. Oggi esportiamo laureati. In dieci anni 250.000 giovani hanno abbandonato il paese, trovando collocazione in paesi dove la manodopera qualificata è carente. Per i giovani che restano c’è la disoccupazione (il 30% dei giovani in età lavorativa non ha un lavoro) oppure ci sono lavori sottopagati e precari, nei call center, a distribuire pasti pedalando in bicicletta, oppure facendo interminabili tirocini a 600 euro al mese.
La risposta della popolazione italiana è biologicamente coerente: si diminuisce il tasso di natalità. Il risultato di questa diminuzione, accompagnata dall’emigrazione e dalla mortalità delle classi di età più avanzata, tende a riportare la nostra popolazione nei limiti della capacità portante. Per qualcuno questo è un dramma che porterà alla scomparsa della popolazione italiana. La soluzione pare sia il supporto alla natalità, con offerte di servizi alle giovani madri che, oggi, una volta messi al mondo i figli, vengono licenziate perché “improduttive”. Poniamo che questa scelta abbia successo, e che le italiane ricomincino a far figli come un tempo. Mia nonna materna si chiamava Ottavia. Ottava di otto figli. La sua famiglia dalla Garfagnana si è sparsa in California, Illinois, Scozia, Argentina, oppure semplicemente a Genova, dove io sono il primo laureato della stirpe e ho trovato una collocazione decente nel mondo del lavoro, negli anni settanta-ottanta, quando eravamo 56 milioni. Ora siamo 60 milioni. Se oggi i giovani laureati emigrano, o sono sottopagati, possiamo pensare che, se ci fossero più giovani, i numeri di chi se ne va o lavora per stipendi da fame diminuirebbero? Logica dice che aumenterebbero.