di Giuseppe Pascali
Frammenti di vita, pezzi di sogni e particelle di speranze racchiuse in trentadue liriche. Paolo Vincenti torna a poetare con «L’una e tre (DiscorDanze)», silloge poetica pubblicata per i tipi di ArgoMenti Edizioni, prosieguo ideale di «L’una e due», «Come se la lancetta del pendolo che è la vita, avesse scoccato un solo minuto appena, un minuto di eternità che crea un piccolo caos, le “discordanze” del sottotitolo», scrive Abele Longo nella prefazione. Poesie divise rigorosamente in due «fazioni»: Disco e Danze, appunto. Una divisione che ha un effetto «dirompente», sostiene sempre Longo. «Entrambe le parti – scrive – contengono componimenti brevi e icastici, con un verso ridotto all’essenza nella prima parte, “Disco”, che omaggia il postmoderno nelle sue varie declinazioni; mentre l’influenza dei poeti greci e latini della tradizione epigrammatica, invece, caratterizza la seconda parte, “Danze”. Sono schegge su cosa siamo o vorremmo essere, frammenti non per forza collegati di un puzzle di cui non riusciamo a venirne a capo. Nella sua opera di resistenza – aggiunge – il Nostro ribadisce, con puntuale, arguta, pungente, dissacrante scrittura, che “una risata li seppellirà”. È la risata del Cinico, con la C maiuscola, quello, per intenderci, della scuola di Diogene. Nella seconda parte, Vincenti è un Giovenale dei nostri giorni, che guarda alle debolezze degli umani nella quotidiana corsa verso i beni materiali (“divertitevi ghiottoni, mangioni che siete,”). Un’estetica dell’esistenza; il senso dell’irrisione non come presunzione di chi si mette su di un piedistallo, ma di chi semmai è determinato a mantenere alto il proprio decoro, come insegnava Plotino: “non smettere mai di scolpire la tua statua”. Cinico anche perché è godere dell’istante. In una delle più belle liriche, “Mattino”, l’attesa del sacerdote ci arriva impaziente: “esce Afrodite dalle valve della conchiglia/e tra le spume un nuovo giorno si apre/il sacerdote intento nelle sacre abluzioni/già pregusta il momento della ierogamia” … ovvero il momento dell’unione divina. All’unione divina corrisponde “la frenesia generativa illimitata”. Gli eccessi diventano una parte salutare, rompono le barriere tra gli umani, la società e gli dei; aiutano la circolazione della forza, della vita, il frammentario ritrova una sua unità. Vivere l’attimo, quindi, coltivare il piacere dei sensi, lo sberleffo, l’ironia irriverente. Non diventare, in sostanza, schiavo di nulla, andare contro corrente, incurante degli altri e capovolgendo valori e consuetudini. Nel frastuono dei calici dello scempio che avanza, Vincenti ritaglia anche momenti di grande lirismo, versi cristallini come “Primavera greca” e “In viaggio”, che rivelano una tavolozza di colori tenui e delicati, a confermare le tante corde di un autentico scavezzacollo della parola». Autore fecondo, Vincenti ha pubblicato scritti presenti su svariate riviste salentine e su testate on line. Tra i suoi libri L’orologio a cucù (Good Times), La bottega del rigattiere (Lupo), NeroNotte. Romanza di amore e di morte (Libellula), L’ombra della madre (Kurumuny), L’osceno del villaggio e Avanti (o) pop! (ArgoMenti) e Italieni (Besa), per citarne alcuni.