Quando le classi di età più anziane saranno “erose” dai naturali processi biologici, a cui il covid sta dando un grosso contributo, ci saranno problemi per i più giovani: verranno meno le pensioni che contribuivano al loro benessere. Come mai negli altri paesi “avanzati” la domanda di manodopera qualificata è alta, e assorbe il nostro surplus di giovani, mentre da noi i laureati finiscono nei call center, fanno i riders, e i tirocini sono infiniti? Possiamo porci una domandina semplice semplice: quale è il numero di italiani che possono trovare un sostentamento decente nel nostro paese, con il loro lavoro? Se si programma di aumentare di numero significa che si pensa che il paese ne possa contenere di più. Ma se vanno via perché non trovano lavoro, è palese che sono troppi. E la risposta della popolazione è conseguente: se ne producono di meno.
Non si può pensare di incentivare le nascite in una situazione come quella attuale, senza pensare a cosa fare di una possibile ondata di nuovi nati. Quando cominceremo ad importare laureati dall’estero, perché i nostri non bastano a soddisfare la domanda interna, potremo riparlarne. Per ora avviene il contrario. Sono in molti a dire che un aumento della popolazione giovanile sarebbe una forte spinta alla crescita economica senza collegare questo ragionamento alla situazione attuale dei giovani. Il problema si risolverà quando torneremo ad essere un paese che investe nell’alta formazione e che la valorizza nei suoi sistemi produttivi. Abbiamo tagliato gli investimenti in formazione e ricerca, abbiamo trasferito all’estero le nostre produzioni, paghiamo pochissimo i pochi giovani che i sistemi produttivi sono in grado di assorbire, e qualcuno pensa di spingere gli italiani a fare più figli. Evidentemente i nostri destini sono in mano a persone che non sanno collegare i fatti.
[“Il Secolo XIX” del 15 maggio 2021]