La perdita di centralità nei commerci non interrompe tuttavia i legami tra il Salento e l’estremo Oriente. Con la campagna di evangelizzazione elaborata e messa in opera nei decenni successivi al Concilio di Trento, la Cina, insieme al Giappone, diventa terra di conquista missionaria, che vede i gesuiti protagonisti di assoluto rilievo. Il loro attivismo si dispiega su vasto raggio, lasciando tracce significative di una presenza a tratti eroica (Francesco Saverio) e a tratti culturalmente penetrante (Matteo Ricci). Le loro nuove armi sono i libri, quelli occidentali, che viaggiano con lo scopo di contaminare e “occidentalizzare” la cultura orientale. La via dei libri (da qui il titolo del numero della Rivista) sostituisce la via della seta e delle spezie, che nel Medioevo si era imposta con il viaggio di Marco Polo.
In questo lungo processo di acculturazione si incontrano diversi gesuiti salentini, che si fanno promotori attivi di un percorso che nel tempo non si caratterizza solo per l’attività nel campo dell’evangelizzazione, ma anche in quello più propriamente della scienza, in un’osmosi di intenti che avvicina due mondi, considerati, non solo geograficamente, molto lontani. Tra i tanti protagonisti si eleva il salentino Sabatino de Ursis, gesuita della prima ora, che decide di seguire le orme di Francesco Saverio senza attendere neppure l’ordinazione sacerdotale. Su di lui, in occasione del quarto centenario della morte, si è voluto fermare l’attenzione e aprire una stimolante stagione di ricerche, che vede, dopo il recente e preliminare volume bio-bibliografico, un altro significativo approdo nella pubblicazione degli Atti di questo seminario di Studi.
Il 3 maggio del 1620 il gesuita salentino Sabatino de Ursis moriva a Macao di morbum ignotum. Aveva solo 46 anni. Era nato a Ruffano nel 1575, aveva fatto il suo ingresso in Compagnia nel 1598 e dal 1603 lo ritroviamo a Macao, che lascia nel 1606 per fare il suo ingresso in Cina, dove l’anno successivo raggiunge Pechino, per affiancare e poi raccogliere l’eredità culturale di Matteo Ricci, suo maestro e mentore. De Ursis è annoverato nella “Generation of Giant” (Dunne). Nella ricorrenza dei 400 anni dalla scomparsa di de Ursis, la Società di Storia Patria di Lecce ha voluto ricordarlo, dedicandogli il volume di Francesco Frisullo e Paolo Vincenti L’apostolato Scientifico dei Gesuiti nella Cina dei Ming. Il missionario salentino Sabatino de Ursis (Castiglione di Lecce, Giorgiani Editore, 2020), la prima opera monografica su questa esemplare figura. Ora questa operazione editoriale si propone di offrire altre chiavi di lettura per caratterizzarne l’opera. Se la vita di Sabatino de Ursis è stata relativamente breve, infatti, non può dirsi altrettanto della sua bibliografia. In poco meno di un decennio il gesuita, avvalendosi della collaborazione di autorevoli mandarini cinesi, diede alle stampe tre importanti opere: 《简平仪说》Jiǎnpíngyí shuō;《泰西水法》Tàixī shuǐ fǎ e《表度说》Biǎo dù shuō. Il profilo biografico di de Ursis viene qui meglio definito nello scritto di Davor Antonucci che ci permette di puntualizzare alcuni aspetti che i biografi fino ad oggi hanno lasciato in sospeso, ivi compresi i fondatori dei moderni studi “ricciani” Pietro Tacchi Venturi e Pasquale Maria D’Elia. Il D’Elia, in particolare, ha intrapreso ma non concluso il progetto dell’Edizione nazionale delle opere edite e inedite di Matteo Ricci. Le vicissitudini di tale opera editoriale vengono ricostruite nello scritto di Sergio Palagiano, che pubblica l’inedito scambio epistolare tra i due studiosi gesuiti. L’intervento di Camilla Russell fa di de Ursis un caso di studio per documentare e analizzare la maturazione della vocazione dei candidati alle Indie (indipetenti) e le procedure della Compagnia di Gesù nella selezione dei missionari da inviare in Cina. Dall’integrale pubblicazione a cura di Alfredo di Napoli di alcune significative lettere di de Ursis emerge la figura di un missionario in formazione, attento a cogliere le peculiarità della cultura cinese, alla quale rispettosamente ma criticamente si accosta. Dall’analisi delle lettere conservate in Arsi si evince una rete di relazioni che si sviluppa tra Lecce, Napoli, Roma, Coimbra e la Cina, quali luoghi della formazione del futuro missionario. Risaltano anche i suoi rapporti con figure di primo piano della Compagnia di Gesù, che con de Ursis condividevano l’origine salentina, quali Bernardo de Angelis e Domenico Roccamora, che per oltre vent’anni sarà rettore del Seminario Romano. Fortunatamente è a noi pervenuta la lettera che de Ursis invia il 25 gennaio 1605 a Bernardino Realino, il santo fondatore delle Compagnia di Gesù nel Salento, grazie alla quale è possibile individuare in Ruffano il luogo d’origine di Sabbatino de Orsi, come si firma nel suo ingresso a Roma (11/11/1598) e come già scritto, ma non opportunamente documentato, dal Barrella nel 1947. A diradare le nebbie sono le puntuali indagini di Francesco Frisullo e Paolo Vincenti, che approfondiscono nel loro saggio anche la figura di un altro gesuita salentino e conterraneo di de Ursis (“mio paesano”): Francesco Perez, al secolo Scipione Mogavero, il quale, nativo di Ruffano, svolge il suo apostolato in Giappone tra il 1585 e 1602/4. Anche dalle lettere di Perez-Mogavero si profila una più significativa rete epistolare tra l’Asia e l’Europa e più specificamente il Salento, il che autorizza gli autori ad ipotizzare uno scambio di informazioni ‒ abbozzo di una conoscenza globale ‒ non solo tra Asia ed Europa, come ampiamente acquisito dalla ricerca, ma tra il Salento e l’Asia. Non va dimenticato che nel 1614 approda a Otranto, proveniente dalla Cina, in veste di Procuratore della missione, Nicolas Trigault: è lo stesso gesuita belga a riferircelo nell’introduzione al De christiana Expeditione apud Sinas (1615) Ad lectorem, il testo che più di altri ha veicolato la conoscenza della Cina in età moderna.
I saggi qui raccolti mirano, inoltre, a ricostruire il contributo che Sabatino de Ursis ha dato alle vicende straordinariamente complesse della storia delle missioni in Asia, come fanno Sabine Kink, Ulrich Vogel e Cao Jin attraverso lo studio dell’Idraulica, una delle sue opere più significative perché ha introdotto in Cina la tecnologia occidentale. Viene dimostrato inoltre che gli scritti in cinese non furono una mera traduzione di opere occidentali, ma si rese indispensabile una loro “sinicizzazione”, cioè servirono a fornire attraverso gli apparati paratestuali delle chiavi di lettura che non solo ne giustificassero la traduzione in cinese ma li rendessero compatibili, interessanti, e insomma “ortodossi” rispetto alla millenaria cultura cinese. Tali soluzioni retoriche hanno favorito la “sintesi creativa” tra tecnologie e astronomia occidentale e cinese, come emerge dai saggi di Giancarlo Truffa e Michela Cigola. L’operato di de Ursis andava a incidere sulla visione cosmologico-politica del Regno di Mezzo (la Cina) e ciò trova riscontro nell’intrapreso lavoro di riforma del Calendario Cinese, evidenziato nello scritto di Gabriella Sava. Ancora più radicale è il tentativo che anche de Ursis fa nella conoscenza della cultura cinese e per la precisione il Classico dei Mutamenti,nella sua opera Xiangshu lun, che qui per la prima volta viene analizzata nell’intervento di Paolo De Troia e Sofia Zanin.
Più arduo è stato il processo di acculturazione del cristianesimo romano sul piano dottrinale attivato, come evidenzia nel suo saggio Eugenio Menegon, dal barese Michele Ruggeri, continuato poi da Matteo Ricci e, tra gli altri, da Giulio Aleni, il cui scritto catechistico Il Classico dei Quattro Caratteri della Santa Religione del Signore del Cielo, viene preso a pretesto per analizzare le difficoltà di natura anche ambientale di penetrare nel mondo cristallizzato cinese.
Un altro aspetto fondamentale della cultura cinese ma anche della strategia pastorale della Compagnia è la musica, che è oggetto dell’analisi del contributo di Luisa Cosi, il cui approccio comparativo tra musica occidentale e cinese ci permette di capire come i missionari “sentivano” la musica del Celeste Impero e viceversa.
Nell’analisi complessiva dell’opera degli emuli di Matteo Ricci, in primis il gesuita ruffanese, emerge, nell’interscambio culturale tra la Cina e l’Europa veicolato dalle traduzioni “accomodate”, un’accresciuta contaminazione culturale che avvicina anche il Salento all’estremo Oriente.
La figura multiforme di Sabatino de Ursis che le fonti ci trasmettono è molto vicina a quella dei fondatori dell’Ordine, sant’Ignazio di Loyola e san Francesco Saverio, e risponde in buona sostanza all’identikit del perfetto gesuita, secondo gli stessi dettami ignaziani, cioè missionario e uomo di scienza. E tuttavia questi due aspetti del suo operato erano del tutto complementari in de Ursis, come lui stesso chiaramente scrive: «È necessario adesso travagliare con due mani, la destra nelle cose di Dio, e la sinistra in queste cose» (matematica), ma è in “adesso” che si precisa la natura strategica degli “uomini strani venuti dall’Occidente”, come vengono presentati i missionari negli scritti encomiastici dei letterati cinesi, che collaborarono con loro. Alla forte amicizia intellettualecon i mandarini, ma anche alla grandissima curiosità dei missionari scienziati come padre Sabatino, si deve il risultato di riconnettere i due continenti, tramite la sopra menzionata “via dei libri”. Sono infatti i libri, sia di argomento filosofico-religioso sia tecnologico-scientifico, a mediare fra i due “agenti”, che in questo scambio avevano obbiettivi opposti: i funzionari cinesi, che miravano a puntellare l’impero Ming ormai prossimo alla decadenza, e i missionari, che invece agivano «con grande fervore de convertire il mondo tutto», come esplicita Sabatino de Ursis in sua lettera.
Lecce, Università degli Studi, marzo 2021
[Prefazione a “L’Idomeneo” n. 30 (2020) – La via dei libri. Sabatino de Ursis [熊 三 拔] e le contaminazioni culturali tra Salento e Cina nei secc. XVI-XVII