di Mario Spedicato
Il Salento è stato vicino alla Cina molto più di quanto oggi si possa immaginare. Soprattutto dal basso Medioevo ha esercitato strategicamente un ruolo di raccordo commerciale tra Mediterraneo ed estremo Oriente, consentendo ai veneziani (e non solo) di gestire proficuamente la via di Marco Polo, inizialmente alimentata dalle spezie e dalla seta. Crocevia e passaggio obbligato di quei traffici, il Salento è stato colonizzato dalle grandi etnie mercantili dell’epoca, interessate anche a non perdere il controllo dell’olio lampante, un prodotto unico ed insostituibile della zona, considerato di primaria importanza per l’industria europea. Si sono scatenate guerre (tra cui basti ricordare, a titolo esemplificativo, il barbaro saccheggio e l’occupazione militare di Gallipoli nel 1484) per conservare il monopolio commerciale, messo a dura prova dalle resistenze indigene e dalla accresciuta concorrenza delle altre etnie italiche (genovesi in primis), ben attrezzate per allargare la loro influenza con l’acquisizione di fette di mercato, prima, se non negate, fortemente contrastate.
Lo scenario tende gradualmente a mutare con la circumnavigazione dell’Africa, quando appunto i commerci si spostano sugli oceani e il Mediterraneo diventa un grande lago, che finisce per perdere la sua centralità mercantile. Un contraccolpo negativo che si abbatte anche sul Salento, che da allora diventa marginale e periferico, perdendo il controllo di prodotti orientali come le spezie e la seta che raggiungono l’Europa attraverso Lisbona, poi Anversa e Amsterdam e, infine, Londra. Il declino economico-commerciale del Salento si accompagna a quello del Mediterraneo, ormai non più in grado di intercettare massivamente i prodotti dell’estremo Oriente in quanto isolato e chiuso ai grandi traffici mondiali.