Intanto il 14 agosto del 1931 è precettato “per presentarsi all’esame personale ed arruolamento”. In quello stesso anno il Comando della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale lo dispensa, come per legge, dalla frequenza del corso premilitare perché seminarista; passa visita di leva il 28 novembre a Molfetta e il 5 dicembre riceve il foglio provvisorio di congedo illimitato di 1ª categoria, con l’obbligo di presentarsi in caso di chiamata alle armi.
La sua non è un’esistenza serena, così segnata da numerosi lutti. Ha appena cinque anni quando gli muore il fratello Armando nella Grande Guerra; e poco tempo dopo gli muore la madre. Nel gennaio del 1938 perde il padre e poco più di un mese dopo il fratello, di lui più giovane, Luigi per un infarto a 22 anni.
La sua giovinezza è segnata da una lunga e non ben diagnosticata malattita, che dura sei mesi e per poco non gli è fatale. Ne parla in uno scritto autobiografico, in cui la racconta in tutta la sua personale sofferenza fisica, nell’angoscia famigliare, nella preoccupazione per gli studi interrotti, essendo al primo anno di Teologia, e nei suoi “epiloghi” (5).
La sua carriera sacerdotale inizia subito. Il 3 ottobre del 1936 il Vescovo De Angelis lo incarica di svolgere per un mese a Leuca l’esercizio sacerdotale (6). Il mese successivo è parroco a Barbarano del Capo, una frazione di Morciano di Leuca.
Ha 26 anni. S’insedia nella sua parrocchia il 28 novembre del 1936 (7). Qui si trasferisce il 7 marzo del 1937 con quel che resta della famiglia: il fratello Luigi e le sorelle Enrichetta e Armandina; nei confronti di quest’ultima è più tenero e protettivo, essendo la piccola di casa.
Il suo impegno parrocchiale è intenso ed entusiasta, risveglia nel paese, anche con l’aiuto delle sorelle, uno spirito di partecipazione religiosa importante, organizzando la gioventù dell’Azione Cattolica. A Barbarano sta bene, è rispettato e riverito, ha un tenore di vita dignitoso che gli consente di possedere perfino un’automobile. Ma, ad un certo punto, è turbato da incomprensioni ambientali, che lo convincono a lasciare temporaneamente la parrocchia ed arruolarsi come cappellano militare.
Da una sua richiesta di aggiornamento del suo stato di servizio avanzata nel 1972 possiamo seguirlo passo passo nella sua carriera militare.
Richiamato alle armi, lascia Barbarano il 26 febbraio 1942. Raggiunge Bologna, dove c’è il Comando dell’Armir che si appronta per la campagna di Russia. E’ assegnato all’Ospedale da Campo 512. Raggiunge il suo reparto in Liguria e parte per il Fronte russo da Imperia il 5 luglio successivo con la Divisione Cosserìa. L’Armir è schierato in Ucraina con divisioni tedesche, rumene e ungheresi. In Russia il suo ospedale, insieme con altri reparti di sanità, è adibito alla realizzazione a Voroscillowgrad del grande Centro chirurgico dell’Armir organizzato dal grande cardiochirurgo Achille Mario Dogliotti. Qui rimane fino al 22 gennaio 1943, quando, in seguito allo sfondamento delle linee italiane sul Don, il Centro viene chiuso. “Durante la catastrofica ritirata – scrive – mentre la maggior parte dei resti dei nostri reparti rientravano in patria, l’O.C. 512 ebbe l’ordine di trasferirsi a Slinka, presso Gomel, per raccogliere e curare gli affetti da tifo petecchiale che era scoppiato nel 37° Rgt. della Divisione Ravenna” (8).
Il 24 maggio del 1943 anche l’O.C. di don Roberto rientra in patria, attraverso il Brennero, ma resta un mese nel campo contumaciale di Colle Isarco (Bolzano). Nel giugno successivo il suo O.C. viene prima trasferito a Savigliano (Cuneo) e poi a San Miniato (Pisa) in attesa di altro impiego. Qui lo raggiunge la notizia del 25 luglio e della fine del regime fascista. Annota: «verso le 23 apprendemmo la grande notizia dell’importantissimo avvenimento che affida il Governo al Maresciallo Badoglio. Eravamo fuori di noi stessi per l’entusiasmo. Dio benedirà ancora alle fortune d’Italia, alle nostre armi, e trionferemo. Son felice di essere ancora in grigio-verde e lo sarò con entusiasmo fino alla fine” (9). E’ ben lontano dal cogliere la portata politica dell’evento.
Nell’agosto del 1943 ottiene il trasferimento al 113° Rgt Costiero dislocato nella zona di Lecce, dove lo trova l’armistizio dell’8 settembre 1943. Segue il suo Reggimento prima a Manduria e poi a Brindisi.
Tra la fine di novembre e i primi di dicembre il 113° Rgt. Costiero viene riorganizzato come 513° Reggimento Fanteria e dislocato in Campania al seguito delle Forze Alleate anglo-americane impegnate sul fronte di Cassino, con mansioni, in un primo tempo, di manovalanza. Don Roberto vi rimane fino al suo congedo, ottenuto il 27 luglio 1944 e riconfermato il 16 agosto.
Nell’agosto del 1955 è richiamato per un mese in servizio per l’esperimento tattico-addestrativo che la Divisione Pinerolo svolge in Basilicata, meritandosi l’Encomio Solenne da parte dell’Ordinariato Militare con annotazione sul suo stato di servizio.
In data 20 marzo 1961, con Decreto Presidenziale, viene iscritto nel ruolo di riserva dei Cappellani Militari. Il 14 dicembre 1972 viene insignito della Croce per Merito di Guerra.
Rientrato definitivamente a casa, non recupera la sua parrocchia di Barbarano, ormai saldamente nelle mani del sacerdote ruffanese don Aniceto Inguscio. Il 7 gennaio 1949 è nominato canonico della Cattedrale (10).
Per don Roberto si apre un periodo di incertezze, che troveranno epilogo con l’introduzione a Taurisano del culto di S. Maria Goretti, totalmente opera sua. In poco tempo fa costruire la chiesa su un terreno in parte donato e successivamente accanto realizza per sé la canonica; crea la Pia Unione delle Gorettine e avvia alla periferia del paese un centro socio-religioso, che sarebbe diventato sempre più importante per l’urbanizzazione della zona. Intanto insegna religione nelle scuole medie.
Ecco come don Roberto, in una sua memoria in terza persona, racconta la scoperta, per lui decisiva, della giovanissima Santa di Nettuno e l’introduzione del culto a Taurisano, con la costruzione della chiesa a lei intitolata.
“La piccola martire (11 anni, 8 mesi e 17 giorni), era stata canonizzata da Pio XII il 24 giugno 1950, a soli 48 anni dal Martirio, affrontato in difesa della propria purezza. Una canonizzazione che costituì un evento eccezionale nella storia della Chiesa: per la prima volta, un papa è costretto a compiere il solennissimo Rito fuori della Basilica Vaticana, nell’immensa Piazza S. Pietro; tanta era la moltitudine di fedeli accorsi a Roma, dall’Italia e da ogni parte del mondo, per assistervi. Ad accrescere l’incontenibile commozione dell’immensa moltitudine di fedeli (i giornali parlarono di oltre 400.000 persone), la presenza della Mamma della Piccola Martire. L’ottantenne Mamma Assunta, voluta a Roma dal Santo Padre, accolta in Vaticano con gli onori riserbati alle Regine, da una finestra al 3° piano dell’appartamento del Pontefice, assisteva alla suprema glorificazione della sua “Marietta”.
Tra la folla dei fedeli, un prete di Taurisano che – per una fortunata coincidenza – trovandosi a Roma, ebbe la fortuna di vivere quell’ora di esaltante commozione. Lo stesso, mosso dall’entusiasmo, il giorno dopo decide di recarsi a Nettuno per venerare le Reliquie della nuova Martire, custodite nel Santuario della Madonna delle Grazie di quella cittadina. Anche lì, folle enormi di fedeli commossi. Apprende che esiste una “Pia Unione di Gorettine” (alla quale aderiscono già milioni di giovani e ragazze di ogni parte del mondo) che ha lo scopo di “proporre alla gioventù del XX secolo” – come si era espresso il S. Padre – l’esempio delle Virtù eroiche della Novella Agnese.
Rientrato a Taurisano, quel prete lancia l’appello per la fondazione di una “Pia Unione” locale. La risposta delle giovani, delle fanciulle e della popolazione va oltre ogni più rosea aspettativa: nel giro di qualche mese le “Gorettine” sono oltre 500. Il Vescovo ne approva lo statuto e partecipa alla grande manifestazione dell’inaugurazione; benedice la statua della Santa, in Piazza Fontana, alla presenza di migliaia di fedeli commossi che, poi, col Vescovo, prendono parte alla trionfale processione per le vie del paese.
In un primo tempo, ritiri, celebrazioni, adunanze si tengono nella chiesa della Madonna della Strada, dove l’Immagine della Martire, decorosamente allocata, è incessantemente visitata non solo dai fedeli di Taurisano, ma anche dei paesi vicini. Ma la chiesa, specialmente nelle Messe domenicali, non ha la capienza sufficiente ad accogliere, oltre agli abituali, un numero così esorbitante di persone!
E’ così che sorge l’idea: costruire una “chiesa di Santa Maria Goretti” e fare presto! Un pezzetto di terreno, fuori dell’abitato, in zona “Pitrusa”, fu in parte donato dalla famiglia di certo Rocco Manco. In pochi mesi si arriva al completamento dei muri portanti e della facciata. Intanto i miseri risparmi del povero prete erano esauriti, e per la copertura si dovette ripiegare sull’idea di realizzarla in lastroni di eternit sorretti da grosse travi a vista, a conica spiovenza verso l’absidale. Effetto bellissimo! che conferiva alla costruzione una caratteristica singolare. Il Venerdì Santo del ’52 il lavoro dei muratori era finito e gli stessi vollero il privilegio di issare la Croce sul fastigio della facciata. Per l’arredamento e le suppellettili indispensabili fu accettato qualche contributo da parte dei fedeli, mentre per la costruzione si era voluto decisamente non coinvolgerli. Dal S. Padre ci giunse il dono di una pisside, di un messale, di un piviale con relativo velo omerale (11). Sedie, candelieri, tovaglie, qualche pianeta, l’ostensorio, il reliquiario ed altro fu donato dai fedeli. Il dott. Rocco Preite offrì la campana che si trovava in un vecchio cascinale, dove in tempi passati ci doveva essere una cappella ormai inesistente.
Per accedere alla chiesa, che era in aperta campagna, si dovette aprire un Viale lungo 75 metri fino a via Mazzini. La facciata della chiesa ne era lo sfondo, perché il viale non andava oltre. In seguito la chiesetta si è venuta a trovare al centro di un nuovo popolatissimo rione e il Viale è stato prolungato fino a toccare via Verdi (Via Ruffano)” (12).
Una lapide collocata all’interno della chiesetta, presso l’ingresso principale, a destra, dice: A S. Maria Goretti / nel cinquantenario del suo martirio / Questo tempio / che il Can. Don Roberto Muraglia / volle erigere / S. E. Mons. Giuseppe Ruotolo / solennemente dedicò / il XXV giugno MCMLII // Ai fulgidi esempi / della Martire della Purezza / s’ispiri / la cristiana gioventù.
Don Roberto raccontava anche di una curiosa e fatale coincidenza. Una persona di Taurisano, tale Vitu Zimìu, piuttosto scettica sulla riuscita dell’impresa, ebbe ad esclamare quando s’iniziò a costruire la chiesa: “sape ci campa cu bbiscia sta chesia!” (chissà chi vivrà a veder finita questa chiesa!). Avevano appena gli operai issato la croce sulla facciata della chiesa che si sentirono le campane della chiesa madre suonare a morto. Chi è morto? Si chiese in giro. Nah, u Vitu Zimìu! Quella persona morì proprio quel giorno e in quell’ora. Erano le 11 del venerdì santo del 1952.
Tutta l’esistenza di don Roberto è accompagnata da una costante: la scrittura. Don Roberto amava scrivere, ben oltre l’utilità per così dire di servizio, quella dettata dall’esigenza di comunicare. Era per lui una necessità interiore, un piacere dell’anima. Nella scrittura leniva la sua sofferenza e l’ansia del vivere, trovava la risposta alle sue angosce, la sopportazione delle ingiustizie ricevute, la sua sconfinata fede in Gesù Cristo. La sua vita è a noi nota grazie alle sue carte scritte e da lui conservate e lasciate con cura e diligenza.
Richiamato sotto le armi, dalla fine di febbraio 1942 alla fine di dicembre del 1943, 23 mesi, scrive molte lettere a casa (390) (13), ad altri famigliari ma anche a tante altre persone, amici, conoscenti, parrocchiani di Barbarano. Nelle sue carte ci sono solo le lettere che scrisse alle sorelle, non potendo farsi restituire quelle da lui scritte ad altri destinatari. Nel periodo che è sul Fronte russo, non interrotto da licenze, luglio 1942-maggio 1943, dieci mesi circa, in quasi 300 giorni, scrive 227 lettere alle sorelle. Quasi una lettera al giorno in media.
La posta è per lui, come per tutti i militari al fronte, un’autentica ossessione, sembra quasi che egli scriva per conservare memoria scritta; per il periodo che è al fronte, quando la corrispondenza non era recapitata con regolarità, numera le lettere in scrupolosa successione, e chiede alle sorelle di fare altrettanto. Si angustia per la ricezione, che avviene con giorni di ritardo e in maniera irregolare, a volte non avviene proprio.
“Si vive per la posta – scrive – Non si fa altro che pensare alla posta. Tutti i discorsi finiscono sempre sul tema della posta che si riceve o che (più spesso) non si riceve” (14). Ogni lettera inizia col problema della posta, che tarda ad arrivare o non arriva affatto, a volte con stizza, a volte con accoramento. “Scrivetemi sempre e a lungo e ditemi tutto” è il mantra che ripete alle sorelle, le quali gli obbediscono. Spesso scrive di non aver niente da dire, ma scrive lo stesso perché non passi la giornata senza scrivere. Scrive spesso per accumulazione di pensieri che gli vengono man mano che scrive, in derivazione l’uno dall’altro. La scrittura, insomma, come preghiera, come rito quotidiano, come terapia per esorcizzare la lontananza, per non spaesarsi, come autoconsapevolezza di essere lui in un preciso posto della terra e le sorelle in un altro. Il che gli garantisce di avere una visione aderente alla realtà, di curare l’ordine mentale. Fa di tutto per comunicare, nonostante la censura, dove si trova e chiede alle sorelle di consultare un atlante geografico per avere l’idea di dove si trovi.
La sua condizione di cappellano militare se la porterà dietro per tutta la vita, come una seconda pelle. E’, con la sua formazione religiosa, quanto di più significativo e formativo gli resta. Nell’immediato dopoguerra è un prete militante. I più anziani del paese lo ricordavano fino a qualche anno fa, sfidare in contraddittorio comizianti comunisti, che sparavano a zero sulla chiesa e raccontavano fandonie sulla guerra e sulla “liberazione”, che lui aveva vissuto o seguito da vicino.
La sua vita, dopo la costruzione della chiesa per Santa Maria Goretti, diventa routine, per quanto ricca e movimentata per un sacerdote che deve provvedere da sé per ogni cosa della sua chiesa.
Insegna religione a scuola, dà lezioni private di italiano e latino a studenti anche di scuole superiori e licei, coltiva l’amicizia con molte persone conosciute sotto le armi, mantiene i rapporti famigliari con fratelli, sorelle e nipoti; riceve persone da più parti della Puglia che gli chiedono informazioni sui loro cari dispersi in Russia, sistema le sue carte in quella sua triplice dimensione di uomo, di sacerdote, di combattente, della fede e della vita.
Muore a Taurisano il 27 maggio 2005, alla venerabile età di 94 anni.
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1 Elenco dei battezzati, Archivio parrocchiale della Parrocchia della Trasfigurazione, Taurisano.
2 Archivio Storico del Comune di Taurisano, Stato civile.
3 Carte di don Roberrto Muraglia, Archivio Storico di Presenza, Taurisano, d’ora in poi ASP.
4 Lettera di Mons. Teodorico De Angelis del 24 luglio 1936, Carte di don Roberto Muraglia, ASP.
5 La mia malattia Sett. 932 – Marzo 933. Sua storia e suoi epiloghi. I anno di Teologia. E’ nel quaderno intitolato Squarci, appunti storici, curiosità, in Carte di don Roberto Muraglia, ASP.
6 Lettera del 3 ottobre 1936.
7 Lettere del 27 novembre 1942 e del 7 marzo 1943, ASP.
8 Carte di don Roberto Muraglia, ASP.
9 Lettera del 26 luglio 1943.
10 S. Palese – E. Morciano, Preti del Novecento nel Mezzogiorno d’Italia, ad vocem, Galatina, Congedo, 2013, pp. 332-334.
11 In occasione dell’inaugurazione il Papa, per mezzo del suo vicario generale, fece avere a don Roberto un telegramma di benedizione. In Carte di don Roberto Muraglia, ASP.
12 Carte di don Roberto Muraglia, ASP.
13 Quasi sicuramente non sono tutte, ma solo quelle trovate fra le sue cose. Queste con un suo Diario, ampiamente rimaneggiato dallo stesso autore, ora sono presso il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto, colà allocate per volontà di chi le aveva in eredità, la signora Antonia Attanasio, e per diretto interessamento di chi scrive.
14 Lettera del 23 agosto 1942.
[“Presenza taurisanese”, anno XXXIX n. 4 Aprile 2021, pp. 8-9]