In un punto dell’investimento 3.2 si legge: “Conservazione della natura – monitoraggio delle pressioni e minacce su specie e habitat e cambiamento climatico. Il progetto mira ad approfondire la conoscenza sulla coerenza, le caratteristiche e lo stato di conservazione degli habitat e delle specie. Attraverso tale intervento sarà inoltre possibile sviluppare un’azione di monitoraggio e valutazione permanente, riuscendo a promuovere la sostenibilità nell’uso delle risorse naturali e introdurre l’applicazione dell’approccio ecosistemico e del principio di precauzione nella loro gestione, oltre che attuare politiche volte a garantire il soddisfacente stato di conservazione degli habitat e delle specie autoctone, anche attraverso l’attuazione di azioni pilota di protezione e ripristino”. E l’investimento 3.5: Ripristino e tutela dei fondali e degli habitat marini, recita: “Ad oggi, il 19,1% delle acque nazionali sono sottoposte a misure di conservazione, tuttavia questa percentuale deve aumentare significativamente per raggiungere l’obiettivi dell’Unione Europea di protezione della biodiversità al 2030. Questi obiettivi impongono una serie di azioni che richiedono una conoscenza approfondita della localizzazione, dell’estensione e dello stato degli habitat costieri, per la loro protezione e ripristino. Il piano sviluppato prevede interventi su larga scala per il ripristino e la protezione dei fondali e degli habitat marini nelle acque italiane, finalizzati a invertire la tendenza al degrado degli ecosistemi mediterranei potenziandone la resilienza ai cambiamenti climatici e favorendo così il mantenimento e la sostenibilità di attività fondamentali non solo per le aree costiere, ma anche per le filiere produttive essenziali del Paese (pesca, turismo, alimentazione, crescita blu). Un’adeguata mappatura degli habitat dei fondali marini e il monitoraggio ambientale sono un prerequisito per definire misure di protezione efficaci. A tal fine, si intende rafforzare il sistema nazionale di ricerca e osservazione degli ecosistemi marini e costieri, anche aumentando la disponibilità di navi da ricerca aggiornate (attualmente carenti). Obiettivo è avere il 90% dei sistemi marini e costieri mappati e monitorati, e il 20% restaurati”. In un post ho sostenuto che per la transizione ecologica sarà necessario un esercito di specialisti. L’esercito esiste, ma è in esilio: centinaia di giovani ricercatori marini italiani lavorano in USA alla Francia, nel Regno Unito, in Germania, Portogallo, Spagna, Olanda, Danimarca. Sono emigrati per mancanza di opportunità di lavoro in Italia, con l’eccezione della Stazione Zoologica Anton Dohrn, che ne ha reclutati molti in questi ultimi anni. Se questo riconoscimento dell’importanza della biodiversità, degli ecosistemi, e del mare sarà tradotto in azioni concrete, il cambio di paradigma evocato da Draghi avrà davvero luogo. Il Parlamento ha avuto un ruolo importante nel modellare il PNRR e, una volta tanto, ho avuto l’impressione di aver contato qualcosa, pur non avendo alle spalle alcuna lobby, se non quella della biodiversità e degli ecosistemi. Senza la determinazione e la competenza di Virginia La Mura, un granellino di sabbia nell’ingranaggio, credo che questi argomenti non sarebbero entrati nel PNRR. E io avrei scritto un ennesimo post su una transizione ecologica senza mare e senza ecologia. Ci sono ancora molte cose che mancano, nel PNRR, ma qualche spiraglio si è aperto. Il sistema democratico rappresentativo permette ancora di avanzare proposte che, a volte, sono persino accettate. Questa è una di quelle volte. In un prossimo post parlerò di quello che ancora manca, nel PNRR.
[Il blog di Ferdinando Boero ne “Il Fatto Quotidiano” online del 28 aprile 2021]