di Gianluca Virgilio

Spazio e tempo secondo Spengler, Il tramonto dell’Occidente, cit., pp. 192-193: “Per l’uomo delle origini la parola “tempo” non ha significato alcuno. Egli vive senza abbisognare di essa per contrapporsi a qualcosa di altro. Egli ha un tempo, ma non sa di esso. Noi tutti, in quanto siamo desti, siamo coscienti solo dello spazio, non del tempo. Lo spazio “esiste”, esiste nel e col nostro mondo sensibile propriamente come estensione, finché ci lasciamo vivere in modo sognante, istintivo, contemplativo, “saggio”, e diviene spazio in senso rigoroso nei momenti di intensa attenzione. Invece il “tempo” è una scoperta che noi facciamo solo pensando; noi lo generiamo come rappresentazione o come concetto, e solo molto più tardi presentiamo che noi stessi, in quanto si vive, siamo il tempo. E’ solo sotto l’azione meccanicizzata di una “natura” e presso alla coscienza di una realtà spaziale rigorosamente regolata, misurabile, intelligibile, che la concezione del mondo delle civiltà superiori fabbrica il fantasma di un tempo, a soddisfare il suo bisogno di tutto comprendere, di tutto misurare, di tutto ordinare causalmente.”
Lo spazio, dunque, esisterebbe senza di noi, ma il tempo no, non esisterebbe: siamo noi uomini che introduciamo nello spazio la nozione del tempo.