Proprio nel 1969 Carlo Prato era stato chiamato quale professore straordinario di Letteratura greca; in precedenza egli aveva tenuto per incarico l’insegnamento di Grammatica latina presso la Facoltà di Magistero (la prima a nascere a Lecce) e poi di Grammatica greco-latina, di Filologia classica e di Letteratura greca nella Facoltà di Lettere e Filosofia. Fino al 1969 avevano insegnato Letteratura greca illustri docenti: dapprima Aurelio Peretti e poi (sino al 1961) Bruno Gentili, maestro e poi collega di Carlo Prato alla scuola romana di Gennaro Perrotta. In particolare Bruno Gentili, con la sua personalità acuta ed effervescente, aveva lasciato forte traccia nei suoi studenti, che anche a distanza di anni ne avrebbero ricordato le stimolanti lezioni, in particolare su Anacreonte. Ma anche sul piano degli strumenti di lavoro Gentili ebbe modo di incidere profondamente, obbligando (raccontava) gli organi amministrativi dell’Università a reperire i fondi per acquistare libri e riviste anche al di fuori delle disponibilità ordinarie (ad esempio l’intera collezione della Revue des Études Grecques).
In quegli anni, attorno al 1969, Carlo Prato era impegnato nello studio di Tirteo e della lirica greca arcaica. Di Tirteo aveva pubblicato nel 1968 i frammenti corredati da un ricco commento (Romae, in aedibus Athenaei), nell’ambito di una collaborazione con il “Centro di studi sulla lirica greca e sulla metrica greca e latina”, finanziato dal CNR, che era stato costituito ad Urbino nel 1964, ed era diretto da Bruno Gentili. Simbolo fisico di questa collaborazione era uno scaffale metallico posto nella stanza dell’Istituto, recante appunto la scritta del “Centro”, nel quale si era accumulata progressivamente la bibliografia relativa a Tirteo, consistente in fotocopie di libri e riviste non reperibili a Lecce.
Era la prima volta che un poeta della lirica greca riceveva una trattazione monografica di ampio respiro, con uno studio introduttivo che metteva in rilievo gli aspetti ‘politici’ dell’attività poetica di Tirteo, inserito nella dinamica viva della società spartana del suo tempo. Il volume su Tirteo fu anche il terzo della collana “Lyricorum Graecorum quae extant” che si poneva come sbocco editoriale delle attività di ricerca del “Centro” appena nominato. E questa attività fu una delle direttrici di ricerca che guidò l’impegno scientifico di Carlo Prato, che, secondo la migliore tradizione universitaria, riversava i problemi e le tematiche delle sue ricerche nei corsi didattici di quegli anni. A due di questi corsi avevo avuto la fortuna di partecipare come studente e ne scaturì il tema della tesi di laurea, sulla dizione epica nell’elegia arcaica: circostanze che in qualche modo segnarono l’indirizzo dei miei interessi scientifici. Nel corso delle ricerche, che toccavano il tema della poesia epica orale, io potei leggere L’epithète traditionelle dans Homère e Les formules et la métrique d’Homère di Milman Parry nella rara edizione francese (Paris 1928) che mi fu messa a disposizione direttamente da Prato. Un costume, questo, che egli mantenne nel corso del tempo con i suoi laureandi, e con il quale egli cercava di sopperire alle inevitabili carenze bibliografiche, specialmente nel campo delle vecchie pubblicazioni, di una Università che muoveva i primi passi. Un’ altra importante segnalazione bibliografica egli mi fece in quegli stessi anni: quella della Preface to Plato di Eric Havelock (1963), un libro importante per gli studi sull’oralità, poi fortunatamente fatto tradurre da Gentili per Laterza (1973) con il titolo eloquente (ma non fedele) di Cultura orale e civiltà della scrittura. Da Omero a Platone.
Ma in quegli anni, nella ricerca di Prato, rimanevano operanti anche altri temi che egli aveva acquisito negli anni degli studi universitari romani (Euripide, i poeti tragici ed Aristofane) e in quelli dell’assistentato barese (Giuliano Imperatore, frutto di un ‘contubernio’ con Carlo Ferdinando Russo, come dichiara egli stesso nella Premessa all’edizione del Misopogon del 1979: ved. oltre). Nel campo del teatro greco aveva pubblicato i Canti di Aristofane. Analisi, commento, scoli metrici (Roma 1962, negli “Studi di metrica classica” diretti da B. Gentili) ma soprattutto due lavori apparsi su Maia nel 1957 e sugli Studi italiani di filologia classica nel 1961, nei quali correggeva una tesi largamente diffusa a partire da R. Porson, che cioè nel trimetro giambico dei poeti tragici l’uso dell’anapesto fosse limitato da alcune regole precise. Egli si fondava sull’autorità di Efestione, che rileva solo che l’uso dell’anapesto è “più raro” nei poeti tragici rispetto ai poeti comici, e su una applicazione rigorosa del metodo filologico che guarda con sospetto correzioni solo metri causa quando il testo è sano.
A partire dal 1969 questi interessi emergevano periodicamente in corsi universitari e nelle tesi di laurea che venivano assegnate agli studenti. Gli interessi euripidei seguivano due precise direttrici: le ‘soluzioni’ del trimetro giambico e la tecnica versificatoria. Con lo studio sulle ‘soluzioni’, cioè dei casi in cui il piede sillabico, giambo o spondeo, si ‘scioglie’ nei piedi trisillabici del tribraco, del dattilo o dell’anapesto, egli cercava di superare il momento puramente metrico-descrittivo per vedere come le esigenze linguistiche e stilistiche influissero sulle scelte metriche. Studiando la tecnica versificatoria egli voleva dimostrare come la composizione tragica avesse bisogno di una tecnica artigianale che aiutasse il poeta a superare le difficoltà dovute alla mole di versi richiesti da una trilogia ed alla ristrettezza dei tempi in cui il lavoro doveva essere eseguito. Egli, specialmente per Euripide, metteva in relazione questa tecnica con una ‘mentalità’ orale che si conservava ancora nel V secolo. Era, questo, uno sviluppo originale degli studi sull’oralità che, su impulso di Bruno Gentili, si imponevano in Italia nel dibattito critico degli anni ’60 del secolo scorso. Studi non esenti da accoglienze critiche per la loro novità, come dimostra un episodio di cui fui testimone io stesso durante un corso di aggiornamento per docenti di Liceo tenutosi ad Urbino: a conclusione della lezione tenuta da Carlo Prato un docente protestò vibratamente e pubblicamente perché il marchio della originalità poetica di Euripide era stato compromesso dalla nozione di ‘artigianalità’. In questo campo Carlo Prato anticipò opinioni che sarebbero diventate correnti in seguito. Gli articoli sull’oralità della versificazione euripidea sono uno degli anni 1969-1971 (sugli Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Lecce) l’altro del 1978 (nei Problemi di metrica classica pubblicati dall’Istituto di Filologia classica e medievale dell’Università di Genova). Ebbene, The oral composition of Greek Drama è il titolo di un saggio di Eric A. Havelock apparso sui Quaderni Urbinati del 1980, nel quale il noto studioso americano estendeva anche alla tragedia la nozione di ‘enciclopedia tribale’ applicata ai poemi omerici.
Su entrambi i temi euripidei (e su altri occasionali) gli studenti erano chiamati a cimentarsi con impegno critico nelle loro tesi di laurea.
Era bello vedere la stanza di Letteratura greca piena di studenti intenti a consultare i volumi della biblioteca e talvolta a parlottare tra loro, prontamente redarguiti. L’apertura giornaliera della Biblioteca era un obbligo inderogabile per l’assistente (incaricato e poi ordinario) che vi lavorava. Come anche era obbligo inderogabile curare l’acquisizione dei libri necessari alla ricerca, con un occhio particolare per i testi ormai fuori commercio, che Prato reperiva con rara abilità sui cataloghi di antiquariato. Tra queste acquisizioni voglio ricordare alcune in particolare:
– le riproduzioni fotografiche di due importanti codici di Euripide, il Codice Vat. lat. 287 + Laur. Conv. Sopp. (P) e il codice Paris. 2713 (B), pubblicate da A.J. Spranger rispettivamente nel 1939-1946 e nel 1938;
– l’edizione di Euripide curata da W. Canter nel 1602;
– l’edizione di Aristofane curata da S. Bergler e ripubblicata da P. Burmann nel 1760;
-l’edizione di Euripide cum notis variorum pubblicata a Glasgow in 9 volumi nel 1821;
– l’edizione di alcune tragedie di Euripide curata da J. King nel 1726;
– le edizioni delle tragedie di Sofocle curate da I.G.A. Erfurdt e E. Wunder rispettivamente nel 1827 e nel 1848-1854.
– l’edizione di Ateneo curata da I. Casaubon e J. Schweighhäuser nel 1801-1805, in 5 volumi;
– l’edizione originale degli Opuscula di G. Hermann, 1827-1831;
– l’edizione di alcune orazioni di Libanio curata da A. Bongiovanni nel 1754.
L’interesse per queste vecchie edizioni (solo ora, fortunatamente, disponibili on-line) non rispondeva ad una pura esigenza collezionistica, ma ad una precisa istanza scientifica. Carlo Prato era attento, oltre che ai dati della tradizione manoscritta, all’attività filologica svolta dall’Umanesimo in poi. Era parte della consuetudine degli studi di filologia classica consultare il materiale bibliografico pubblicato sull’argomento oggetto di studio nella forma più completa possibile. Ci si atteneva così allo spirito della Altertumswissensachaft di impronta tedesca, che considera gli studi svolti nei singoli ambiti come parte di un progetto scientifico complessivo. In tale spirito Carlo Prato considerava un dovere dello studioso rendere conto di questi studi nel modo più preciso possibile, in modo da dare agli studiosi successivi le informazioni migliori per favorire il progresso della ricerca. Di questa scrupolosità si sono giovate le sue edizioni, che sono giudicate altamente affidabili. L’attenzione alle edizioni umanistiche rispondeva all’esigenza pasqualiana di unire la critica del testo alla storia della tradizione. Attenzione da lui prestata, per il testo di Giuliano Imperatore, alle edizioni del Petavius (1614) e dello Spanheim (1680), come si evince in particolare dal saggio Storia del testo e delle edizioni di Giuliano Imperatore, presentato ad un Convegno nel 1983.
Con l’acquisizione di materiale bibliografico d’antiquariato (a cui si aggiungeva quello di ristampe anastatiche di vecchie edizioni, allora curata dalla Casa editrice Olms di Hildesheim) Carlo Prato cercava di far fronte ad una delle esigenze fondamentali di una Università, quella di dotarsi degli strumenti per svolgere una seria attività scientifica e che, per le Facoltà umanistiche, consistono in una buona biblioteca. Questo sforzo si accompagnava a quello di tutti gli Istituti della Facoltà, e della Biblioteca Interfacoltà, che avevano chiaro l’obiettivo di una qualche autosufficienza delle Biblioteche di Lecce. Naturalmente l’obiettivo non era facile da raggiungere in breve tempo e, pur potendosi avviare a Lecce le ricerche con la consultazione della bibliografia primaria, era necessario completarle visitando più fornite biblioteche nazionali, che nel caso degli studi di filologia classica coincidevano per lo più con l’Istituto Archeologico Germanico di Roma. E una frequentazione dell’Istituto era rituale per i ricercatori di letteratura greca. Questo valeva per i docenti. Non fu mai considerata obbligatoria per gli studenti, che non avrebbero avuto i mezzi per effettuarla. Per loro, si cercava di rendere sufficiente la consultazione della Biblioteca dell’Istituto. In caso di necessità Carlo Prato, come già segnalato, interveniva con i suoi libri. Egli, infatti, si era costituito nel corso del tempo una biblioteca privata assai fornita, anche di vecchi testi, proprio per soddisfare, in una città periferica come Lecce, le esigenze di scientificità che le ricerche filologiche comportano.
Con questa sua attività Carlo Prato cercava di rispondere alle “esigenze del territorio” che tutti i documenti politici consideravano indispensabile soddisfare per legittimare l’esistenza di una Università a Lecce, e in particolare della Facoltà di Lettere e Filosofia. Formare buoni insegnanti, per quanto di sua competenza, era l’obiettivo primario dell’attività della cattedra; un obiettivo pienamente raggiunto, come si è detto. E con i suoi laureati Carlo Prato mantenne sempre un rapporto diretto offrendo, quando era possibile, il suo contributo ed essendone ricambiato con rispetto ed affetto. Un altro modo per rispondere alle “esigenze del territorio” era la continuità didattica, cioè la regolarità dello svolgimento delle lezioni e degli incontri con i laureandi.
Tornando alle ricerche, bisogna aggiungere che gli studi su Euripide si concretizzarono in un lavoro, già segnalato, sulla tecnica versificatoria, apparso nel 1971 sugli Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia, ed in uno sul trimetro giambico uscito nei Quaderni Urbinati nel 1972. Ma Carlo Prato volle condividere i suoi metodi di indagine sulle ‘soluzioni’ con i collaboratori che erano venuti ad arricchire l’attività della cattedra: nacquero così le Ricerche sul trimetro dei tragici greci: metro e verso (Roma 1975), in cui furono coinvolti Adele Filippo (per Eschilo), Rosanna Sardiello (per Sofocle), io stesso ed Erasmo Pallara, docente del Liceo “Palmieri” (per i verbi composti con preposizione). In effetti, dopo l’entrata in vigore, nel 1973, delle “Misure urgenti per l’Università”, l’introduzione nell’ordinamento universitario delle figure degli assegnisti e dei contrattisti diede nuova linfa alla cattedra con l’arrivo, oltre che di Adele Filippo e Rosanna Sardiello, già ricordate, di Rosanna Guido e Dina Micalella. Tutte quante avevano coltivato interessi euripidei e tragici, e in quest’ambito approfondivano le loro tematiche di ricerca, recando il contributo delle loro personali qualità. L’esperienza ‘comunitaria’ delle Ricerche appena nominate fu replicata da lì a qualche anno con le Ricerche sul trimetro di Menandro: metro e verso (Roma 1984): alle collaborazioni mia, di Erasmo Pallara e di Rosanna Sardiello, si aggiunse (per gli indici) quella di Luigina Marzotta, neolaureata. La commedia di Menandro, che sembra esulare dalla tematica tragica, era in realtà la pietra di paragone per saggiare le conclusioni raggiunte nel volume sui tragici su un autore che per molti versi continuava l’esperienza versificatoria euripidea.
Frattanto giungevano a maturazione le ricerche intraprese nell’ambito del “Centro di studi sulla lirica greca e sulla metrica greca e latina” e che portarono all’edizione critica dei poeti elegiaci d’età arcaica e classica, realizzata da Carlo Prato in collaborazione con Bruno Gentili, con la pubblicazione di due volumi teubneriani, il primo nel 1979, il secondo nel 1985. Pur in un panorama non carente di lavori del genere (erano contemporanei gli Iambi et Elegi Graeci ante Alexandrum cantati di M.L. West) l’edizione si segnalava per la novità costituita dalla presenza, oltre che dei frammenti (pur pubblicati con nuovi criteri), delle testimonianze sulla vita e sull’arte di ciascun poeta. Era una precisa istanza del “Centro” appena ricordato la necessità di accompagnare i testi poetici con le notizie antiche sulla vita e sulla produzione poetica degli autori per dare a ciascuno di loro uno spessore storico, che doveva riscattarli da notazioni di gusto ed estetizzanti, pur giustificate, riconducibili alla qualità ‘lirica’ dei testi da loro prodotti. Del lavoro ecdotico sugli elegiaci io fui testimone diretto: facendo allora la spola tra Lecce ed Urbino, dove avevo assunto l’incarico di Dialettologia greca, ‘portavo’ le pagine dell’edizione dall’uno all’altro editore, con le osservazioni che ognuno di loro faceva, e riportandone le osservazioni relative. Molti problemi si risolvevano in questo modo; a quelli più delicati erano riservati degli incontri che avvenivano a Roma. Carlo Prato ebbe modo di seguire l’evoluzione di questi studi curando, sempre con Bruno Gentili, la seconda edizione dell’opera, del primo volume nel 1988, del secondo nel 2002 (quest’ultimo arricchito, in appendice, di frammenti di Simonide venuti alla luce nel frattempo).
A partire dal 1979 trovarono corpo anche gli interessi giulianei, che erano rimasti piuttosto sottotraccia negli anni precedenti; essi emergevano di tanto in tanto in corsi di Filologia classica, di cui uno, quello del 1971-2, ebbe svolgimento totalmente seminariale, nella biblioteca; al termine del corso i collaboratori che vi avevano partecipato ebbero il dono di un libro. Per Giuliano l’interesse di Carlo Prato era principalmente critico-testuale, con l’obiettivo di pubblicare in modo filologicamente più rigoroso gli opuscoli che nella collezione de Les Belles Lettres non avevano goduto delle cure attente di Joseph Bidez. Oltre a curare il testo degli opuscoli giulianei facenti parte della edizione mondadoriana della collana “Lorenzo Valla” (Milano 1987) Carlo Prato pubblicò alcuni di essi in edizioni monografiche che, secondo una prassi già inaugurata, si avvalevano della collaborazione con alcuni allievi, cui era affidato il commento: così avvenne per il Misopogon (Roma 1979, commento di Dina Micalella), per la Epistola a Temistio (Lecce 1984, commento di Alfonsina Fornaro), per il Contro i Cinici ignoranti (Lecce 1988, commento di Dina Micalella). Le ricerche giulianee trovarono un giusto coronamento nel Convegno su “Giuliano Imperatore: le sue idee, i suoi amici, i suoi avversari”, che ebbe luogo a Lecce dal 10 al 12 dicembre 1998: al convegno, oltre a Carlo Prato, diedero il loro contributo Rosanna Guido, Dina Micalella, Rosanna Sardiello, Adele Filippo, Valerio Ugenti e, per le conclusioni, io stesso. La partecipazione appena segnalata dimostra come gli interessi giulianei a Lecce avessero proliferato sino a costituire un vero e proprio gruppo di studio. Frutto di questi interessi sono stati, negli anni seguenti, le edizioni con commento di altri opuscoli: di Al Cinico Eraclio ad opera di Rosanna Guido (Galatina 2000), del Simposio. I Cesari ad opera di Rosanna Sardiello (Galatina 2000). Era già apparso Alla Madre degli dei a cura di Valerio Ugenti (Galatina 1992): questi, transitato a studi di Letteratura cristiana antica, si è trovato nella posizione privilegiata di poter valutare la figura e l’opera di Giuliano anche dalla parte dei suoi avversari, i Cristiani appunto. Un frutto, per così dire, postumo di questa atmosfera giulianea che si respirava alla scuola di Carlo Prato è l’edizione commentata dell’Elogio dell’Imperatrice Eusebia a cura di Adele Filippo (Pisa-Roma 2016).
Negli ultimi anni della sua vita Carlo Prato è tornato, per così dire, alle origini con l’edizione commentata delle Tesmoforiazuse di Aristofane, per la collana “Lorenzo Valla” (Milano 2002). Ma con questo lavoro siamo negli anni del suo pensionamento, avvenuto nel 1990 (fuori ruolo nel 1985). Anni, però, in cui l’attività scientifica non si è mai interrotta ed anzi è proseguita lungo le linee che egli si è sempre dato: severa cura del testo e sua comprensione globale sotto l’aspetto sia filologico che storico.
Era normale vederlo comparire in Dipartimento (nel frattempo costituito) e prendere posto alla sua scrivania, che ha sempre conservato nella stanza che condivideva con me, e informarsi, per esempio, sull’andamento della vita universitaria (ma occorre dire che da questa aveva acquisito un sereno distacco, anche rispetto ai mutamenti didattici, che dal 2002 avevano di fatto annullato la titolarità della cattedra, sino ad allora affidata ad un unico docente e che, solo da quel momento in poi, aveva distribuito l’insegnamento della disciplina tra tutti i componenti del settore scientifico-disciplinare di Letteratura greca, istituito con i nuovi ordinamenti). Ma di queste cose egli, come si è detto, si curava poco e, più spesso, si dedicava a discutere problemi scientifici con qualche collaboratore che gli aveva sottoposto una questione o gli aveva consegnato un dattiloscritto. Ché questa è stata una costante del suo impegno didattico: condividere le ricerche sia leggendo egli, sollecitamente, le ricerche degli allievi, sia facendo leggere agli allievi le sue ricerche in corso, discutendone poi, e a volte accettando, le osservazioni.
Ma spesso, in queste sue visite al Dipartimento, egli si recava nella Sala di consultazione al pianterreno di Palazzo Parlangeli (nel frattempo realizzata), si accomodava ad uno dei tavoli e si dedicava alla consultazione dei libri lì presenti e di altri che erano fatti venire dal deposito sottostante. La Sala di consultazione (di cui avete un’immagine nel manifesto della cerimonia) era stata realizzata, anche su suo consiglio, sul modello del Germanico, con una variazione imposta dalla ristrettezza degli spazi: testi critici degli autori greci e latini, lessici, enciclopedie, studi linguistici e storie letterarie a consultazione diretta dagli scaffali, il resto, purtroppo, nel deposito.
Si spera che i nuovi spazi consentano di destinare a consultazione diretta tutto il materiale bibliografico, gestito nel corso del tempo con dedizione e competenza dal personale bibliotecario che si è succeduto (e purtroppo assottigliato) nel tempo, e del quale voglio ricordare qui solo Andreina Calabrese, e Adele Gentile, prematuramente scomparse. La consultazione diretta dei libri ha, rispetto a quella consueta mediante schede, il vantaggio di favorire quel continuo e libero flusso di domande che è l’essenza della ricerca viva, ed anche quell’esigenza di verifica della genuinità storica (ma non autoritaria) dei testi, che è l’altro pilastro su cui si fonda la ricerca scientifica in ambito umanistico.
Solo in tal modo potremo dire di aver risposto all’insegnamento di Carlo Prato e potremo immaginarlo ancora mentre passa tra gli scaffali e ne prende qualcuno e, magari, mentre si lamenta che qualche libro è fuori posto o qualche altro, necessario allo studio, manca. Perché le biblioteche universitarie non crescono, ma si fanno con l’impegno quotidiano a renderle adeguate alle ricerche in corso (fatto salvo il ricorso ai mezzi elettronici, che ormai costituiscono uno strumento ineliminabile). E ricordando che, dove c’è una buona biblioteca, c’è una buona ricerca.
[Pubblicato in Rudiae. Ricerche sul mondo classico, n.s. 5 (28), 2019, pp. 23-33]