Manco p’a capa 44. Se la nostra impronta ecologica è devastante…

di Ferdinando Boero

L’impronta ecologica è la porzione di natura che una specie usa per sostenersi. La nostra impronta indica che consumiamo più di quello che la natura produce: viviamo a debito. Coltiviamo piante e alleviamo animali per nutrirci e ottenere materiali per i nostri manufatti, estraiamo materiali inerti, dal petrolio all’uranio, che elaboriamo per i nostri scopi. I sistemi di raccolta, stoccaggio, distribuzione e vendita occupano spazio accessorio, consumano energia e generano scorie e rifiuti. Grazie a una strategia “estrattiva” sempre più efficiente la nostra popolazione cresce a dismisura, ma cresce anche la sua impronta.

Un tempo producevamo energia dal cibo, il combustibile dei lavoratori umani e animali (buoi, cavalli, cammelli, cani), dal vento e dai fiumi, con vele e mulini. Bruciando il legno ci siamo scaldati e abbiamo cucinato, poi abbiamo prodotto energia con il vapore, l’elettricità, il motore a scoppio, basandoci sempre sulla combustione di legna, carbone, petrolio, gas. Non abbiamo abbandonato la combustione, l’abbiamo solo resa più efficiente.

Jevons, un economista coetaneo di Darwin, avvertì che questo sviluppo ha conseguenze paradossali: l’innovazione tecnologica che migliora l’estrazione o la produzione di una risorsa porta ad un aumento del consumo di quella stessa risorsa, mettendone a rischio l’integrità. Dato che le risorse che usiamo derivano tutte dalla natura, è l’integrità della natura ad essere a rischio.

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