Non saprei dire se c’è stato mai un tempo, prima di questo tempo, in cui si sia avvertita la stessa inequivocabile consapevolezza di appartenere ad un destino comune, di essere parte concreta dell’umanità, in cui si sia fatta esperienza che ogni esistenza dipende dall’esistenza degli altri. Non saprei dire nemmeno se ci sia stata mai una situazione in cui la parola e il concetto di globale abbiano espresso un significato così verificabile, dimostrabile. Anche così inevitabile. Il piccolo paese come la grande città. La grande città vicina come quella lontana. Una stessa esperienza, senza differenza. Uno stesso destino, senza differenza. Abbiamo capito che cosa significhi veramente globale. Significa avere coscienza della reciprocità. Si è capito che, ad un certo punto, in una certa situazione, globale significa ritrovarsi davvero tutti insieme a confrontarsi con un’incognita, riconoscersi in una comune condizione, condividere le stesse ansie, le stesse paure, le stesse speranze, scrutare tutti insieme lo stesso orizzonte, farsi insieme le stesse domande e cercare insieme le possibili risposte. Significa farsi coraggio, darsi coraggio uno con l’altro, con lo stesso linguaggio dell’incertezza, del disorientamento. Si è capito, anche, che all’improvviso ci si può ritrovare in una dimensione di solitudine, con la nostalgia di gesti e situazioni e circostanze che sembravano consuete, alle quali non si faceva nemmeno caso, e che diventano improbabili anche tra persone vicine, vicinissime. Anche la stretta di mano, la carezza, l’abbraccio, possono diventare improbabili. Si è imparato anche questo: la distanza: a restarsene a distanza, a fare la fila per tutto, a distanza, a non uscire di casa dopo una cert’ora. A evitare il contatto con l’altro. Con speranza e con coraggio. Con la speranza che questa condizione passi, quasi inaspettatamente come inaspettatamente è venuta. Con il coraggio di affrontarla comunque, nel modo in cui si affronta quello che non si vorrebbe ma che arriva. Ci si è ritrovati in una condizione di solitudine, dunque. Adulti e bambini, ci si è ritrovati a fare conti che non si erano fatti mai, a vivere le giornate come non si erano vissute mai, coinvolti da un’altra incertezza, una nuova, sconosciuta incertezza.
Qualche volta ci si chiede se in fondo non sia stato sempre sostanzialmente così, anche se con forme diverse, in condizioni diverse. Ci si chiede se, in fondo, non si sia vissuti sempre assediati dalle incertezze, tentando sempre una precaria approssimazione alla certezza, comunque con la consapevolezza di una certezza definitiva impossibile. A volte ci si chiede se, in fondo, non si è stati sempre, in ogni tempo e in ogni luogo, intimiditi dalle instabilità, dalle provvisorietà, dalle crisi, dai dubbi, dalle contraddizioni, dalle turbolenze, dalle incognite, dalle sfide che vengono dal tempo.
Forse è stato sempre così. Forse, gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo hanno sempre dovuto far ricorso alla speranza, hanno dovuto affidarsi sempre ad un prudente e qualche volta anche timoroso ma indispensabile coraggio.
Forse i tempi sono tutti uguali. Forse vogliono tutti speranza e coraggio.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 4 aprile 2021]