1– che il progetto diventi un modello di Archeologia Pubblica, che sia cioè il risultato di una partecipazione attiva di tutta la città, nelle sue componenti sociali, politiche e culturali, secondo le esperienze già realizzate in altre parti d’Europa e che sono fissate nei criteri della Convenzione di Faro, in Portogallo, un documento solo da poco approvato anche dal nostro Parlamento.
2– che l’intervento abbia un carattere multidisciplinare e veda coinvolte Istituzioni e competenze diverse, dalla progettazione urbanistica, alle tecnologie della comunicazione, ed infine ai tanti saperi che fanno dell’indagine archeologica un cantiere di confronto tra topografi, architetti, geologi, specialisti delle varie discipline archeo biologiche, nella ricostruzione dei paesaggi antichi della città e del suo territorio.
A fronte di queste indicazione sorge spontanea la domanda: l’archeologia a Taranto è pronta a dar vita ad un’esperienza che, attraverso la riscoperta del suo Anfiteatro, esprima le più innovative realtà nella ricerca, tutela e valorizzazione?
Numerosi sono i fattori positivi e le potenzialità che già la nostra città esprime; le scoperte alle quali ho fatto prima riferimento, rappresentano bene l’opera di conoscenza e di raccolta capillare delle informazioni sulla storia di Taranto che la Soprintendenza, pur dimidiata dalla mancanza di funzionari (molti sono andati in pensione negli ultimi anni e non sono stati rimpiazzati) è stata capace di assicurare, a prezzo però di sacrifici individuali spesso dimenticati, con la sola, ma non secondaria, ricompensa di poter lavorare in uno dei più importanti siti archeologici del Mediterraneo.
C’è poi la positiva esperienza a cui il MArTa, grazie ad una gestione autonoma, è riuscita a dar vita, con le tante iniziative di mobilitazione culturale della città, attraverso Mostre, Conferenze e Convegni, con l’applicazione di tecnologie innovative di comunicazione. Per l’immenso patrimonio del Museo è in corso un piano di registrazione digitale che permetterà in breve di mettere in rete circa quarantamila oggetti, a disposizione di quanti vogliano conoscere e studiare i tesori archeologici di questa città: un progetto innovativo ed assolutamente all’avanguardia in Italia, per la quantità dei dati gestiti e per l’alto livello tecnologico del sistema informativo, che prevede anche la localizzazione dei contesti di rinvenimento dei reperti sulla mappa della città.
Anche la ricerca scientifica e la didattica universitaria è presente a Taranto con le Università pugliesi e con il prestigioso Istituto di Studi sulla Magna Grecia, attraverso i suoi Convegni e le pubblicazioni diffuse a livello internazionale.
Ma ci sono ancora molte difficoltà, che dipendono anche da problemi generali riguardanti l’Archeologia in Italia oggi. In numerosi interventi ai Convegni tarentini sulla Magna Grecia, chi scrive ha lamentato la mancanza per la nostra città, di una cartografia adeguata, basata sulle tecnologie GIS, che permetta agli studiosi ed a quanti operano sulla progettazione urbana, di avvalersi di uno strumento adeguato. Peccato che, presso il CNR di Lecce, esista già una equipe, con ricercatori esperti in queste tecnologie, che sarebbe in grado, anche in breve tempo, di produrre questo fondamentale strumento di programmazione scientifica e di gestione territoriale. Nel sito di Hierapolis in Turchia, essi hanno già realizzato l’Atlante-GIS del sito, che il Ministero turco ha voluto fosse tradotto nella loro lingua, per essere utilizzato nella gestione dell’area archeologica. Le tecnologie GIS infine sono utilizzate da più di 20 anni nel Laboratorio di Informatica per l’archeologia dell’Università del Salento, diretto da Grazia Semeraro, per realizzare carte del rischio e per la gestione dei dati di scavo, anche attraverso applicazioni online.
Di impatto e rilevanza nazionale è infine l’annoso problema dell’Archeologia Preventiva, di straordinaria attualità, in particolare in questo momento in cui ingenti fondi saranno destinati dal Recovery Plan alla realizzazione di infrastrutture su tutto il territorio nazionale. L’Accademia Nazionale dei Lincei ha colto questa esigenza del nostro Paese, istituendo una Commissione dedicata ai Beni Culturali, con l’obiettivo di elaborare proposte da presentare ai pubblici poteri, che contribuiscano a rendere più efficace questo strumento, eliminandone gli attuali effetti negativi, grazie al confronto con le più innovative esperienze europee.
Un problema prioritario è costituito dalla difficile posizione degli archeologi che operano, per le indagini di Archeologia Preventiva, all’interno dei cantieri nelle opere pubbliche infrastrutturali: molti lavorano “a chiamata” e spesso sono costretti ad accettare, dalle ditte sub-appaltatrici, compensi ben inferiori alle tabelle sindacali, per periodi anche molto brevi a seconda delle necessità delle Ditte. Per poter prendere i lavori si praticano ribassi d’asta eccessivi (si può arrivare al 75%) i quali, ovviamente, non offrono alcuna garanzia che i lavori siano effettivamente eseguiti a regola d’arte. Insomma una vera giungla di relazioni umane e lavorative, un vero “caporalato d’elite”, come lo ha definito Rita Paris. Un altro, non secondario, aspetto negativo di questo sistema è rappresentato dall’accumulo di informazioni che sono raccolte negli uffici delle Soprintendenze senza che siano previste le coperture finanziarie per lo studio e la pubblicazione, con il risultato che la conoscenza acquisita si perde, vanificando così, di fatto, gli stessi sforzi economici sostenuti per gli scavi.
Molto diversa è invece oggi la situazione dell’Archeologia Preventiva in Francia, dove i professionisti archeologi (più di 2200 unità) sono assunti in organico nella Società INRAP (Istituto Nazionale Ricerche di Archeologia Preventiva) che, con 44 centri, opera accanto alle Università ed al Ministero della Cultura, può contare su un budget annuo di 160 milioni di Euro, ed ha una struttura di Laboratori e Biblioteche che assicura anche lo studio e la pubblicazione dei reperti. Così l’Italia che era stata, sino alla fine del secolo scorso, all’avanguardia per la tutela del Patrimonio Archeologico, con una tradizione che risale al Rinascimento ed a Raffaello, primo Soprintendente alle Antichità di Roma, si trova ad essere superata dalla Francia e da altri Paesi europei.
Il Progetto dell’Anfiteatro di Taranto andrà dunque inquadrato in questo contesto e potrà segnare una svolta nelle vicende della nostra città, diventando un modello per l’intera Nazione, soltanto se potrà superare le difficoltà attuali, valorizzando quanto è già stato fatto, attraverso un dialogo serrato e costruttivo tra tutti gli Enti che operano nel settore dei Beni Culturali.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno di mercoledì 17 marzo 2021]