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Un tempo il proletariato aveva la prole, il vivente del XXI secolo, almeno nel mondo Occidentale, ne fa a meno; non ha che il suo corpo e, benché questo corpo sia spesso sterile, egli desidera mantenerlo in vita. Un corpo chiede cibo, acqua, un tetto, medicine; ora chiede anche un vaccino. Altrimenti, a che serve la scienza? La scienza per il corpo. Un corpo non vuol rendere migliore il mondo, vuole un mondo che gli adatti come un vestito dalla giusta taglia.
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Il lager novecentesco continua a turbarci. Siamo turbati alla vista dei corpi denutriti dei detenuti, gli sguardi persi nel vuoto della morte imminente, l’orrore dell’universo concentrazionario. La vita negata, la non vita, la morte programmata e perseguitata fin nei forni crematori. Non è quello che spetta a noi: quelle immagini ce lo confermano e ci rassicurano. Infatti, spesso le rivediamo con grande disgusto, giusto per stabilire la distanza. Noi possiamo vivere, e vivere a lungo, diventare vecchi, decrepiti. Abbiamo anche la possibilità di immaginare un mondo diverso da quello presente; e nessuno sarà biasimato per questo, a patto però che non si spinga tanto oltre da pretendere che siano messe in atto le sue fantasie. Non la passerebbe liscia: tutti gli uomini gli si rivolterebbero contro e allora capirebbe che cosa siamo: viventi desiderosi solo di vivere.
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Vivere significa togliersi di dosso il manto con cui i nostri simili ci hanno ricoperto alla nascita. Avevamo mille possibilità e non ce ne rimane più nessuna. Siamo completamente nudi e spendiamo ogni energia vitale per salvaguardare questo corpo e procrastinare la sua naturale consunzione. Alla fine, il ricco e il povero, il potente e l’inerme fanno esperienza della nuda vita. Sembra che tutti non chiedano altro.
27 febbraio 2021
[“Zibaldoni e altre meraviglie” del 29 marzo 2021]