I “rotomatismi” di Marcello Toma

Toma predilige la tecnica dell’olio su tela. Si coglie un certo classicismo nelle sue opere, che è dovuto sicuramente alla formazione artistica dell’autore e ai suoi studi universitari. Laureato in Architettura, ha confidenza con la geometricità, con l’essenzialità delle linee, che si riflettono in opere come “Rotomatismo”, “Labirinti”, “In blu”, “Il presente ha un cuore grigio”, con scoperti debiti verso il divisionismo e la pittura metafisica. Alla compattezza quasi materica dell’acciaio, di pistoni, bielle, dinamo, ruote, si contrappone l’atmosfera onirica, la consistenza lieve e aerea degli sfondi e di oggetti quotidiani decontestualizzati, come una candela, delle carte da gioco, le costruzioni dei bambini, una lumaca, una barchetta, una tazzina di caffè, che sembrano messi lì a caso.  Il colore è forte, pregnante, ma non sovraccarico, è funzionalizzato al tema dell’opera, nelle sue infinite variazioni. Toma infatti, si può dire, dipinge sempre lo stesso soggetto, declinato in diverse modulazioni. Che cosa vuole comunicarci con questi perni, bulloni e altri pezzi di archeologia industriale, attrezzi di una realtà ormai dismessa, superata? Sarebbe facile cogliere la connessione di queste opere con la psicologia, darne insomma una lettura esistenzialistica o introspettiva. Come non farsi trascinare, infatti, da un turbine di suggestioni letterarie osservando l’opera “Macchina del tempo”, in cui il dipinto è diviso in due campi e al grigio plumbeo di un passato di lavoro e sfruttamento dell’uno, si contrappone, nell’altro, il presente (e il futuro) di un bimbo che gioca con le sue coloratissime Lego? La valenza simbolica degli ingranaggi è forte, certo, e rischiamo noi stessi di rimanerne schiacciati, stritolati.  Ma poi, volgendoci all’aspetto formale dei quadri, alla loro dimensione estetica, si può affermare che queste opere possano vivere anche staccate da ogni interpretazione psicanalitica; vivere nella loro fisica identità, come pura forma, come colore, senza guardare al messaggio. Del resto, dopo queste macchine, sono passate tutte le mutazioni del postmoderno e delle avanguardie artistiche e di ogni tipo di sperimentazione; porre un filtro cognitivo fra noi e queste opere, come si fa con l’arte concettuale, significherebbe ormai svalutarle, neutralizzarle, o al più ritenerle anacronistiche. Si dovrebbe dunque consegnare all’utopia questa sorta di back to the future, che Toma ci propone, ossia un ritorno al passato per correggere gli errori della storia, abbandonare l’interpretazione critica, affidarsi ai sensi, e scaricando di ogni valore etico questi soggetti, depotenziando il simbolo, si potenzierà il segno.

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