Il tempo di pandemia ci interroga e ci sfida

Davanti allo spettacolo terribile, che la pandemia presenta oggi agli occhi di tutti, torna alla mente ciò che ha scritto, in situazioni analoghe, Martin Heidegger all’indomani della seconda guerra mondiale, alla vista degli orrendi disastri causati dalla follia bellica dell’uomo. “Siamo noi forse – si domandava il filosofo – alla vigilia della più mostruosa trasformazione della terra intera e dello spazio storico-temporale a cui essa è legata? Siamo forse alla vigilia di una notte che prelude un’alba nuova? Sta sorgendo solo ora questa terra del tramonto?” (Un detto di Anassimandro, 1946). In questo nostro tempo, invaso e dominato dall’aggressività letale d’un virus emerso improvvisamente, l’umanità assiste, incredula ed esterrefatta, a fenomeni gravemente distruttivi, per cui si chiede se si stia consumando la fase terminale d’una “mostruosa trasformazione” dell’intero sistema di vita terrestre, oppure se sia l’arrivo d’una forma di vita nuova, oppure se si tratti dell’imminente tramonto d’un presente che scompare, per cedere il posto ad altro per ora del tutto sconosciuto. Il genere umano, quindi, non sa se sta assistendo semplicemente alla trasformazione del presente o al nascere d’un futuro del tutto inatteso o al crudele ghigno d’una fine definitiva. Ovviamente s’avanzano diverse ipotesi interpretative di tali fenomeni e se ne ricercano eventuali rimedi. Misconoscendo la tesi dell’insana follia del negazionismo, c’è chi nella pandemia scorge un intervento punitivo di Dio, chi vede una dura rivolta della natura che rivendica i suoi diritti violati, chi constata semplicemente interferenze casuali nell’azione dei diversi elementi, chi chiama in causa la tracotanza dell’uomo alla ricerca ossessiva di ricchezza e di potere. Probabilmente ogni risposta ha il suo fondamento condivisibile o meno, ma ragionevole.

Da parte sua, il filosofo tedesco trovava e suggeriva, a suo tempo, la via segnata dal ritrovamento dell’autenticità umana smarrita, disprezzata e tradita. Sulle orme del pensiero già di Parmenide, ripreso e sviluppato, tra gli altri, da Einstein, affermava che l’esistente umano può vivere secondo due diverse modalità: secondo la “banalità” delle apparenze, cioè impegnandosi a prendersi “cura” delle cose contingenti del mondo e vivere totalmente preoccupato per esse, e secondo la “autenticità” delle realtà sostanziali, cioè – spiega a chiare lettere – disponendosi  ad accogliere virilmente e senza riserve la prospettiva della morte, vera e indiscutibile rivelazione della finitezza umana: essa soltanto è veramente capace di far emergere e far apprezzare l’esistenza propria del vivere umano. L’individuo umano, infatti, viene e si trova in vita senza averne la minima consapevolezza, ma ha piena coscienza che tutta la sua vita si svolgerà liberamente in un arco di tempo limitato; è in suo potere, quindi, scegliere e decidere i modi e gli scopi per cui vivere nel tempo a sua disposizione. Heidegger avverte esplicitamente: non c’è scampo: bisogna risolversi a vivere o alienandosi in realtà prive di autentico senso finale oppure impegnandosi in attività di seria e indiscussa valenza morale ed etica. La prima opzione sarà fonte di lotte individualistiche tra i singoli e tra le società, a caccia di possesso e di ricchezza anche mediante lo sfruttamento a danno di tutto e di tutti; la seconda opzione sarà – nei limiti delle capacità umane – fonte e garanzia di progresso reale realizzato grazie alla sinergia dei comportamenti convergenti degli umani e della terra.

A questo riguardo, particolarmente incisivi e significativi sono i ripetuti interventi di Papa Francesco in tutti questi mesi. “La pandemia – ha affermato recentemente,- non è un castigo divino, ma mette in luce le false sicurezze”. La pandemia, infatti, aggredendo gli esseri umani, s’è rivelata anche e soprattutto una grave crisi storica, che – come le grandi guerre del secolo scorso – ha investito tutti e tutto; pertanto, va analizzata responsabilmente sotto ogni suo aspetto e considerata onestamente in tutti i suoi risvolti possibili, negativi ed eventualmente positivi. Per questo, porgendo gli auguri natalizi alla Curia Romana, ha sostenuto autorevolmente: “Questo flagello è stato un banco di prova non indifferente e, nello stesso tempo, una grande occasione per convertirci e recuperare autenticità”. Ciò significa che l’umanità ha smarrito l’identità del suo essere e ha perduto anche l’autenticità del suo pensare e del suo agire; si è costruito un modello culturale, in cui di fatto resta vilipesa la dignità umana e vengono calpestati e persino negati i diritti della Terra. Momenti tragici come questi – a parere del pontefice – ricorrono “ovunque e in ogni periodo della storia, coinvolgono le ideologie, la politica, l’economia, la tecnica, l’ecologia, la religione. Si tratta di una tappa obbligata della storia personale e sociale. Si manifesta come un evento straordinario, che causa sempre un senso di trepidazione, angoscia, squilibrio e incertezza nelle scelte da fare”.

L’umanità di oggi sta cogliendo il messaggio, che la Natura e la Storia le stanno inviando? E’ pronta a un’autocritica generale ed è disponibile a una revisione radicale del suo sistema di vita? Dare una risposta definitiva a quest’interrogativi è azzardato, perché bisogna attendere e verificare i comportamenti umani e le relative reazioni della Natura e della Storia. Al momento, però, non si notano segnali sicuri d’una revisione dei modi di pensare degli uomini e della loro volontà di risistemare il proprio agire. La pandemia, infatti, richiede una svolta radicale e convinta. Heidegger la sognava come “alba nuova”, Papa Francesco la invoca come “con-versione”. Considerato, però, che gli uomini – e soprattutto i reggitori della cosa pubblica – sono impegnati non tanto a rifondare e revisionare la vecchia e malata concezione del mondo, quanto piuttosto ad eliminare gli ostacoli, che impediscono il ripristino di ciò che c’era prima, nasce qualche dubbio, che genera perplessità e sfiducia. Non a caso il Pontefice Romano ha esortato più volte a non stare sempre a lagnarsi, ma – come ha raccomandato nel dare gli auguri di Natale – capire che “la pandemia impone maggiore sobrietà, attenzione discreta e rispettosa dei vicini che possono avere bisogno”. Riscoprire, cioè, che non esiste solo l’io con i suoi interessi, ma anche l’altro, che per il modello della cultura in atto è solo oggetto per il consumo. Sono opportune e necessarie nuove strategie di governo, sono auspicabili interventi mirati per un’equa distribuzione delle risorse disponibili, sono encomiabili inviti ed esortazioni alla solidarietà umana e alla cooperazione internazionale; però, se tutto ciò resta compiuto nello spirito, che domina attualmente nel mondo, si otterrà solo un’imbiancatura di facciata, ma la realtà sostanziale rimarrà immutata. Per un vero cambiamento di rotta è necessario preliminarmente una profonda metanoia dell’animo umano.  

[“Presenza taurisanese” a. XXXIX n. 3 marzo 2021, p. 13]

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