Ventidue Scritture meridiane sulla Letteratura in Puglia (secc. XX-XXI) di A.L. Giannone

Siffatta metodologia, che, rispetto alle sintesi d’ampio respiro ma spesso generiche e alle teorie più o meno aeree alle quali ancorare uomini e cose, privilegia un’analisi attenta, particolareggiata e al contempo ‘prismatica’, connota tutte le ‘scritture’ del volume, lungi da rigurgiti di asettico municipalismo e sempre corroborate da un’ampia visione d’insieme, alla quale Giannone si richiama costantemente, secondo le coordinate di diacronia e sincronia e nell’ottica dell’irrinunciabile rapporto dialettico tra regione e nazione. Anzi, come avviene nel terzo saggio di questa prima sezione, intitolato Per un’indagine sui rapporti letterari tra il Salento e la Francia, l’analisi si amplia fino a sfatare l’ormai obsoleta visione di una regione (il Salento) emarginata geograficamente e, soprattutto, culturalmente; al contrario, il Salento appare, sulla scorta delle convincenti argomentazioni del critico, animato da «una notevole vivacità in campo culturale», come dimostra, ad esempio, l’’intensità’ dei «rapporti letterari tra il Salento e la Francia» (p. 35).

Né tali assunti metodologici vengono meno nelle sezioni successive: la seconda, dedicata a poeti e scrittori che, al di là degli esiti non sempre particolarmente significativi, hanno tuttavia ‘operato intensamente’; la terza, volta a sottolineare il decisivo ruolo svolto da alcuni critici e studiosi pugliesi per segnalare peculiarità e spessore della letteratura di una regione «rimasta ingiustamente ai margini dell’attenzione nazionale» (Avvertenza). Spiccano, fra gli altri, le figure di due maestri dell’italianistica, Mario Marti e Donato Valli, il cui ricordo coinvolge pure emotivamente – e non poteva essere altrimenti – il critico, che al loro magistero continua ad ispirarsi, come è evidente anche quando si tratti di Occasioni di lettura (è il titolo della quarta sezione). Non è cioè solo nostalgica e affettuosa memoria nei riguardi di due delle figure più prestigiose del panorama culturale del Novecento pugliese; è viva e indelebile persistenza di metodo, di teoresi critico-filologica mi vien da dire, di tracce irrinunciabili che hanno segnato – e, per fortuna, continuano a segnare – un percorso umano e professionale e l’appartenenza, talvolta rivendicata con una punta d’orgoglio, a una Scuola della quale, in verità, fanno parte integrante anche critici non necessariamente ‘strutturati’ accademicamente.

Il volume si chiude, prima di un funzionale Indice dei nomi, con una interessante ricostruzione di alcune delle più significative interpretazioni letterarie del barocco leccese nel Novecento: voci di scrittori e poeti nelle quali le espressioni del ‘barocco’ leccese assumono una dimensione che va ben oltre le manifestazioni immediatamente ravvisabili nell’architettura e nei monumenti per diventare una ‘condizione dell’anima’ (Bodini) o, addirittura «delirio e immedesimazione negli elementi architettonici e nelle figure che li caratterizzano (Rafael Alberti)» (p. 224).

Non inganni il numero cospicuo di saggi, né la diversità delle ‘occasioni’ che li hanno ispirati: gli uni e le altre, infatti, sussumono rigore metodologico e acume d’indagine, rifuggendo da qualsiasi tentazione rivendicazionista e ben attagliandosi, invece, ad una visione policentrica della letteratura nazionale, sulla base di approfondite indagini, dalle quali emergono i decisivi contributi degli autori e la portata dei fenomeni, non isolati ma inseriti in più ampi contesti e diffuse e collettive esperienze.    

[“Presenza taurisanese” a. XXXIX n. 3 marzo 2021, p. 8]

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